Politica

Sentenza ridicola: Elisabetta Franchi vittima del femminismo ideologico

Punita non per una discriminazione puntuale e accertata ma per un pensiero, per aver espresso ciò che tutti coloro che hanno un’impresa pensano

Elisabetta Franchi femminismo © Miguel Guasch tramite Canva.com

È arrivata la sentenza ad Elisabetta Franchi, 55 anni, bolognese, famosissima stilista nonché imprenditrice di grande successo, il suo brand è ovunque nel mondo. È stata condannata a pagare 5 mila euro all’Associazione nazionale lotta alle discriminazioni, che l’aveva querelata per le sue parole considerate “forti e sessiste”, tanto da sollevazione popolare, espresse durante una intervista ad un evento sulla moda.

Non solo, l’imprenditrice dovrà attivare un percorso contro le discriminazioni nella sua azienda, che seguirà lei stessa in primis, come “penitenza sociale” utile a non dire mai più che lei assume “solo donne ultraquarantenni”. Tipo le ginocchia sui ceci di un tempo, insomma. 

Ma, riavvolgendo il nastro, cosa avrebbe detto la signora Franchi, di così grave da prendersi una querela per discriminazione?

Quello che tutti e tutte, gli uomini e donne del mondo dell’imprenditoria dicono (o meglio pensano) da sempre. E querelare una imprenditrice per una frase decontestualizzata, relativa ad un concetto più ampio e complesso, è l’ennesima dimostrazione che certe associazioni non hanno contatto con la realtà ma preferiscono colpire a più non posso chi, al contrario di ciò che si pensa, ha in azienda la stragrande maggioranza di presenze femminili. 

Elisabetta Franchi è una azienda con 300 dipendenti, il 78 per cento donne, e cinque dirigenti donne. Tra gli operai c’è un 51 per cento di donne, tra gli impiegati l’80 per cento.

Problema reale, non discriminazione

Ma dov’è la discriminazione? Quella frase, come già detto, inserita in un concetto molto più ampio, è una denuncia del fatto che le donne spesso devono scegliere tra la vita privata e la carriera. Non è così forse? Esiste questo problema ed esiste specialmente quando si ricoprono ruoli apicali, di responsabilità, perché se in una azienda vengono a mancare per molti mesi si crea un problema. 

Reale, vero, non immaginario né sessista. Specie in una azienda così grande che investe nel mondo della moda a livello globale. L’intervista che la stessa Elisabetta Franchi ha rilasciato ad Hoara Borselli, per ilGiornale.it, ben chiarisce il punto di vista e come si lavora nella sua azienda: “Nella mia azienda si lavora bene. E sono stimata dai lavoratori. Abbiamo un welfare aziendale. Abbiamo sportelli di ascolto per i dipendenti, abbiamo la possibilità di prendere il Tfr in anticipo…”.

Tutte noi, sappiamo bene che esiste ancora e tanto quel famoso tetto di cristallo. Ed è giusto denunciare questo tipo di discrimine, questo lo è, non altro. Non lei, Elisabetta. È inutile e dannoso avere paura del politically correct facendo finta che non vi siano problemi.

Tante ragazze, donne più o meno giovani, sono penalizzate perché desiderano diventare mamme, oppure hanno già un bambino. Il perché è semplice, se si può dire di un problema così importante, ed è perché non si trovano soluzioni e supporti alla maternità: non si trova l’asilo nido, oppure costa troppo, non c’è più la famiglia di un tempo dove le nonne erano a casa. Oggi le nonne sono ancora attive e lavorano, non sono a casa a disposizione. 

Quindi esiste eccome il problema della maternità e del conflitto tra maternità e carriera, ma non è certo la Franchi a porlo in essere, bensì una società poco attenta al supporto genitoriale, da una parte, e da un eccesso di potere dei diritti sui doveri.

Perché se è vero come vero che è giusto avvalersi di leggi a tutela della maternità come della malattia, è altresì vero che taluni ne abusano. Chi ha ruolo di vertice, con mansioni importanti e di massimo impegno, dovrebbe essere anche più responsabile e andare a braccetto con il datore di lavoro. Ciò non calpesta i diritti, ma, Elisabetta Franchi ne è testimone, far parte di una squadra permette a tutti di essere più forti.

Lei è una donna che si è costruita da sola. È una madre, ha due figli e sa bene cosa significa l’impegno familiare e lavorativo. È così insensibile da aver messo su una fondazione a tutela degli animali, e ne promuove continuamente la cura e il sostegno.

Punito un pensiero

La cosa davvero raccapricciante è questa levata di scudi contro una donna, imprenditrice e manager, solo per aver espresso ciò che tutti coloro che hanno un’impresa pensano

Lei l’ha detto: ha espresso la difficoltà per una azienda ad avere donne che per motivi vari legati alla maternità stanno a casa anche due anni. È da condannare ? Oppure è da considerare una riflessione corale da fare per porre sotto la lente un vero problema? La maternità non è un problema, affatto. Ma è indubbio che l’assenza dal lavoro per tanti mesi o anni può esserlo. E chi dice il contrario, mente. 

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