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Se anche il governo Meloni cede alla narrazione della crisi climatica

Si allinea alla logica emergenzialista e oggi potrebbe varare la prima misura di lockdown climatico: la Cig per caldo. Il Nobel John Clauser: nessuna crisi climatica

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Temporali e nubifragi al nord, incendi al sud. Il cocktail perfetto per scatenare i catastrofisti climatici, che da giorni stanno colpendo praticamente a reti unificate facendoci rivivere sotto la stessa cappa mediatica opprimente della pandemia.

Come avevamo ampiamente previsto con il nostro Gianluca Spera, lo schema dogmatico e autoritario messo in atto durante l’emergenza Covid lo ritroviamo oggi applicato al clima: terrorismo, sensi di colpa, capri espiatori, criminalizzazione e censura del dissenso.

Emergenza permanente

Ormai passiamo da un’emergenza all’altra, ogni mese ha la sua. E ciascuna diventa da una parte un alibi per la politica, di fatto la deresponsabilizza, se i danni sono provocati da “eventi estremi” causati dal cambiamento climatico e non da una cattiva gestione del territorio, dall’assenza di investimenti e di libera iniziativa dei privati.

Dall’altra, le offre su un piatto d’argento un pretesto per chiedere più soldi e più controllo, per espandere i suoi poteri (quelli ordinari non bastano, ne servono di sempre più straordinari).

Il ricorso continuo ad una narrazione e a strumenti normativi emergenziali rischia di farci scivolare lentamente (ma nemmeno troppo) in uno stato d’eccezione permanente, in cui i confini del legislatore diventano sempre più labili e indefiniti.

Come già l’emergenza Covid, la pretesa emergenza climatica è al servizio di una ben precisa agenda politica, finalizzata a trasformare in profondità le nostre vite (dalla mobilità fino all’alimentazione), comprimendo la nostra libertà di scelta individuale in ogni ambito.

Instrumentum regni

Fondamentale instrumentum regni, per rendere accettabili divieti, restrizioni, obblighi, è alimentare la paura, il senso di colpa, ma anche spacciare per verità la percezione che “eventi estremi” come quelli di queste settimane non si sarebbero mai verificati in passato – uno sforzo di controllo della memoria collettiva.

Viviamo in un eterno presente di sensazionalismo mediatico, in cui l’ultimo è sempre l’evento meteo più estremo e ciò sdogana la tesi, per quanto assurda, di una apocalissi climatica imminente che richiede sacrifici altrimenti ingiustificabili.

Prove di lockdown climatico

Il circo meteo-mediatico di queste settimane, che su Atlantico Quotidiano abbiamo prontamente descritto, sta cominciando a dare i suoi frutti. La pressione sui cittadini è enorme, così come sul governo.

E il governo Meloni non sembra capace di resistere ad una narrazione che purtroppo bisogna riconoscere essere straripante (anche sulle reti in teoria di orientamento di centrodestra). Anzi, come purtroppo avevamo intuito fin dal primo discorso della premier alle Camere, c’è del tutto dentro. Per convinzione o per sudditanza, non c’è il minimo tentativo di contrastare il climaticamente corretto. Al più qualche timida quanto velleitaria iniziativa per cercare di limitare i danni delle eco-follie che vengono da Bruxelles.

Il “fate presto” climatico è arrembante. Non ce ne rendiamo nemmeno conto forse, ma siamo probabilmente alla vigilia della prima misura di lockdown climatico. Altro non è, se ci pensate bene, la cassa integrazione per caldo che il governo potrebbe approvare stasera in Consiglio dei ministri su spinta dei sindacati e della stessa Confindustria. “Il caldo come il Covid, servono Cig e smart working“, testuale il presidente Carlo Bonomi.

Salario minimo e decrescita

Fa troppo caldo? Non si lavora, paga lo Stato. Altre risorse drenate dalla promessa riduzione delle tasse. Altro debito, altro denaro creato dal nulla, altra inflazione, ulteriore dipendenza dallo Stato.

Il paradosso è che mentre Giorgia Meloni è impegnatissima all’estero a rafforzare il suo standing internazionale e cercare sponde per le sue politiche, a Roma il suo governo sembra più impegnato a realizzare il programma delle opposizioni che quello del centrodestra. Si veda, per esempio, anche se oscurata dalle notizie sull’apocalisse climatica, la svolta di ieri sul salario minimo.

Facendo seguito ad una apertura giunta dalla stessa Meloni, in Commissione Lavoro della Camera la maggioranza ha rinunciato a votare l’emendamento soppressivo della proposta delle opposizioni sul salario minimo, che quindi andrà in aula come testo base. Ci sarà tempo per il “confronto”, certo, ma pare proprio che alla fine avremo un salario minimo. Lo chiameranno “pippo”, ma avremo un salario minimo. Colpi di caldo o sudditanza?

Reddito di cittadinanza, Cig per caldo, salario minimo. Passo dopo passo verso la decrescita, giudicate da soli se felice o infelice…

Negazionisti climatici

Ma tornando all’emergenza climatica, come ai tempi del terrore sanitario, bisogna criminalizzare le opinioni che si discostano dalla dottrina ufficiale e isolare i dissidenti.

Come l’etichetta no-vax veniva assegnata non solo a chi non voleva vaccinarsi, ma anche a chi esprimeva forti perplessità riguardo a obblighi e divieti, per delegittimarne le posizioni, così oggi viene additato come negazionista climatico anche colui che non nega il cambiamento climatico, ma è scettico sulla attribuzione della causa alle attività umane e soprattutto dissente sui mezzi per contrastarlo.

Il cambiamento climatico è una ovvietà, il clima è in costante mutamento, non esiste un clima “ideale” a cui tornare. Per questo non basta più il cambiamento climatico, quella in atto dev’essere presentata come “crisi climatica” ed ogni evento meteorologico “estremo” ricondotto ad essa.

In un rapporto Greenpeace lamenta che nel 20 per cento delle notizie vengono diffusi argomenti contrari alla transizione green. Capite? Non basta l’80 per cento, vogliono tutto, il controllo dell’intera torta mediatica.

Il Nobel Clauser censurato

Il reato di negazionismo climatico è entrato nel dibattito, ma senza arrivare a tanto è partita la caccia al negazionista come partì quella al no-vax. Come nel triennio pandemico, criminalizzazione e censura colpiscono anche nomi eccellenti, scienziati di chiara fama colpevoli di non essere allineati.

Il Nobel per la fisica 2022, John F. Clauser, avrebbe dovuto presentare ieri un seminario sui modelli climatici al Fondo Monetario Internazionale, ma giovedì scorso il direttore dell’Ufficio di valutazione indipendente del FMI, Pablo Moreno, ha cancellato il suo intervento. Notizia riportata sui giornali italiani solo da La Verità, grazie a Maddalena Loy.

Un mese fa Clauser aveva ribadito le sue posizioni parlando ad una conferenza in Corea del Sud: “Il cambiamento climatico non è una crisi … non c’è alcuna reale crisi climatica, il cambiamento climatico non è la causa degli eventi meteo estremi”. E aveva attaccato frontalmente l’IPCC, definito “una delle peggiori fonti di pericolosa disinformazione”, in un discorso incentrato sulla “pseudoscienza del clima”.

Secondo Clauser, che di recente ha aderito alla Co2 Coalition:

La narrazione sul cambiamento climatico riflette una pericolosa corruzione della scienza che minaccia l’economia mondiale e il benessere di miliardi di persone. La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una imponente pseudoscienza giornalistica. A sua volta, la pseudoscienza è diventata un capro espiatorio per un’ampia varietà di altri mali non correlati. È stata promossa e portata avanti da agenti di marketing aziendale, politici, giornalisti, agenzie governative e ambientalisti altrettanto fuorvianti. A mio parere, non esiste una vera crisi climatica. C’è, tuttavia, un problema molto reale nel fornire uno standard di vita dignitoso alla numerosa popolazione mondiale e una crisi energetica associata. Quest’ultima viene inutilmente esacerbata da quella che, a mio avviso, è una scienza del clima errata.

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