Per una Nuova Destra, errori da evitare e principi comuni

Non solo economia, anche battaglie culturali. Governo limitato e patriottismo anti-globalista ma non statalista. Suicida separare le diverse anime in compartimenti stagni

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La dicotomia “destra-sinistra” sembra non godere più di buona stampa. Sempre più commentatori si accodano alla lunga fila di opinion maker che denunciano l’obsolescenza di una tassonomia che, a loro modo di vedere, non è riuscita a stare al passo coi tempi. Ma è davvero così?

Destra e sinistra oggi

La mia risposta è, categoricamente, no. Certamente non ha più senso ricorrere al dualismo destra-sinistra avendo in mente i contenuti che a tali categorie politiche si attribuivano al tempo della Rivoluzione francese o, per spostarci un po’ più “in qua”, nel Secondo Dopoguerra. E tuttavia sarebbe sbagliato pensare a queste categorie come monadi immutabili, essenze che non risentono del passare del tempo.

Non ha senso, oggi, schierarsi a favore o contro i poteri assoluti del monarca, per intenderci, ma ha tutto il senso del mondo interpretare la realtà sociale, culturale e politica nei termini di due differenti formae mentis irriconciliabili nei loro principi cardine.

Cosa sostanzia ontologicamente il modo di pensare “di destra”, oggi? Mi trovo assai d’accordo con coloro i quali riconducono il pensiero di destra ai seguenti principi ispiratori: la resistenza ai processi di razionalizzazione olistica della società; l’opposizione alla volontà di perseguire un’armonizzazione sociale dei ruoli e delle differenze; l’orrore per l’ingegneria sociale costruttivista.

Il pensiero “di sinistra”, nelle sue diverse declinazioni e gradazioni, ça va sans dire, si pone come polo opposto. La sinistra pretende di “normalizzare” (leggi: uniformare) le relazioni tra classi, sessi, razze. Pretende, insomma, di sfruttare politicamente tali differenze ricorrendo alla loro strumentalizzazione ideologica.

Errori da evitare

È dunque essenziale che la Destra (o Nuova Destra) capisca che per raccogliere successi elettorali non effimeri dovrà guardarsi bene dal commettere due errori: cadere nell’economicismo e dividersi in correnti che si dichiarano (senza esserlo davvero) inconciliabili.

In quanto al primo errore, mi sembra ogni giorno più chiaro che il discorso della destra non possa limitarsi all’economia. Il taglio delle tasse, la riduzione della spesa pubblica e del debito sono assolutamente essenziali, su questo non ci piove. Tuttavia, il campo economico, sebbene necessario, non è affatto sufficiente per tracciare le frontiere politiche in un contesto di accese battaglie culturali, visto che produce identità politiche deboli e comunque “reversibili”, che la sinistra può scardinare con relativa facilità.

Non solo tasse

Mi permetto un breve excursus rispetto a un tema economico che mi sembra centrale e che tuttavia divide, in maniera a me poco comprensibile, pensatori e commentatori di destra, addirittura liberali. Qualche parola sulla gigantesca mole di debito pubblico. È certamente saggio e, direi, inevitabile essere d’accordo con chi afferma che una riduzione del debito pubblico è condizione essenziale per sottrarsi a tempeste finanziarie che potrebbero far deragliare l’economia.

Sul piano del dibattitto culturale, è assai desiderabile che le forze liberali e conservatrici si presentino come custodi e portavoce di una finanza pubblica sana. In termini pratici, non si deve chiedere all’Unione europea alcuna dilazione quanto alla riduzione del deficit pubblico sotto la soglia del 3 per cento, e anzi si dovrebbe proporre una meta ancora più ambiziosa per l’anno che viene.

Le dimensioni del perimetro statale sono, difatti, determinate non solo dalla pressione fiscale ma anche dalla spesa pubblica: dunque ogni taglio di tasse deve essere accompagnato da una riduzione della spesa, altrimenti non si sta davvero riducendo la presenza dello stato nella vita degli individui, ma piuttosto spostando l’onere finanziario sulle generazioni future. E questo una destra liberale e conservatrice non può perseguirlo né deve avallarlo.

Da ultimo, mi sembra assai auspicabile la reintroduzione nel dibattito pubblico della proposta di un bilancio costantemente in pareggio. O, ancora meglio, di un bilancio sempre leggermente in surplus, dato che le stime relative alle entrate fiscali sono per loro natura parzialmente aleatorie. Ciò renderebbe possibile una riduzione costante dell’immenso stock di debito pubblico che affligge il nostro Paese.

Si potrebbe pensare a qualche forma di maggioranza parlamentare (super)qualificata che in situazioni di emergenza potrebbe dare il via libera al ricorso al debito, a mo’ di clausola di salvaguardia, ma nulla di più. Insomma, considerazioni pratiche si sommano a ragioni teoriche (e morali) per respingere il ricorso a ulteriore deficit. Faremmo bene a prenderne atto e ad agire di conseguenza.

Nemico è il globalismo

Ma torniamo al discorso da cui eravamo partiti, e veniamo al secondo errore che la Destra deve scongiurare. Ritengo che il libertarismo economico (ripeto: necessario) debba andare a braccetto con un discorso culturale di destra conservatrice, tradizionalista e patriottica in senso non statalista, e dunque comunitaria. Perché nessuno lotta con le unghie e con i denti per una formula di equilibrio economico generale.

La parola “Destra” è un significante che va riempito di un contenuto che ineluttabilmente si modifica col passare del tempo. Ottimo definirsi anti-globalisti, ma tenendo bene a mente che il nemico da battere non è il libero commercio internazionale, quanto piuttosto quel progetto di ordine globale uniformante e post-nazionale propalato da organizzazioni internazionali finanziate con denaro pubblico, e da organizzazioni sedicenti non governative (spesso ben felici di essere foraggiate dai governi).

Governo limitato

Non c’è alcuna incompatibilità tra la destra libertaria e quella religiosa se si struttura l’azione politico-culturale attorno alla difesa di principi sostenuti da entrambe: difesa della libertà di coscienza ed economica; limitazione del potere dello stato; possibilità per i diversi credi di reclamare un proprio spazio nell’agorà pubblica (e perché mai i credenti dovrebbero essere gli unici a doversi tappare la bocca e abiurare alle proprie opinioni, che così si troverebbero confinate in un angusto spazio privato?).

Analogamente, la destra liberale e quella conservatrice vanno mano nella mano quando si parla di difesa del governo limitato, delle istituzioni rappresentative e della separazione dei poteri. Perché dovrebbero rinunciare a lottare insieme quando è così ampio e significativo ciò che le unisce?

Patriottismo non statalista

Da ultimo, non è forse il patriottismo non (o anti) statalista uno strumento prezioso da contrapporre allo svuotamento delle democrazie da parte di un globalismo che, sotto l’egida della tecnocrazia, vuole decidere i destini dell’umanità? Non è forse un antidoto potente contro l’omogeneizzazione culturale e politica? Contro la tendenza crescente ad isolare politicamente il demos dei processi decisionali? La democrazia non ha forse bisogno di frontiere?

E se il rischio è quello di scivolare nello statalismo nazionalista (comunque meno asfissiante di quello globale, che elimina finanche la possibilità dell’auto-esilio), allora la Destra in questa sua ricomposizione dovrà combinare questo patriottismo pre-politico a una più veemente sfiducia nei confronti del Leviatano stato-nazione.

Appello ai liberi e forti

Per riassumere, risulta politicamente suicida separare le diverse anime della destra in compartimenti stagni. Come suicida è definirsi di centro per essere “accettati in società” e affidarsi a tecnocrati il cui unico anelito politico è di essere etichettati come “riformisti di sinistra”.

Va invece aggiornato lo sturziano appello ai “liberi e forti”, dove le file dei liberi e forti saranno integrate non solo da maschi bianchi stanchi di essere additati come il male assoluto, bensì anche da tutte le donne inorridite da una vittimizzazione funzionale alla concessione di privilegi legali; da eterosessuali e omosessuali che non vogliono essere strumentalizzati; da cittadini e immigrati regolari rispettosi delle regole e desiderosi di rimboccarsi le maniche; da imprenditori che rabbrividiscono di fronte all’espropriazione del frutto del proprio sforzo, così come da lavoratori che rabbrividiscono di fronte a un’agenda etico-culturale scellerata; da atei e credenti che condividono l’amore per la libertà. Dato che il socialismo non dorme mai, è ora di darsi una svegliata.

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