Politica

Sì al modello Albania, perché l’Europa ha bisogno di una sua Ellis Island

Da simbolo di esternalizzazione dei confini europei a modello di governance Ue. Non una soluzione solo per l’Italia, ma il pilastro di una strategia comune

Albania

L’immigrazione è da tempo uno dei temi centrali nel dibattito politico europeo. Ogni giorno, migliaia di persone si mettono in viaggio verso il nostro continente, spinte da guerra, povertà e dal sogno di un futuro migliore. Questo fenomeno, strutturale e inarrestabile, ci pone di fronte a una domanda tanto urgente quanto irrisolta: come trasformare l’accoglienza da un problema percepito in un’opportunità concreta?

La risposta potrebbe risiedere in un modello storico, tanto simbolico quanto pratico: Ellis Island, la piccola isola nella baia di New York che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento divenne la porta d’accesso al sogno americano per milioni di migranti. Oggi, con il recente accordo tra Italia e Albania, quella porta potrebbe iniziare ad aprirsi anche per l’Europa.

Una nuova porta di ingresso

L’accordo stipulato tra Italia e Albania prevede la creazione di centri di accoglienza sul territorio albanese per gestire parte dei migranti soccorsi nel Mediterraneo. Una scelta controversa, ma potenzialmente rivoluzionaria se pensata in termini di una “Ellis Island europea”. L’Albania, ponte naturale tra Europa e Mediterraneo, potrebbe diventare il fulcro di un nuovo sistema organizzato di gestione dei flussi migratori.

Un tale centro potrebbe trasformarsi da simbolo di esternalizzazione dei confini europei a modello di governance comune. Non un “campo di contenimento”, ma una porta di ingresso: un luogo sicuro e dignitoso, in cui l’immigrazione venga regolamentata e trasformata in risorsa.

I vantaggi di un sistema centralizzato in Albania sono molteplici: ordine e coordinamento europeo, perché creare un hub migratorio fuori dai confini strettamente europei ma sotto gestione condivisa permetterebbe di uniformare le procedure di accoglienza, verifica e integrazione.

Dignità e sicurezza: il centro potrebbe diventare un luogo di accoglienza strutturata, lontano dai sovraffollamenti e dalle emergenze dei punti di sbarco, assicurando condizioni umane ai migranti.

Screening e formazione: come avveniva a Ellis Island, un centro di questo tipo offrirebbe la possibilità di identificare le competenze e i bisogni dei migranti, facilitando il loro inserimento nei mercati del lavoro europei.

Le sfide da superare

L’idea di un centro in Albania solleva interrogativi etici e politici. Alcuni temono che possa trasformarsi in una “periferia del respingimento”, dove i diritti dei migranti vengano messi in secondo piano. Questo rischio esiste, ma può essere evitato con un chiaro impegno europeo: il centro deve essere gestito con trasparenza, rispetto dei diritti umani e in piena cooperazione con le organizzazioni internazionali.

Inoltre, la chiave del successo risiede nella solidarietà tra i Paesi membri dell’Ue. Il centro in Albania non deve essere visto come una soluzione solo per l’Italia, ma come un pilastro di una strategia comune. L’Europa non può continuare a delegare o ignorare la realtà dei flussi migratori.

Oltre la paura, perché serve un’opportunità di progresso. E l’accordo con l’Albania può essere l’inizio di un cambio di paradigma. Come Ellis Island rappresentò la speranza per milioni di migranti in cerca di futuro, così l’Albania potrebbe diventare la nuova porta d’accesso all’Europa: non un muro, ma un ponte.

Governare i flussi significa organizzare, accogliere e integrare. Lasciare che continuino nell’irregolarità significa soltanto alimentare tensioni, paure e instabilità. Ellis Island ci insegna che il progresso non nasce dai respingimenti, ma dalla capacità di trasformare l’arrivo di nuovi cittadini in una forza economica e sociale.

L’Europa ha bisogno di quella forza. Ha bisogno di una Ellis Island mediterranea. E oggi, forse, questa Ellis Island ha un nome: Albania.

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