Il caso del poliziotto di 35 anni accoltellato e ridotto in fin di vita (per fortuna oggi sembra in miglioramento) da un immigrato clandestino a Lambrate è purtroppo paradigmatico. Hasan Hamis, questo il nome dell’aggressore, un marocchino di 37 anni, è nel nostro Paese da ben 22 anni, dal 2002, e già noto alle forze dell’ordine. Precedenti per reati contro la persona e il patrimonio: rapina aggravata, furto, lesioni personali, ovviamente stupefacenti.
Nonostante i numerosi provvedimenti di espulsione, il primo risalente al 2004, circolava ancora liberamente in Italia, fino al giorno in cui ha pensato bene di cominciare a lanciare sassi contro treni e persone alla stazione di Lambrate. Pochi giorni prima, il 5 maggio, aveva minacciato con un rasoio alcuni passeggeri a bordo di un treno e per questo era stato denunciato dalla Polfer della stazione di Bologna. Ma quest’ultimo episodio e i numerosi precedenti non sono stati evidentemente ritenuti sufficienti per una misura cautelare. Fa più notizia, più cool, arrestare i politici.
Un soggetto quindi che non sarebbe dovuto né arrivare né restare in Italia – e che quanto meno avrebbe dovuto trovarsi in galera – era invece libero di circolare per la Campania e per Milano.
Responsabilità del Viminale
Ora, si può certamente sottolineare l’ipocrisia priva del minimo pudore politico del sindaco di Milano Giuseppe Sala, che dopo aver negato per anni qualsiasi emergenza sicurezza nella sua città, denunciando una presunta campagna politico-mediatica contro Milano e contro di lui, oggi si sveglia e ammette che qualche problema c’è, ma solo per scaricarlo sul governo Meloni.
E certamente un sindaco di sinistra non ha molti titoli per lamentarsi dell’insicurezza generata anche dal degrado e dai clandestini sbandati che la sua parte politica fa di tutto per accogliere a braccia a aperte.
Bisogna però ricordare che non siamo negli Stati Uniti, dove i sindaci hanno il pieno controllo delle politiche di sicurezza e della polizia. Sebbene il degrado di una città e la politica delle porte aperte all’immigrazione anche irregolare di un’amministrazione di sinistra giochino evidentemente un ruolo, incidano sul grado di insicurezza, e sebbene il sindaco sia coinvolto nelle decisioni di pubblica sicurezza, la responsabilità principale e ultima dell’ordine pubblico fa capo al Ministero dell’interno, attraverso i prefetti e le questure. E il Viminale oggi è controllato da un governo di centrodestra.
Risultati deludenti
Il governo Meloni è ormai in carica da oltre un anno e mezzo e purtroppo, occorre cominciare a dirselo, i risultati in termini di pubblica sicurezza sono piuttosto deludenti, come gli episodi di cronaca ci ricordano quasi settimanalmente.
Non bastano i vertici internazionali, il cambio di passo per ora solo teorico in Europa e il promettente accordo con l’Albania. I risultati nella sicurezza e nel contrasto dell’immigrazione illegale si ottengono sulle strade, governando il territorio giorno dopo giorno, distribuendo efficacemente uomini e risorse, rivedendo ove necessario le procedure, rendendo effettivi i provvedimenti di espulsione, riformando il diritto d’asilo e la giustizia. Insomma, bisogna saper far funzionare la macchina amministrativa e di pubblica sicurezza.
Se rientra in qualche misura nell’ordine fisiologico delle cose che un governo di sinistra sia più permissivo, per usare un eufemismo, con l’immigrazione illegale, e i fenomeni ad essa collegati, quello che ci si aspetterebbe da un governo di centrodestra è tolleranza zero.
Già a legislazione vigente soggetti socialmente pericolosi come Hasan Hamis possono, anzi devono essere allontanati dal territorio nazionale. Bisogna farlo e questo richiede lavoro e capacità di governo della macchina statale. Se dopo un anno e mezzo di governo Meloni un clandestino pluri-pregiudicato e più volte raggiunto da ordini di espulsione può girare ancora nel nostro Paese e ridurre in fin di vita un poliziotto, allora qualcosa forse non funziona.
Polizia sotto accusa
Paradossale, inoltre, che sotto un governo di centrodestra sia bastata una telefonata del Quirinale, di un presidente di sinistra, per rivedere le regole di ingaggio della polizia, praticamente bandendo l’uso del manganello, e mettere sul banco degli imputati gli agenti invece che i manifestanti violenti.