Prima approvazione ieri pomeriggio in Senato del c.d. premierato. Come è noto, ne mancano altre tre: quella della Camera dei deputati in prima lettura e poi, dopo almeno tre mesi dall’approvazione in prima lettura, le approvazioni in seconda lettura dei due rami del Parlamento. Il percorso, pertanto, è ancora lungo, ma si inizia a fare sul serio: il dado (delle riforme) è tratto.
Cosa prevede
Rinviando, come peraltro già scritto, l’analisi del testo a successivi contributi puntuali e più ponderati, ai soli fini informativi, può essere sufficiente evidenziare che i principali profili della riforma sono i seguenti:
- Elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri;
- Il rinvio ad una successiva legge ordinaria della necessaria disciplina elettorale che regolamenti la contestuale elezione del presidente del Consiglio e delle Camere con la previsione di un meccanismo premiale che garantisca una maggioranza parlamentare al premier eletto;
- L’abolizione dei senatori a vita;
- La modifica della disciplina dell’elezione del presidente della Repubblica, con la previsione del quorum dei due terzi fino alla settima votazione (e non più alla quarta);
- La facoltà del presidente del Consiglio di sciogliere le Camere in caso di sfiducia o dimissioni;
- la possibilità che nella legislatura vi sia, a determinate condizioni, un altro presidente del consiglio, diverso da quello eletto, purché provenga dalla medesima maggioranza per evitare ribaltoni.
In definitiva, la riforma tende a fornire una proiezione istituzionale nella forma di governo, che rimane parlamentare, alla sovranità popolare, stabilendo sostanzialmente il principio che chi vince le elezioni governa. Come detto, c’è qualche strumento di flessibilità al riguardo col fine di assicurare un minimo di manovra in caso di crisi improvvise.
Opposizioni all’attacco
Oggi c’è un altro profilo su cui vogliamo riflettere e cioè le contestazioni di piazza delle opposizioni al grido “Difendiamo la Carta” che faranno da contorno all’approvazione della riforma.
Come immaginavamo, il premierato è destinato a divenire il campo di battaglia politico decisivo per le prossime elezioni politiche. Le opposizioni descrivono un testo che presenta qualche obiettiva criticità – la quale peraltro potrebbe essere ancora migliorata in sede parlamentare – come un formidabile attacco alla Costituzione. E sotto le gloriose insegne della difesa della Costituzione si vogliono riunire tutte le truppe che altrimenti procederebbero disunite. L’obiettivo è semplice: trasformare il premierato nella Waterloo di Giorgia Meloni.
D’ora in poi, a parte gli addetti ai lavori, i contenuti della riforma sono destinati a passare in secondo piano, poiché per gli oppositori la riforma è comunque una minaccia alla democrazia e la prova di una deriva autoritaria, illiberale, orbaniana, lepeniana, putiniana, trumpiana ecc. (usate a piacere i termini dispregiativi che più dileggiano secondo voi).
E provare a dimostrare che ciò non sia vero sarà probabilmente inutile, salvo, come detto, le discussioni in sede scientifica e/o di serio approfondimento giuridico e culturale, qualora possibile. Infatti, lo stigma che adesso connoterà la riforma inevitabilmente condizionerà il dibattito pubblico e, forse, anche quello scientifico.
Ingenuità della maggioranza
Si dirà che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, nemmeno stavolta. Già altre volte è accaduto ciò. Forse, è vero. E forse proprio per questo, si poteva agire diversamente.
Più volte, si è evidenziato che la scelta del premierato in luogo del modello semipresidenziale avrebbe avuto l’effetto negativo di collocare la maggioranza in una posizione di minore forza rispetto alle molteplici critiche che sarebbero piovute e alla possibile prova del referendum ex art. 138 Cost., perché il modello prescelto non ha precedenti di rilievo e costituisce un unicum. Di per sé nulla di male, ma certamente è più semplice difendere invece un modello ampiamente collaudato e ben rodato. È evidente che in tale ipotesi determinate critiche sarebbero apparse esageratamente sopra le righe.
È altresì noto che la scelta dell’elezione diretta del premier aveva la finalità nobile di tendere una mano alle opposizioni per ricercare un consenso più ampio, anche alla luce delle consultazioni svolte con tutte le forze politiche dal ministro per le riforme istituzionali. Ma, ed è forse questa la critica più severa che si può al governo sul premierato, era, sin da principio, una ingenua speranza e, difatti, già allora scrivemmo che era una trappola politica che aveva lo scopo di condurre la maggioranza su un terreno più impervio.
Da questo punto di vista, l’approvazione odierna non sarà solo una prima vittoria tattica della maggioranza, ma anche dell’opposizione che crede finalmente di avere trovato il fianco debole dove sferrare l’attacco per il successo finale.
Prepariamoci quindi ad assistere nei prossimi mesi ad una lotta senza quartiere contro il premierato. La radicalizzazione manichea dello scontro non aiuterà il confronto e la mediazione e probabilmente condizionerà l’opinione e il possibile voto referendario di tutti, perché, piaccia o non piaccia, l’eventuale referendum sarà inevitabilmente un referendum sulla leadership della Meloni. A ciò evidentemente serve la strumentale drammatizzazione dello scontro di cui la protesta odierna sarà la teatrale messa in scena: rompere i ponti di un possibile dialogo sulle riforme.