“La Repubblica è di chi paga le tasse”. Così le agenzie di stampa e molti giornali hanno sintetizzato il discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella. Parole che, in realtà, sono state un po’ diverse:
La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.
Il senso delle parole di Mattarella
C’è da chiedersi, quindi, se ci sia una discrepanza tra quello che ha detto il capo dello Stato e quello che è stato riportato.
Ad un orecchio poco avvezzo al lessico politico italiano potrebbe sembrare di sì. La sintesi giornalistica potrebbe lasciare intendere l’affermazione di una qualche centralità del contribuente, eretto ad azionista di maggioranza dello Stato, al quale la politica e l’azione pubblica devono rispondere.
La frase di Mattarella invece vola certamente più basso e rimanda piuttosto ad un’immagine di disciplinata (e rassegnata) fedeltà del vero cittadino all’obbligo fiscale e al tempo stesso di stigmatizzazione del fenomeno dell’evasione.
In realtà, traducendo le parole di Mattarella con “la Repubblica è di chi paga le tasse”, i giornalisti non hanno affatto inteso trasmettere una visione più “simpatetica”, tanto meno “rivendicativa”, del ruolo del contribuente, ma semmai rafforzare il senso che il presidente ha voluto esprimere.
Scrivere “la Repubblica è di chi paga le tasse” per loro è essenzialmente un modo per schematizzare quella che secondo il mainstream è il conflitto politico essenziale della nostra economia, quello tra chi “paga le tasse” e gli “evasori”.
Arma di distrazione di massa
Ed è per molti versi significativo che di un discorso ampio che ha toccato numerosi temi, dalla pandemia alla guerra, sia proprio questo punto quello che si è ritenuto opportuno sparare nei titoli dei giornali.
Il fatto è che la colpevolizzazione dell’evasore è divenuta nel tempo una delle principali “armi di distrazioni di massa” del dibattito politico. Per quanto l’evasione sia nei fatti in calo, l’evasore resta sempre il comodo capro espiatorio di tutto quello che non funziona, di tutti i soldi che mancano al bilancio, di tutto quello che il sistema pubblico non è in grado di fare.
In ogni caso il messaggio secondo cui chi non paga le tasse sono gli evasori è, prima di tutto, intellettualmente sbagliato, se non altro perché non esistono evasori totali – al massimo si evade qualche tassa, ma molte sono strutturalmente “inevasibili”.
È vero che c’è chi paga le tasse e chi no, ma questo ha relativamente poco a che fare con l’evasione e moltissimo a che fare invece con la struttura di un sistema fiscale così spoliativo nei confronti delle classi produttive.
Produttori vs consumatori di tasse
È vero che c’è una parte del Paese che oggi paga tantissimo perché produce la maggior parte ricchezza. E c’è una parte del Paese che, invece, in larga misura è consumatrice di tasse e che contribuisce al bilancio dello Stato in una misura molto minore.
Essere tra i primi – essere tra i “produttori” – non è solamente una questione di “privilegio”, ma è il risultato del lavoro, dell’impegno, dell’innovazione e dell’investimento – di quei processi complessi e virtuosi su cui si fonda l’economia.
Quando si scrive che “la Repubblica è di chi paga le tasse” forse bisognerebbe avere il coraggio di aggiungere, ad esempio, che la Repubblica è “del Nord” che paga due terzi delle tasse italiane. O che la Repubblica è di quel 13 per cento di italiani che da soli assicurano il 60 per cento del gettito Irpef.
O che la Repubblica è degli imprenditori, di tanti professionisti, di chi cerca l’eccellenza nel proprio lavoro, di chi fa straordinari, di chi ha accettato rischi e difficoltà per farsi strada nel mercato del lavoro.
Bisognerebbe, cioè, riconoscere il duplice apporto che le fasce più produttive offrono a questo Paese, da un lato contribuendo in termini diretti alla crescita economica, dall’altro conferendo, attraverso le tasse, risorse alla macchina pubblica.
Cambio di paradigma
Serve un cambio di paradigma culturale per imparare a celebrare il ruolo di chi crea ricchezza, anziché guardare ad esso solo nella prospettiva del prelievo fiscale.
Se la politica continuerà a ritenere che il contributo dei produttori sia “dovuto”, si accorgerà che esistono tante buone alternative ad essere produttivi in Italia, dall’andarsene ed essere produttivi altrove, al passare – qui in Italia – all’altro lato della barricata, quello dei percettori della spesa pubblica.