Politica

Scisma da operetta: Viganò da scomunica ma la crisi si chiama Bergoglio

Viganò ha fatto di tutto per incorrere nella scomunica, ma c’è un problema a Santa Marta: Bergoglio ostenta desideri di povertà, è autocratico e vendicativo

Viganò Papa Francesco vaticano © photoneye tramite Canva.com

Mia madre, per antica educazione, diceva: “scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”. Nell’immagine di questi ultimi vedeva, non solo le questioni di fede ed i campioni di essa, dotati di quelle “virtù eroiche” previste dalle procedure canoniche di Sancta Mater Ecclesia, ma anche tutta la gerarchia ecclesiale unita in comunione con Cristo. Quale deluso stupore avrebbe vissuto di fronte alla vicenda che contrappone Carlo Maria Viganò e Jorge Mario Bergoglio (la mancanza di titoli è voluta).

I fatti: l’arcivescovo Viganò già nunzio apostolico negli Stati Uniti, con una nota sul suo account X comunica di essere sotto processo per scisma da parte del Dicastero per la dottrina della fede. Secondo il decreto di citazione il presule avrebbe dovuto “prendere nota delle accuse e delle prove circa il delitto di scisma di cui è accusato (affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica: negazione della legittimità di Papa Francesco, rottura della comunione con Lui e rifiuto del Concilio Vaticano II)”.

Il canone del Codice di diritto canonico citato dal decreto come oggetto del processo penale (in forma “extragiudiziale”) è il 1364, dove si afferma che “l’apostata, l’eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae”.

I grandi scismi del passato

Per il laico che non è addentro alle “cose di chiesa”, ma anche per il credente calato, però, nell’immanenza della contemporaneità, questa querelle sembra lontana anni luce dal quotidiano. A udire il lemma “scisma” – così evocatrice – la mente si rifugia in lontani ricordi di studi e ricorda l’origine in lingua greca della parola (σχίσμα, derivata dal verbo σχίζω “dividere”).

Da qui è impossibile non ricordare i grandi movimenti e conflitti teologici che scossero la Chiesa fin dalle sue fondamenta lungo la sua storia millenaria, tra i quali: gli scismi nestoriano e quello seguito al Concilio di Calcedonia, esistente ancora l’Impero Romano; il grande scisma d’Oriente ed Occidente cha ha portato alla divisione tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa (sec. XI); lo Scisma d’Occidente (XIV, XV sec.) e la cattività avignonese; lo scisma protestante, a partire dall’editto di Worms del 1521; lo scisma anglicano determinato dall’“Atto di Supremazia” del 1534 con cui si dichiarava Enrico VIII Tudor il “Capo Supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra” e che da allora porta i sovrani della Corte di San Giacomo a fregiarsi del titolo di Defensor Fidei.

Non è necessario essere storici della Chiesa per capire quali minacce abbia attraversato la cristianità (e gli assetti internazionali dell’epoca) attraverso queste “separazioni” alla disciplina e alla gerarchia della Chiesa stessa o alla sua dottrina. È noto che anche in epoca molto recente vi sono stati scismi, ma almeno motivati da ragione teologiche, per quanti vi credono. È abbastanza conosciuto il caso dell’arcivescovo Marcel Lefebvre e della sua Fraternità sacerdotale San Pio X negli anni Settanta ed Ottanta. Chi invece conosce la scismatica Chiesa Cristiana Palmariana dei Carmelitani del Santo Volto sul cui remoto soglio petrino spagnolo siede un certo Pietro III? Ben pochi, credo! Nel complesso però, questi ultimi due casi non rappresentano nulla, se non note di colore.

Di fronte alla tragica grandezza dei momenti storici citati, la baruffa tra Viganò e Bergoglio assomiglia molto ad una gazzarra da osteria.

Le uscite di Viganò

Beh, per onestà si deve riconoscere che Carlo Maria Viganò ha fatto tutto quanto era in suo potere per incorrere nella possibile condanna alla scomunica. Sono anni che attacca Papa Francesco. Di ritorno dal viaggio in Irlanda, ad agosto 2018, parlando della lettera di Viganò che lo accusava sulla questione degli abusi, il Pontefice disse ai giornalisti: “Leggete voi attentamente quel comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo: il comunicato parla da sé”.

L’ultima uscita di Viganò è stata lo scorso dicembre 2023 per il documento Fiducia Supplicans riguardante la benedizione delle coppie gay e non aveva usato mezzi termini parlando di “falsi pastori, servi di Satana ad iniziare dall’usurpatore che siede sul soglio di Pietro”. Nel gennaio 2024 Viganò si è fatto persino ri-consacrare vescovo dal vescovo scomunicato Richard Williamson, ex membro della Fraternità San Pio X e negazionista dell’Olocausto. La notizia non è stata mai smentita.

Lapidarie le sue parole sul Pontefice in carica: “Nessun cattolico degno di questo nome può essere in comunione con questa chiesa bergogliana perché essa agisce in evidente discontinuità e rottura con tutti i Papi della storia e con la Chiesa di Cristo”. Per completare il caso, il presule ha affermato, relativamente al Concilio Vaticano II, che esso “rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana chiesa sinodale è necessaria metastasi”. Per una scomunica ce n’è d’avanzo!

Il problema Bergoglio

Però – come dice il proverbio – sarebbe stolto guardare il dito che indica la luna e non la luna stessa. Vi è un problema che alberga a Santa Marta. Forse sarà eccessivo Giancarlo Lehner a giudicare Bergoglio – già candidato della frangia progressista auto-denominatasi “mafia di San Gallo” nel conclave del 2005 – un “santo vanesio”. È certo che il suo pontificato abbia una cifra differente e di rottura rispetto al passato, ma è estremamente divisivo.

L’uomo vuole piacere a tutti, soprattutto agli atei, ma il suo stile è autocratico e vendicativo. Nelle sue certezze pare sia profondamente intollerante per le opinioni differenti dalle sue. Come dimostra la questione della “frociaggine” è ambiguo sulle questioni di fede e di morale. Ostenta desideri di povertà ed indossa una croce d’argento, in luogo di un tradizionale manufatto d’oro. Gesto simbolico per i gonzi. I cassetti del Vaticano traboccano di ninnoli e croci d’oro, già pronti, che non necessitano di alcuna spesa. Solo “chiacchere e distintivo!”.

Voleva una chiesa più povera, bastava sfrattare legioni di prelati che vivono in abitazione principesche. No… troppa fatica. Vedi mai che reagiscano e dicano cose non dicibili. Poteva intimare alle sue istituzioni ricettive di pagare tasse allo Stato italiano, senza rifugiarsi dietro lo status  di “luoghi di culto”. Giammai! Si è sentito, però, in diritto di cambiare la traduzione del Pater (per i credenti l’unica preghiera pronunciata direttamente dal Cristo), laddove la versione latina e greca è molto chiara sul significato delle parole.

Che le religioni si siano affermate tramite lo strumento del sincretismo è cosa ovvia, ma il gesto di benedire in Vaticano (4 ottobre 2019) la divinità inca Pachamama destò non poco scandalo. In fondo sarebbe come si ponesse all’adorazione l’effige di Gaia (Γαῖα), la dea primordiale, stando alla Teogonia di Esiodo, ingravidata da suo figlio Urano (Οὐρανός). Impossibile!  In questa condanna della tradizione e nell’annacquamento dei dogmi – come dice Giancarlo Pera – vi è il segno della diffidenza verso la cultura occidentale, dalla quale viene, in fondo, il cristianesimo.

Lo stile Ratzinger

Quale differenza di stile con Joseph Ratzinger, intellettuale europeo al mille per cento, per dirla con Cacciari. Ancora nel 1969 il futuro Benedetto XVI disse in una trasmissione radiofonica:

Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi.

Tutto è vanità

Altro livello! Come si nota la profonda influenza che ebbe in Ratzinger la critica lettura di Spengler. Ormai quel tempo è superato. Si vive in una continua messa in discussione di tutto. Questa è, ormai, la Chiesa dove il cardinale Zuppi, capo della Conferenza episcopale italiana (cioè il princeps dei vescovi del “Bel Paese”), alla vigilia del Natale 2023, si permette di dire che il Vangelo “non è il distillato della verità. Il Vangelo è legato alla vita, all’umanità, all’incontro. Non dobbiamo aver paura di contaminare la verità con la vita”.

Blasfemia o “supercazzola”? Se la memoria non porta fallo nel Vangelo di Giovanni (14:6), il Cristo dice: “Io sono la via, la verità e la vita”. D’altronde cosa è, in fondo, chi è il Cristo? La risposta la dà Bergoglio all’apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, San Giovanni in Laterano del 2016: Gesù “fa un po’ lo scemo”.

A che pro tutto questo? L’antico testamento direbbe “vanità delle vanità: tutto è vanità” (Qoelet 1:2) Ciò che sta scomparendo è il “laico” senso del sacro, quello che per Rudolf Otto ha il crisma del tremendum et fascinans, indispensabile bisogno degli esseri umani, sia nell’ambito delle morali rivelate, sia in quello delle morali derivate.

Viganò deve essere scomunicato, ma la Chiesa si sta perdendo nell’insulso desiderio di modernità! A Bergoglio si dovrebbe ricordare: “Tu es Petrus!” e non “Tu es Jesus!”, come forse crede di essere.

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