In questa notte di Natale 2024, i pensieri si affollano nella mente di chiunque si renda conto che no… non è un Natale come tanti altri. La festa della pace e della riconciliazione per eccellenza per quel mondo cristiano al quale apparteniamo da millenni e nel quale affondano le nostre radici culturali non sembra più quella.
Alzare la voce
Il Papa nella messa seguita all’apertura della Porta Santa, dando inizio al Giubileo 2025, ha invocato ripetutamente la parola “speranza”, filo conduttore dell’omelia giubilare e di questo Anno Santo. Ma si tratta d’un tipo particolare di speranza, accompagnata dalla necessità di alzare la voce. “La speranza non è quieto vivere”. Avremmo, dunque, bisogno di alzare la voce e di sollevarci contro certe ingiustizie che parrebbero essere le stesse contro le quali il sindacalista comunista Maurizio Landini ha invocato recentemente la rivolta sociale.
Tutto tranne che pace, dunque, in una specie di joint venture per la mobilitazione generale che non lascia presagire nulla di buono, tantopiù se accompagnata dai ripetuti riferimenti ai “bambini mitragliati” e ai “bombardamenti sugli ospedali”. Papa Bergoglio, quello che, non lo dimentichiamo, accettò, dieci anni fa, con evidente gioia ed approvazione, il dono di un crocefisso a forma di falce e martello dalle mani di quel galantuomo dell’allora presidente della Bolivia, Evo Morales, peraltro ex capo del sindacato dei contadini produttori di coca.
Niente da fare, certi personaggi amano la falce e martello più di altri simboli e non perdono occasione per manifestarlo, pur tuttavia senza avere il coraggio di dire chiaro e tondo che apprezzano il comunismo, il che sarebbe nei loro diritti.
Farei oltraggio all’intelligenza del lettore se suggerissi un possibile facile accostamento tra mitragliatori di bambini e forze armate di Israele, poiché del tutto evidente. Quindi speranza, speranza, speranza, ma pronti ad alzare la voce, meglio se contro Israele. Invece, a Gaza (e non solo) ci sono soltanto pacifici e miti cittadini che vogliono la pace e non desiderano affatto l’annientamento fisico, direi geografico, di Israele e di tutti gli ebrei in genere.
Praticamente l’opposto del presidente Sergio Mattarella quando ripete il suo mantra “abbassare i toni”. Ma allora, a chi dobbiamo dare retta, al Papa o a Mattarella?
La curva della violenza
Quanta violenza vi sia in ogni città, e parliamo soltanto di quelle italiane, è tragicamente sotto gli occhi di chiunque. Una volta si diceva “spirale di violenza” ma riterrei più adatto il termine “curva della violenza”, e precisiamo pure che essa presenta un andamento logaritmico.
È davvero impressionante constatare la violenza gratuita e immotivata (quella prevista nelle aggravanti comuni dell’art. 61 n. 1 del codice penale: l’aver agito “per motivi abietti o futili”) che accompagna tristemente e sempre più la vita dei normali cittadini. Di tutto ciò parlano poco i papi e i presidenti, sordi i primi alle “piccole” violenze di ogni giorno contro persone inermi; incapaci i secondi di prendere provvedimenti efficaci.
Parrebbe latitare uno spirito guida, benché sulle questioni spirituali dovrebbero intendersene almeno i pontefici, che esprima la necessità e liceità di difendere le persone incolpevoli dal sopruso dei violenti.
Quieto vivere
Ma non parliamo soltanto dello spirito legato alla morale cristiana (termine ormai in disuso), bensì di quell’orientamento indiscusso che anche il legislatore sembra aver perso di vista, nell’emanare un complesso organico di norme tendenti a garantire quel “quieto vivere” che il pontefice argentino ha bollato espressamente come inammissibile nell’omelia di Natale.
E no, Santo Padre, il quieto vivere è, qualunque cosa ne pensi Lei, ciò a cui tende per natura l’essere umano! A meno che Ella non faccia riferimento a una società di rivoltosi perenni della quale la parte del mondo da cui proviene ha dato ampia prova nei secoli. No, Santità, il quieto vivere è parte integrante del messaggio di pace che, perlomeno a Natale, vorremmo sentir proclamare tutti noi. Di gente che alza la voce o, peggio ancora, che strilla, ne abbiamo fin sopra i capelli.
Una questione di spirito
È proprio una questione di spirito, di orientamento generale, che sembra oggi non tendere al bene comune, bensì al soddisfacimento di quegli interessi specifici e frastagliati, tipici della nostra epoca, che impediscono di essere credibili e fattivi.
Ma lanciarsi contro la logica del profitto, come abbiamo ascoltato stasera in San Pietro, equivale a pretendere che le imprese diano lavoro ma lo facciano rimettendoci di tasca propria oppure lo facciano per hobby. Senza una ragionevole e legittima aspettativa di profitto (applicabile pure ai lavoratori) non esiste lavoro alcuno. Basta con ‘sta menata dei padroni! La fascinazione di slogan degni di Togliatti, evidentemente, esiste ancora e non soltanto nelle piazze ricolme di fischietti e tamburi.
E non mi si venga a dire che, nel Vangelo di Matteo, nel c.d. “Discorso della montagna” si legge: “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettere pace, ma spada”, perché la spada a cui si fa riferimento è il Verbo. Comunque, ancora nel Vangelo di Matteo, si dissipa ogni dubbio: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno”.
Non è un caso che, nella tradizione giuridica classica, si prenda a prestito uno scritto di San Paolo – dalla seconda lettera ai Corinzi – ove sostiene: “Littera occidit, spiritus autem vivificat”. La lettera (ossia la norma) uccide, mentre lo spirito vivifica. Manca esattamente quello: lo spirito, tanto al clero che a tanta parte dei legislatori.
Qualche giorno fa, il mio barbiere di fiducia, un bravissimo ragazzo che lavora come un matto ben oltre il dopocena e facendolo pure bene, mi diceva che i giovani oggi “schifano” i politici di ogni parte e schieramento, tutti accomunati dall’essere, a loro detta, dei chiacchieroni. Come non riflettere sull’osservazione di Fabio? Se ciò fosse vero, e potrebbe esserlo, sarebbe l’indicatore preciso di una considerevole falla nella società, destinata ad allargarsi perché noi adulti, io per primo, parliamo troppo dei massimi sistemi e ben poco di fatti concreti.
Temo che in questo momento particolare della nostra vita sociale, certi appelli rischino di ottenere l’effetto opposto, eccitando animi già surriscaldati dai tempi duri e per troppi, e forse sarebbe meglio fermarsi un attimo a riflettere in silenzio, per poi ripartire con idee più chiare.
In altre parole, che Dio ci mandi proprio quel quieto vivere che non piace al Papa. Ne abbiamo bisogno, ne abbiamo diritto, almeno a Natale.