Rifugiati anche per fame e carestia? Ecco perché è insostenibile

Non credibile per chi compie viaggi che costano fino a 10 mila dollari. La maggior parte non scappa da niente, chi davvero sopravvive a stento non può muoversi

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“Non è ammissibile sul piano dei diritti umani che si accolgano i perseguitati dei regimi e si respinga chi scappa da carestia e fame”. A dichiararlo è Giuliano Amato, intervistato da la Repubblica il 1° ottobre. La conseguenza – spiega – è che tutti dichiarano di essere perseguitati politici, mentre moltissimi in realtà sono perseguitati dalla fame.

Ogni scusa è buona

In realtà, ormai lo sanno tutti, anche chi non vuole ammetterlo, la maggior parte degli emigranti illegali non scappano da niente, chiedono asilo come espediente per non essere respinti, prova ne sia che in Italia nel 2022 lo status di rifugiato è stato concesso al 13 per cento delle persone che ne hanno fatto richiesta, e in altri anni ancora a meno. Però il 12 per cento dei richiedenti ha ottenuto protezione sussidiaria e il 19 protezione speciale.

In tutto quindi sono tanti quelli a cui è stato consentito di rimanere, ma solo perché le commissioni territoriali incaricate di vagliare le richieste e più ancora i giudici che esaminano i casi di chi, respinto, ricorre in Cassazione, accettano le giustificazioni più disparate.

Si è appreso in queste ore, ad esempio, che dei tunisini per i quali un giudice di Catania non ha convalidato il trattenimento nel centro di prima accoglienza di Pozzallo, giudicandolo illegittimo, uno chiede asilo perché in Tunisia le cure sanitarie sono a pagamento; uno perché la sua mano ha delle linee che secondo i cercatori d’oro tunisini indicano dove si trova l’oro e per qualche motivo questo a lui non fa piacere; e uno perché i genitori della sua fidanzata, morta in mare mentre con lui tentava di raggiungere l’Italia la prima volta, lo hanno minacciato di morte perché lo ritengono responsabile.

Giustificazione non credibile

Nessuno invece giustifica il suo ingresso illegale e chiede asilo dicendo di scappare da carestia e fame. Però non è, come sostiene Amato, perché in Europa non è previsto lo status di rifugiato per chi ha fame, ma perché è inverosimile, insostenibile, e per un semplice motivo: viaggiare illegalmente, specie affidandosi a organizzazioni criminali come fanno quasi tutti, costa migliaia di dollari, anche più di 10.000 per chi arriva dai Paesi dell’est asiatico. Chi sopravvive a stento non ha così tanto denaro.

Ma non ha neanche bisogno di andare lontano per cercare aiuto. Chi è a rischio fame perché vive in una regione in guerra, oppure colpita da siccità o da eccessive precipitazioni che compromettono i raccolti e uccidono il bestiame, riceve assistenza lì, dove si trova. Anche nelle situazioni più difficili all’insorgere di una emergenza intervengono le Nazioni Unite, con le loro agenzie (Pam, Oms, Unicef, Unhcr…) che hanno sedi in tutto il mondo, e le organizzazioni umanitarie che sono decine di migliaia.

Aiuti umanitari

Si formano convogli che trasportano generi di prima necessità e personale specializzato, si allestiscono centri di assistenza, se necessario campi profughi attrezzati. L’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sostiene di essere in grado, entro 72 ore dal verificarsi di una emergenza, di mobilitare in qualsiasi parte del mondo una equipe di operatori capaci di prestare i primi soccorsi.

I problemi sono tanti, a partire dal reperimento dei fondi perché si dice “comunità internazionale”, ma il grosso dei contributi arriva sempre dagli stessi donatori: Stati Uniti, Unione europea e Paesi europei che finanziano agenzie Onu e organizzazioni non governative e forniscono aiuti agli stati in difficoltà.

In Africa spesso sono le infrastrutture a creare ostacoli: strade e piste rese impraticabili dalla pioggia e dalla scarsa manutenzione, ponti crollati, linee ferroviarie danneggiate, mancanza di energia elettrica. Dove si combatte a volte i rischi sono tali da costringere a sospendere temporaneamente gli interventi che però riprendono appena possibile.

Inoltre, in certi casi il problema è riuscire a convincere i contendenti, con pressioni diplomatiche e tanto denaro, ad aprire dei corridoi umanitari, così vengono chiamati i percorsi resi sicuri grazie alla momentanea sospensione dei combattimenti per consentire il transito ai convogli carichi di aiuti o di persone da mettere in salvo.

La corruzione

Tutto in qualche modo si risolve, ma non il problema maggiore che è la corruzione, l’avidità spietata di chi arriva a sottrarre gli aiuti destinati ai suoi stessi familiari.

In Etiopia dal 2020 al 2022 la devastante guerra tra governo e Tigré, una delle etnie del Paese, ha provocato una gravissima crisi umanitaria. Inoltre il Paese ha patito un lungo periodo di siccità. Milioni di persone dipendono tuttora dall’assistenza umanitaria fornita dalla cooperazione internazionale. Ma per due mesi, giugno e luglio, il World Food Programme dell’Onu ha sospeso l’invio di aiuti alimentari avendo accertato che erano troppi quelli rubati, che non arrivavano a destinazione, ma finivano sui mercati locali.

Ad agosto l’Onu ha ripreso le spedizioni mentre l’USAid, l’agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, ha rimandato a tempo indeterminato le consegne. Il 19 settembre, per lo stesso motivo, una quantità intollerabile di aiuti alimentari rubati e “male utilizzati”, la Commissione europea ha annunciato di aver sospeso l’erogazione di ulteriori fondi alla Somalia, Paese in guerra dal 1987 e vittima anch’esso di una lunga siccità. La decisione è stata presa dopo che un’indagine delle Nazioni Unite ha rivelato che proprietari terrieri, autorità locali, membri delle forze di sicurezza e operatori umanitari somali erano tutti coinvolti nel furto degli aiuti destinati alle persone bisognose.

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