La sinistra dei soldi e dei vizietti è inadeguata quando vince e peggio quando perde. In campagna elettorale si è accanita su Giorgia Meloni accusandola di provocare il ritorno al Ventennio, alle camicie nere, alle leggi razziali.
Accuse assurde
Ha perso e ha proseguito alludendo alle sue matrici sessiste, fasciste e intolleranti, con argomenti squisitamente sessisti, fascisti e intolleranti, ma, soprattutto, cretini: si è vestita di nero; si è vestita “da maschio”; portava le scarpone basse; ha messo le scarpe alte ma non di classe come le nostre; vuole rimuovere il genere femminile dalle istituzioni facendosi chiamare “presidente” anziché “presidenta” o premiera; ha portato la figlia; il compagno è un palestrato. Discorsi di sconcertante, disperante pochezza.
Laura Boldrini, che nel peggio non manca mai, l’ha accusata di revisionismo nostalgico avendo donna Giorgia fondato Fratelli d’Italia, senza le “Sorelle”. Un’altra è arrivata ad insinuare che la “premiera” detesterebbe i bambini neri o figli di coppie omosessuali. Una bassezza inaudita. Siamo al manicomio.
Questa sinistra tracotante appare incapace di elaborare il trauma chiamato democrazia: libere elezioni che l’hanno punita. Per forza, non sono più avvezzi, erano abituati a comandare senza lo straccio di una investitura, per quei giochi miserabili del potere e adesso non accettano di cedere il passo per di più sbaragliati da una donna. Con tutte le femmine che si ritrovano nel Politburo, nessuna delle quali proponibile.
E allora si sfogano nel modo più meschino, seppellendo, dopo la pretesa rappresentanza delle classi lavoratrici, anche quella della classe intellettuale, culturale: il modo di porsi, di esprimersi, di ragionare, di citare di questi è tragicamente distante da una parvenza di spessore.
È tutta gente che sembra essersi formata sui fumetti di Zerocalcare, sul cinema romano lamentoso e autocompiacente, sulle trasmissioni come Propaganda Live, su certe smutandate succedanei di cantanti. Oppure, nei casi senili, sulle letture polverose, insostenibili e peraltro fraintese o orecchiate della vecchia saggistica propagandista Feltrinelli e Einaudi, zeppa di svarioni e di bugie, con in sottofondo magari macigni sonori dei vecchi tromboni in alienazione appenninica.
Il partito del regime
Ma c’è di peggio, Enrico Letta, il segretario fallimentare, scopre che come partito non sono riusciti “a connettersi”, dice proprio così, con gli strati deboli: e dice il vero e mente insieme, perché al Pd delle fasce sociali in disarmo interessa poco meno di niente e non da oggi, il suo è il partito clientelare per antonomasia, come si è ben visto dalle sceneggiate di Frosinone.
È anche il partito del regime, dei banchieri senz’anima, della competenza millantata, nonché dello stato concentrazionario che ha stritolato i poveri e i disperati per due anni e voleva continuare.
Precisato questo, va aggiunto che la chiamata alle armi di chi dovrebbe fare opinione, cioè guitti, palettare e influencer, è stata delirante; che gli unici diritti pompati fino all’esasperazione sono quelli delle leggi a senso unico sul gender, dei cessi senza sessi, dell’aborto non come garanzia ma quasi come dovere, moda, argomento di conversazione.
Roba che quando balli sulla bomba, quando stai per essere travolto dal disastro a tutti i livelli – energetico, economico, sociale – lascia il tempo che trova almeno se non sei di quelli storditi nella bolla, i cui psicodrammi consistono nella strampalata punteggiatura sessualmente corretta e nelle domande esistenziali: che cosa è il Pd? Dove va il Pd? Qual è il senso in questo mondo del Pd?
I provocatori da social
Qui c’è gente che anche quando viene bastonata non rinuncia a una spocchia pavloviana, genetica, ma non legge un libro in una vita e considera Elodie un faro di civiltà. Provocatori da social il cui orizzonte non va oltre l’invettiva e la delazione gretta, infantile.
Questo atroce periodo di guerra in tempo di pace ha disvelato alcune categorie grottesche, fra il trucido e il circense: virologi, debunker, che sarebbero i giornalisti falliti che spiano quelli veri, saltafila intriganti, opinionisti d’area: tutte cosche progressiste, del presepe di sinistra, dalla trivialità conclamata e con qualche problema di raziocinio.
Una che si ritiene molto ascoltata, la Selvaggia Lucarelli del sabato sera, trova di che ironizzare sulle auto della “premiera” e, quando un parente del diciottenne falciato a Roma da una drogata le spiega, con garbo, che Meloni si era recata al funerale del ragazzo in segno di pietà e di rispetto, non si tiene dal rispondere: avete visto, mi scatena contro l’odio.
Pulsioni indecenti
Oltre l’irrazionale e oltre il ridicolo. C’è una bassezza antica nella sinistra incapace di perdere, che non è quella del Dopoguerra, quando chi votava PCI manteneva una sua dignità, una misura di fondo e vorremmo dire una certa pulizia.
Semmai, ricorda la volgarità ripulita, profumata ma di stampo vecchio brigatistoide: l’avvertimento plateale, la minaccia, l’invettiva, l’osservazione losca, quel disprezzo insanabile. E sono incapaci di mettersi in discussione, di emendarsi.
Che fanno i figli di questi progressisti che si considerano tanto umani? Impiccano i pupazzi, danno fuoco alle foto, scrivono minacce di morte sulle sedi, sui muri all’indirizzo dei nuovi arrivati. E nessuno a spiegargli che stanno commettendo un errore tragico, che si stanno dimostrando intolleranti e carogne come lo furono i genitori.
Si può sentire una scolaresca che chiede nuove elezioni siccome ha vinto Meloni e Meloni non ha diritto di competere? Ma vai: più sono privilegiati e arroganti e più suscitano l’autocompiacimento familiare, stupido, rancido, di sempre.
Per questo, caro Letta, non vi hanno seguito. Perché il Paese, per quanti difetti abbia, e ne ha tanti, è comunque e sempre meglio di voialtri, incapaci perfino di dissociarvi dalle pulsioni più indecenti.