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Reddito di cittadinanza, abolirlo prima di trovarci con milioni di “inoccupabili”

Antonio Zennaro: il reddito ha ampiamente fallito e sta creando una pericolosa “disabitudine” al lavoro, un vero e proprio disincentivo all’occupazione

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Pubblichiamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Antonio Zennaro, manager del settore finanziario, deputato nella XVIII legislatura (membro delle Commissioni Finanze, Bilancio e Copasir)

È stato uno dei principali protagonisti della recentissima campagna elettorale, anche nel post-elezioni rimane centrale nell’agenda politica: il reddito di cittadinanza terrà banco nella discussione politica italiana anche nei prossimi mesi soprattutto in virtù della preparazione della legge di bilancio da parte della nuova maggioranza di centrodestra.

I dati dell’Inps

I dati snocciolati dall’Inps sono impressionanti. Secondo i dati dell’Istituto della previdenza, ad agosto sono state 1,18 milioni le famiglie beneficiarie del reddito o della pensione di cittadinanza (il 64,2 per cento residenti al Sud e nelle isole), per 2,51 milioni di persone coinvolte e un importo medio a famiglia di 549 euro.

La correlazione poi tra percentuali di voto al Movimento 5 Stelle ed erogazione dei redditi di cittadinanza, certificata dai principali analisti elettorali, risulta importante. Un dato su tutti: nella Regione Campania, a fronte di 628.750 persone beneficiarie del reddito, i 5 Stelle di Conte hanno raccolto 793.432 voti (il 34,75 per cento).

Il dibattito nel centrodestra tra chi lo vorrebbe eliminare e chi notevolmente cambiare trova però una sintesi nella critica all’efficacia dello strumento, nato non come un sussidio anti-povertà ma come strumento per il reinserimento nel mondo del lavoro, avendo però ampiamente fallito nei suoi obiettivi.

La pericolosa “disabitudine” al lavoro

Se Giuseppe Conte promette le “barricate” a difesa dello stesso (senza però avere numeri parlamentari per incidere), il tema vero è come da un lato eliminare uno strumento assistenziale che crea “disabitudine” al lavoro ed offrire sostegno da una parte a chi si trova in una situazione oggettiva di povertà e dall’altra chi invece deve essere indirizzato verso l’offerta di forza lavoro sempre maggiore in determinati settori.

Il tema della “disabitudine” al lavoro, sfruttato in termini elettorali da parte del Movimento di Conte può creare una crepa sociale: lasciare fuori dal mercato del lavoro milioni di italiani tramite sussidio e per lunghi periodi, di fatto rendendoli inoccupabili, è uno dei lasciti dell’ultima legislatura e un oneroso problema, non solo economico ma soprattutto sociale, da gestire per il futuro governo.

In un’Italia sempre più anagraficamente anziana, lasciare fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di italiani e lasciare su chi lavora (oramai una minoranza) e paga le tasse ogni peso anche sul fronte previdenziale, può accelerare un futuro sempre più cupo.

La sfida è soprattutto culturale: ogni tipo di incentivo legislativo, economico, fiscale dovrà essere orientato su chi lavora, sia da dipendente che da autonomo, tutelando chi non può oggettivamente lavorare, ma rompendo il prima possibile il circolo vizioso del disincentivo all’occupazione, soprattutto in una Repubblica che ha inciso nelle sue fondamenta costituzionali (all’articolo 1) proprio il lavoro.

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