Primo voto primo autogol: una notizia buona e una cattiva per il governo Meloni

La prova di leadership di Meloni determinata a far pesare la sua investitura, resistendo ai ricatti. Ma coalizione disarticolata e Forza Italia allo sbando, fattore di instabilità

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Una buona notizia e una cattiva in questo avvio di legislatura per le prospettive del nascituro governo Meloni.

La buona notizia

La buona notizia è la prova di leadership di Giorgia Meloni, che non si è piegata. Ha dimostrato di essere politica di razza, di saper tenere duro e schivare le trappole di palazzo. Ha abilmente aggirato l’ostacolo Berlusconi e vinto la prima partita.

Non solo perché è riuscita a far eleggere Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, la seconda carica dello Stato, un risultato a suo modo storico per la destra italiana al quale, ahiloro, per qualche assurdo personalismo i senatori di Forza Italia non hanno voluto essere partecipi.

Ma anche – e forse ancor più importante – per aver dimostrato di non avere alcuna intenzione di subire ricatti di sorta. Nemmeno dagli alleati (o presunti tali). Per la facilità con cui ha scaricato Berlusconi senza restare invischiata negli psicodrammi della sua corte.

Sacrosanto mediare sulle questioni politiche, deleterio farsi logorare dai capricci di questa o quella parte.

E questo fa ben sperare in vista della delle prossime partite, prima fra tutte quella per la composizione del governo.

Morire per la Ronzulli?

Uscendo dal Senato lo stesso Berlusconi ha ammesso che la partita è chiusa e Licia Ronzulli non avrà alcun ministero. Ha espresso tutto il suo disappunto per il veto personale (“i veti non si devono fare”), confermando così che è proprio su quel nome che si è consumato lo strappo.

Ma se certamente non è piacevole ricevere veti, tuttavia non si vede come tutti gli equilibri di governo e la stessa delegazione di Forza Italia nell’Esecutivo debbano ruotare attorno ad un solo nome, peraltro nemmeno di spessore.

Chissà se il Cav si è reso conto del danno inflitto a se stesso e al partito. Proprio sicuro che valga la pena morire per la Ronzulli?

Nel breve scambio in aula con La Russa rubato dalle telecamere, si intuisce dal labiale che il vaffa di Berlusconi non era rivolto in particolare al neo presidente del Senato: “Sono stato messo sotto da tutti… mi aveva promesso tre ministri… sono stato messo sotto da tutti, vaffa…”. Questo lo sfogo del Cav.

Ma come detto, se si tratta di questioni politiche, di equilibri di governo, si può trovare un compromesso ed è nell’interesse di Giorgia Meloni venire incontro alle richieste di Forza Italia e non umiliare Berlusconi. Ammesso che, appunto, si tratti di questioni politiche, non di capricci infantili o pretese irrazionali.

Il rischio tutela

Vedremo se, dopo quanto accaduto ieri, il campo è sminato o se, come probabile, resteranno delle cicatrici. Forza Italia, secondo la voce che circolava nella serata di ieri, sarebbe intenzionata a presentarsi da sola alle consultazioni dal capo dello Stato.

Certamente, come abbiamo avuto modo di segnalare, a cercare di condizionare le scelte nei Ministeri-chiave – su tutti l’Economia, ma anche altri come vedremo – sarà il Quirinale, per cercare di mettere sotto tutela il nascente governo Meloni.

Se la premier in pectore e il centrodestra subiranno le pretese del Colle, magari con il retro-pensiero di legittimarsi, rassicurare i centri di potere interni ed esterni al Paese, si ritroveranno commissariati ancor prima di partire, come è accaduto al governo giallo-verde e alla Lega nel governo Draghi.

La buona notizia arrivata ieri dal Senato è che Giorgia Meloni sembra consapevole della forte investitura popolare ricevuta e abbia tutta l’intenzione di farla pesare. Sicuramente nei confronti degli alleati, vedremo se anche nei confronti del Quirinale.

L’enorme vantaggio che dovrebbe sfruttare sin da subito, infatti, che né i giallo-verdi né Lega e Forza Italia nel governo Draghi hanno avuto, è che nessuno oggi – né gli alleati né il Colle – si può permettere di presentarsi agli italiani e giustificare la mancata nascita di un governo Meloni, o una sua troppo precoce dipartita.

Oltre che i numeri, non ne vediamo le condizioni politiche. Anche allo stesso Pd conviene che il governo di centrodestra parta e, semmai, constatarne il fallimento, così da presentarsi come “salvatore della patria”. Non crediamo che dalle parti del Nazareno muoiano dalla voglia di riprendersi subito il cerino (e che cerino!).

Questo vantaggio però non durerà per sempre, per questo Giorgia Meloni deve approfittarne sin d’ora, resistendo a ricatti e prevaricazioni come ha fatto ieri.

Il nodo Salvini

Uno dei nodi più delicati da sciogliere sarà il ruolo di Matteo Salvini nel governo. Al contrario del caso Ronzulli, qui a nostro avviso è interesse della Meloni non avere un approccio punitivo o diffidente. Primo, perché il leader della Lega ha il controllo della stragrande maggioranza delle truppe parlamentari leghiste. Dunque, meglio tenerselo stretto, e instaurare un dialogo diretto con lui in Cdm, piuttosto che averlo distante e rancoroso.

Secondo, perché negare a Salvini il Viminale, non essendoci sostanziali divergenze programmatiche con la Lega in materia di sicurezza e immigrazione, manderebbe un segnale sbagliato. Vorrebbe dire piegarsi ai veti dell’opposizione, del mainstream di sinistra e di Bruxelles, che vorrebbero un Salvini umiliato e marginalizzato. Sarebbe un errore.

Tireranno in ballo i processi a suo carico per sostenere la inopportunità di rimandarlo al Viminale. Ma al contrario, Salvini dovrebbe tornare al Viminale proprio perché qualcuno ha voluto mandarlo sotto processo per aver difeso i confini nazionali. E dare questo segnale, non lasciarsi intimidire, è nell’interesse anche di Fratelli d’Italia.

La cattiva notizia

Non mancano però, come dicevamo, le cattive notizie dalla giornata di ieri. Al primo banco di prova, per quanto la Meloni sia riuscita comunque a far eleggere La Russa, la coalizione si è fatta disarticolare ed è una magra consolazione che abbia dato prova di scarsa compattezza anche l’opposizione, dato che non spetta ad essa l’onere del governo del Paese.

Prima seduta e già primo giallo della legislatura. Chi sono questi 17 voti che La Russa ha ricevuto al di fuori del centrodestra? Dalla votazione esce non solo una maggioranza già litigiosa, ma anche una opposizione tutt’altro che compatta. E una Forza Italia potenzialmente non decisiva. Chi può aver avuto interesse a mostrare tutto ciò?

Probabile che questi voti siano giunti da componenti minoritarie delle opposizioni (Terzo Polo, ma anche interne a Pd e 5 Stelle) che sperano, così, di non restare fuori dai giochi per l’ufficio di presidenza e i vicepresidenti. Lo vedremo.

Ma per la maggioranza contare sul soccorso di qualche voto di opposizione è non solo pericoloso, ma anche politicamente insostenibile. Insomma, farebbe male Giorgia Meloni a pensare di poter sostituire i voti di Forza Italia alla bisogna con quelli dei centristi o di qualche “responsabile” che si trova sempre.

Forza Italia allo sbando

Preoccupanti sono le condizioni in cui versa Forza Italia. Dopo un risultato elettorale considerato da molti una tenuta (ma in realtà un dimezzamento), si è dimostrato ieri un partito allo sbando. A preoccupare è anche la mancanza di lucidità del presidente Berlusconi, che ieri non ha saputo intravedere il muro contro cui stava andando a sbattere, subendo una sconfitta stupida, inutile.

Come si fa a impallinare la maggioranza di cui in teoria si fa parte alla prima uscita, sul nome del presidente del Senato (La Russa, tra l’altro), per insoddisfazioni relative alla squadra di governo?

Ancor peggio, Berlusconi ha parlato della sua partecipazione al voto come di “un segnale di apertura per una collaborazione”. Collaborazione? C’è una coalizione di governo o no? Esiste ancora un centrodestra?

Privo di una leadership razionale, Forza Italia potrebbe rivelarsi una mina vagante, fattore di costante instabilità che le opposizioni non mancheranno di sfruttare.

Ecco perché sia prima che dopo il voto avevamo suggerito come soglia di sicurezza per il governo di centrodestra almeno 120 seggi al Senato, una super-maggioranza che però è stata mancata per diversi fattori.

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