Se l’analisi della tornata referendaria si presta a un’interpretazione piuttosto univoca che vede nell’umiliazione dei proponenti il minimo comune denominatore per quasi tutti i giornalisti e i commentatori, il risultato delle amministrative dà, come sempre, adito a varie correnti di pensiero.
In particolare nel centrodestra, terremotato anche da questo 12 giugno dopo la magra figura rimediata a ottobre nelle comunali di Milano e Roma e quella, ancor peggiore, rimediata per l’elezione del presidente della Repubblica.
Il sorpasso
Il dato più interessante ricavato dalla stampa è la spinta propulsiva di Giorgia Meloni nell’esito positivo di alcune partite chiave della tornata, e, allo stesso tempo, il sorpasso sulla Lega di Matteo Salvini. Soprattutto al nord, Fratelli d’Italia avanza – non inesorabilmente ma nettamente – mentre la Lega è crollata anche con percentuali al di sotto di quelle dell’epoca pre-Salvini.
Tuttavia, le amministrative posso valere fino a un certo punto come riferimento più ampio per una eventuale campagna su base nazionale. La popolarità dei singoli candidati, l’importanza di conoscere i territori e il fatto che le elezioni non hanno abbracciato tutta la nazione dovrebbero invitare a commenti meno tranchant.
Alle politiche conteranno anche e soprattutto i leader nazionali, le ideologie e i grandi temi della nostra epoca. Senza sottovalutare il fatto che si arriverà, purtroppo, con il Paese attanagliato da una grave crisi economica e sociale.
Il Salvini-bashing
Va molto in voga il tiro al piccione di questi tempi nel centrodestra. Un piccione di nome Matteo Salvini. Senza giustificare alcune scelte che hanno portato la Lega a ridurre notevolmente il suo consenso rispetto alle politiche del 2018 e alle europee del 2019, occorre, come sempre, abbozzare un’analisi che vada oltre le singole personalità e metta in luce punti forti e debolezze delle proposte politiche dei partiti e della coalizione di centrodestra.
In molti mollano la Lega e si rivolgono a Giorgia Meloni, il partito più vicino alle istanze della Lega su diversi temi, ma non ancora contaminato dall’esperienza di governo e dalle scelte impopolari che ne sono conseguite. Anche così si spiega il sorpasso che vede Fratelli d’Italia essere il primo partito di centrodestra e la sua leader ambire – ormai legittimamente dal punto di vista politico – al ruolo di presidente del Consiglio a Palazzo Chigi.
Quale centrodestra alle politiche?
La domanda da porsi, però, è: quale centrodestra si presenterà alle prossime elezioni? Le divisioni tra i partiti sembrano ancora profonde: alcuni sostengono il governo Draghi, altri no. Alcuni hanno sposato in pieno le politiche di restrizioni durante la pandemia, altri no. Sulla guerra in Ucraina abbiamo addirittura tre posizioni diverse dei tre partiti principali.
La stessa cosa si è vista per le elezioni francesi. La collocazione internazionale del centrodestra non è ancora definita: errore gravissimo di questi tempi di crisi globali. E anche se gli elettori non voteranno pensando a Putin o a Macron, una volta al governo gli eventuali nodi arriveranno al pettine, con la possibilità che la coalizione venga presa a sassate nei consessi internazionali e sui mercati finanziari (dove l’Italia, come tutti i Paesi, si finanzia).
La mobilitazione dell’elettorato
C’è poi un altro problema più grave che le ultime tornate elettorali hanno evidenziato: l’incapacità pressoché totale del centrodestra di attivare quell’elettorato moderato da sempre più restio a mobilitarsi rispetto a quello progressista e democratico. Anche se i sondaggi danno il centrodestra sempre in vantaggio nelle intenzioni di voto a livello nazionale, la sensazione è che gli elettori diano il loro voto a FdI, Lega e FI più sulla carta che quando davvero conta, e cioè alle urne.
Problema non da poco che non è solo del centrodestra ma che causa problemi più che altro a Meloni, Salvini e Berlusconi. Il Pd si mantiene sempre sul suo 20 per cento ed è diventato ormai il partito-Stato del potere e della stabilità politica. Il cosiddetto “campo largo” si rivela una chimera, i 5 Stelle sono destinati all’oblio, ma il centrodestra sarà in grado di approfittarne?
Per la Lega ritorno al passato settentrionalista?
Per la Lega la battaglia campale sarà in Lombardia, fulcro delle politiche e del potere dei Lumbard da ormai dieci anni e feudo da sempre di ogni segreteria federale leghista: da quella nordista di Bossi passando per quella autonomista di Maroni, per finire alla Lega nazionale di Salvini. Lì le tensioni tra gli alleati sono già alle stelle in vista del rinnovo della carica di presidente e non sono escluse sorprese.
Salvini potrebbe essere tentato da una legge proporzionale a livello nazionale che gli darebbe forse nuova vita e confermerebbe gli attuali assetti: di questi tempi per lui e il suo partito forse sarebbe il male minore.
Ma allo stesso tempo rompere a livello nazionale con Meloni significherebbe rompere anche a livello regionale, con il risultato di avere più di un candidato alla guida della Regione a destra e, magari, consegnare Palazzo Lombardia alla sinistra. Questo porterebbe certamente alla fine della sua esperienza di leader del partito. E se, forse, per la Lega salviniana il futuro sarà un ritorno al passato settentrionalista? Qui vivra, verra.