Che finalmente l’industria automotive europea stia aprendo gli occhi sull’elettrico? “L’auto elettrica è una rivoluzione per ricchi, la mobilità privata per come l’abbiamo conosciuta non esisterà più”. No, non è un tweet di qualche svitato complottista negazionista climatico. Sono le parole di Luca de Meo, il ceo di Renault, e presidente dell’ACEA (l’Associazione europea dei costruttori di auto), in una intervista di qualche giorno fa al Messaggero-Motori.
Mobilità cinese o per pochi
Il 2035, l’anno dello stop all’immatricolazione di nuovi veicoli a benzina e diesel nei Paesi dell’Unione europea, è dannatamente dietro l’angolo e i costruttori stanno forse realizzando di non avere nulla da mettersi, di aver cavalcato l’elettrico per ragioni di marketing e sussidi, ma di fatto spianando la strada ai loro concorrenti cinesi, pronti a invadere il Vecchio Continente. Anzi, l’invasione è già iniziata.
I costruttori cinesi possono infatti godere di un vantaggio competitivo incolmabile in praticamente tutto ciò che serve per le auto elettriche, come riconosce l’ad di Renault:
In Europa abbiamo un costo dell’energia nettamente superiore, inoltre gli standard sulle emissioni sono molto più stringenti che in Cina, dove non ci sono limiti di inquinamento e si utilizza ancora il carbone. Oltre al vantaggio sul costo della manodopera, il governo di Pechino sta investendo molto sul comparto automotive. Inoltre, attualmente la Cina detiene il controllo delle materie prime necessarie per costruire le auto elettriche, mentre l’Europa gestisce appena il 2 per cento e nel 2035, forse, arriveremo al 5 per cento.
Materie prime, costo dell’energia, costo della manodopera, sussidi pubblici. Imboccata ormai a livello tecnologico e industriale una strada suicida, vedrete che la reazione spontanea dell’industria automotive europea, presa dal panico, sarà la richiesta a Bruxelles di erigere alte barriere protezionistiche.
Basterà? Vedremo, nessuno può dirlo oggi. Ma lo scenario descritto da Luca de Meo è esattamente quello che state leggendo da mesi su Atlantico Quotidiano, e che quando ci capita di parlarne con gli amici, suscita ancora oggi sguardi perplessi, come se stessimo vaneggiando: “Ma figurati…”
Scrivevamo lo scorso febbraio che “stiamo andando verso un futuro in cui o dipenderemo fortemente dalla Cina per la produzione di energia elettrica e di batterie, oppure semplicemente i prezzi saranno così proibitivi che il trasporto privato non sarà più di massa, alla portata di tutti, ma un lusso per pochi, per una élite sempre più ristretta”.
Non un fastidioso effetto collaterale, un obiettivo deliberato dei catastrofisti climatici e dei circoli globalisti del WEF. Non c’è nemmeno bisogno di complottismi e dietrologie, lo dichiarano loro stessi. Basta leggerli e ascoltarli. Convinti come sono che la mobilità di massa sia insostenibile per il pianeta, mirano ad una mobilità ristretta, non più “di massa”. Quindi, non solo addio auto privata per la maggior parte delle persone, le limitazioni riguarderanno anche l’aviazione e la navigazione, in generale gli spostamenti di lunga percorrenza saranno alla portata di molte meno persone.
Cittadini tenuti all’oscuro
Ci auguriamo che almeno le parole dell’ad di Renault, uno squarcio di verità che guarda caso non ha avuto una grande risonanza, possano cominciare ad aprire gli occhi dei cittadini. Sebbene, forse, la delibera del sindaco di Roma Roberto Gualtieri sulla nuova Ztl che in due anni lascerebbe a piedi gran parte dei romani, un filo di allarme l’ha provocato alle nostre latitudini, ci pare che in generale l’opinione pubblica occidentale sia ancora largamente ignara – e tenuta ben all’oscuro – della enormità di costi e sacrifici che comporta l’attuazione dell’agenda green. Un’agenda che non è un “si farà, forse”, come molti ancora si illudono, ma un gerundio: si sta facendo.
Lo notava l’editorialista del Telegraph Allister Heath circa una settimana fa: “Al pubblico non viene ancora detta tutta la spaventosa verità sulla rivoluzione permanente net zero”.
Paragonando i piani per la decarbonizzazione ai piani quinquennali sovietici e cinesi, osserva come anche nel Regno Unito – ma il suo discorso vale a maggior ragione qui da noi – i pianificatori centrali siano stati “scatenati all’insaputa della maggior parte degli elettori“. E tutte la famiglie politiche, chi più chi meno convinta, “hanno aderito a piani quinquennali legalmente vincolanti”, noti come “bilanci del carbonio”, che stabiliscono un “programma dettagliato per riprogettare la società al fine di ridurre le emissioni di una certa quantità”.
Questione democratica
Heath solleva però anche una questione di legittimazione democratica: “Scandalosamente ciò che l’elettorato pensa di questi piani grossolanamente sottovalutati importa poco”. E chiede ai suoi lettori: lo sapete che siamo al nostro quarto bilancio del carbonio (2023-2027) e i prossimi due, fino al 2037, sono già legge, “facendosi beffe delle prossime due o anche tre elezioni generali”? Lo sapete che tutti i cambiamenti che toccano i consumatori – come il bando delle caldaie a gas e di nuove auto a benzina e diesel – sono già previsti nei piani, limitando gravemente lo spazio di manovra politica?
Il Climate Change Act, avverte Heath, ma allo stesso modo il Green Deal Ue, è “l’equivalente di un altro Trattato di Maastricht, un enorme cambiamento che, col tempo, scatenerà una reazione furiosa da parte dell’elettorato quando si renderà conto di non avere più il controllo“.
È proprio così: già oggi abbiamo perso il controllo su aspetti fondamentali delle nostre vite come l’auto, la mobilità, la casa, persino l’alimentazione, ma ancora non ce ne siamo accorti. E quando ce ne accorgeremo, sarà troppo tardi.
Le date prefissate, 2035 e 2050, hanno “cullato molti in un falso senso di flessibilità“. Ok, ma possiamo sempre decidere di ritardare di qualche anno questo o quel divieto, questo o quell’obbligo, si dicono i politici più ingenui. La realtà è che la riduzione delle emissioni deve rispettare un calendario rigoroso e i governi si sono vincolati a obiettivi sempre più ambiziosi, fino all’azzeramento. Ciò significa che la legislazione necessaria a centrare gli obiettivi dev’essere programmata con largo anticipo.
La reazione dell’elettorato
Al quarto bilancio di carbonio, “la sofferenza sta iniziando e sta iniziando il contraccolpo da parte degli automobilisti, dei proprietari di casa”, osserva Heath, che prevede “una vera e propria guerra politica, della stessa intensità della Brexit“, prima del quinto bilancio (2028-2032) e soprattutto del sesto (2033-37), in concomitanza con lo stop alle nuove auto a benzina e diesel e alle caldaie a gas, e con gli obblighi di efficientamento energetico degli edifici.
Esattamente come l’appartenenza all’Ue, i governi hanno pochissimi margini di manovra per rallentare e correggere la rotta, e alleviare i costi. E quando gli elettori se ne accorgeranno, si arrabbieranno. Sono favorevoli alla decarbonizzazione, ma solo se le loro tasche non vengono svuotate e se la loro qualità di vita non peggiora. Ma secondo Heath “si opporranno furiosamente a molti dei cambiamenti incombenti e chiederanno di riprendere il controllo quando gli verrà spiegato che i parlamentari non sono in grado di fare nulla al riguardo”.
A nostro avviso, Heath rischia di peccare di ottimismo. Ad oggi non scommetteremmo sulla ribellione dei cittadini, piuttosto sulla loro rassegnazione. Ma può darsi che al di là della Manica lo spirito sia diverso.
Pilota automatico inserito
L’editorialista del Telegraph mostra di condividere lo scenario pessimista che abbiamo delineato su Atlantico Quotidiano. Oggi le persone comuni si stanno lentamente abituando all’idea che ci costerà molto, ma passeremo tutti all’auto elettrica. Ma nemmeno questo è vero. Come ha lasciato intendere il ceo di Renault, le auto elettriche saranno per pochi. “Non saranno sufficienti, dovremo guidare di meno, volare di meno, anche mangiare meno latticini e carne”, avverte Heath.
Il “pilota automatico” è ormai inserito, conclude, e “la scadenza è troppo stretta per evitare restrizioni paralizzanti, un enorme aumento del debito nazionale e continui blackout“. L’unica soluzione è “introdurre maggiore flessibilità nel calendario della decarbonizzazione. Può darsi che non potremo mai raggiungere emissioni zero, o che ci vorrà più tempo; ciò che è chiaro è che l’attuale corso è pericolosamente carente di legittimazione democratica“.