Giusta e condivisibile la reazione dell’opinione pubblica alla vista della nostra connazionale in udienza incatenata piedi e mani, con in più un guinzaglio tenuto da una guardiana, restituendoci una scena di tempi andati. Non mi risulta, però, che si sia dedicata una sufficiente attenzione all’essere quella la regola, cioè praticata per ogni persona imputata, cosa che avrebbe potuto dare alla protesta una portata più generale, intesa a vedere superata quella regola, sì da revocarla e cancellarla per tutti.
Certo una richiesta che il governo italiano non poteva e non può avanzare, ma i partiti, i sindacati, le onlus dovrebbero far propria, con un coinvolgimento a pieno titolo del Parlamento europeo.
I turisti della protesta
Dar atto che ci si trova di fronte ad un trattamento assolutamente comune, rimane poco credibile quel processo alle intenzioni che vi si sono lette, come se fosse stato tagliato giusto a misura di Ilaria Salis. Si è straparlato di una esibizione narcisistica e della “democrazia illiberale” di cui ha teorizzato Viktor Orban, come tale una mera provocazione rivolta all’Europa per interposta persona, l’Italia, con la presunzione di trovarla sostanzialmente d’accordo, perché in fondo questi turisti della protesta come la nostra connazionale che vagolano da una situazione di conflitto all’altro all’insegna di un antifascismo di maniera non piacciono certo alla destra specie di governo.
Se si vuole leggervi una intenzione punitiva che serva a dissuadere “intrusioni straniere”, effettuate da singole persone o piccoli gruppi in continua trasferta all’estero, questa non emerge dall’aver tenuto in ceppi la Salis anche in udienza, ma nella configurazione del reato contestatole, che credo di tentato omicidio, ma comunque tale da schiudere le porte ad una condanna di anni.
La vera partita
Per ora si resta concentrati sulla immagine per lo meno disturbante della Salis in ceppi nell’aula giudiziaria, senza dar conto del processo, che è poi il luogo in cui si gioca la vera partita. Il che nasce da un problema effettivo, sempre che ci si preoccupi – al di là della caciara nostrana tesa a farne un caso da scaricare sul governo – della sorte che attende la nostra connazionale.
Il problema è dato dalla esistenza di una alternativa vis-a-vis della magistratura ungherese: considerarla autonoma o, viceversa, dipendente dal suo governo. Dipende dalla finalità che si persegue: se ci si mostra preoccupati del futuro della Salis, la prima strada è preferibile, perché evita di irritare la corte ungherese, aprendo la via sia ad una condanna meno pesante, in base ad una partecipazione attenuata al tentativo di linciaggio dei due “nazisti” (non sorprende che per una certa stampa questa debba essere considerata una attenuante); sia ad una gestione flessibile della pena, domiciliari e espiazione in Italia.
Se invece ci si rivela più interessati a farne una ulteriore dimostrazione della inesistenza in Ungheria di uno stato di diritto, per coinvolgervi il nostro governo, la seconda strada è quella battuta: se il governo italiano non ottiene niente vuol dire che il suo stesso migliore alleato non lo tiene in gran conto, mentre se ottiene qualcosa, significa che effettivamente la magistratura ungherese è succube.