Il governo britannico ha monitorato le attività sui social media durante l’era pandemica condividendo le informazioni con il Dipartimento di Stato Usa. A riportarlo è The Telegraph che, nonostante le forti tensioni internazionali in atto, meritoriamente non abbandona le sue inchieste sulle distorsioni dell’epoca Covid.
Sorveglianza social
In pratica, la Rapid Respons Unit, una propaggine governativa formata nel 2018, avrebbe redatto un rapporto settimanale sull’esitazione vaccinale trasmesso in diverse occasioni all’omologo Global Engagement Centre americano. L’intento era quello di contrastare “la dannosa narrazione” che avrebbe avuto un impatto negativo sulla campagna di vaccinazione.
Una delle prime segnalazioni, trasmessa da Londra a Washington, ha riguardato Julia Hartley-Brewer, ospite di TalkTv, tacciata di “scetticismo vaccinale”. È stata proprio un’azione legale intrapresa dalla Hartley-Brewer, per aver travisato il suo pensiero, a far emergere lo scambio di informazioni tra il Regno Unito e gli States. Successivamente, il Cabinet Office ha presentato le sue scuse all’interessata per averla inquadrata erroneamente tra i dubbiosi.
Infatti, la Hartley-Brewer aveva scelto di farsi somministrare le dosi illustrando in diverse occasioni i benefici della vaccinazione però era fermamente contraria al passaporto sanitario. Tutto questo è stato portato alla luce grazie al lavoro dell’associazione britannica Big Brother Watch la cui attività è tesa a difendere le libertà civili dall’invadenza statale. Come riporta sempre The Telegraph, Silkie Carlo, che adesso presiede quest’associazione apartitica, ha dichiarato che molti giornalisti, politici e semplici cittadini sono stati trattati alla stregua di nemici pubblici.
Intanto, il lavoro dell’unità speciale governativa – ormai sciolta – si è dimostrato poco accurato e non imparziale, come sottolineato da Simon Baugh (già capo delle comunicazioni del governo britannico), aprendo uno squarcio abbastanza inquietante sul modo in cui è stata gestita la circolazione delle informazioni sui social media e sui siti internet nel corso della lunga stagione Covid. Sembra la trama di un film distopico ma assomiglia tanto alla realtà dell’ultimo triennio, dominato dal rigido potere di sorveglianza esercitato sugli individui dall’autorità statale, anche attraverso queste oscure agenzie governative.
Lockdown non necessario
Nel frattempo, nel Regno Unito dove le norme sanitarie non si sono rivelate così liberticide come in Italia, prosegue pure il lavoro della commissione d’inchiesta indipendente istituita dal governo inglese. Tuttavia, l’editorialista del Telegraph David Frost lamenta il fatto che l’indagine non sta andando a fondo su un tema assai spinoso come quello dell’efficacia dei vari lockdown. Frost sottolinea in particolare che il secondo lockdown, quello decretato dal governo Johnson nel novembre 2020, non era per nulla necessario e che non furono considerate tutte le diverse opzioni.
Probabilmente, quella decisione servì anche ad alleggerire la pressione sul governo Johnson in palese difficoltà in quel preciso momento. Eppure, Frost esprime la propria predilezione per l’approccio svedese più rispettoso dei cittadini e dei loro diritti inviolabili. Allora, si chiede se le chiusure generalizzate siano state la giusta reazione per un virus pericoloso ma comunque con un basso tasso di eventi fatali. A suo parere, quest’aspetto è fondamentale nell’economia dell’inchiesta che dovrebbe valutare l’impatto dei lockdown sulla popolazione. I cittadini hanno pagato un prezzo molto alto in questi anni – conclude Frost – e hanno diritto a conoscere la verità.
Free speech vittima collaterale
Fortunatamente, altrove il dibattito è ancora aperto e vivo, mentre in Italia sembra ormai archiviato e seppellito. Della già depotenziata Commissione d’inchiesta non si sanno più notizie. Per di più, sul modo in cui sono state somministrate le informazioni nel nostro Paese durante l’interminabile emergenza sanitaria ci sarebbe da aprire un capitolo a parte.
Al di là del terrore sparso a reti e testate unificate, non sono mancate le sanzioni comminate agli utenti dei social network, bannati o censurati per aver espresso opinioni contrastanti con il pensiero unico. È chiaro che il free speech è stato uno delle vittime collaterali del tremendismo ed è stato sacrificato sull’altare dei dogmi sanitari.
Anche in Italia, all’epoca del governo Conte, fu istituita un’unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione sul web e sui social network di fake news (o presunte tali) relative al Covid. Lo scopo dichiarato era quello di combattere la disinformazione che rischiava di indebolire lo sforzo di contenimento del contagio.
Resta il dubbio fondato e legittimo che tutte queste misure, più che limitare le notizie false, siano servite ad arginare il dissenso e a incanalare il dibattito verso le tesi più gradite al governo del momento. Pure su questo occorrerebbe un approfondimento ma, evidentemente, manca la spinta (e forse pure l’audacia) politica per affrontare questi argomenti controversi e assai imbarazzanti.
Democrazie indebolite
Eppure, ora che le democrazie occidentali sono minacciate su più fronti, una rilettura critica degli anni pandemici sarebbe utile a comprendere gli errori per evitare di ripeterli in futuro. A conti fatti, aver derogato ai propri principi per combattere il virus venuto dalla Cina non è stato un buon affare. Le nostre leadership si sono indebolite e le difese immunitarie – già fiaccate – del sistema liberale si sono ulteriormente abbassate. Così, i veri nemici hanno fiutato l’occasione e sono passati all’attacco.