Politica

Spunta Comunità Democratica: Renzi, Ruffini e l’ennesimo specchietto per le allodole

L’ex premier annuncia un nuovo “partito di centro” ed ecco “Comunità Democratica”. Delrio, Prodi e l’ex direttore dell’Agenzia della Entrate. Altro giro, altra corsa, solita giostra

Ernesto Maria Ruffini

Il gioco di prestigio del 30 dicembre. È l’ultimo lunedì dell’anno, una vigilia di San Silvestro che si consuma tra miccette e botti, rumorosi e ignorati, perfetta colonna sonora per mascherare il lancio di una “bomba politica” sotto forma di notizie apparentemente innocue. Ma attenzione: nulla è lasciato al caso. Tutto sembra pianificato con cura, un’operazione studiata nei minimi dettagli.

Ecco il quadro: tra il fumo dei bagordi festivi e la propaganda governativa, oggi si sono inserite due mosse che, seppur passate inosservate, disegnano una trama ben più complessa della somma dei titoli.

La svolta al centro

Primo atto, ore 8: Matteo Renzi, in una intervista a La Stampa, annuncia una “svolta al centro”. Ma attenzione, con una strategia ben precisa: non sarà lui il frontman. Tradotto, un gioco di posizionamento per garantire visibilità senza metterci direttamente la faccia. Ma a ciò siamo abituati. Non da adesso.

Nasce “Comunità Democratica”

Secondo atto, ore 13.30: sul sito dell’Ansa viene annunciata la nascita di “Comunità Democratica”, un nuovo movimento politico capitanato da Graziano Delrio, Romano Prodi e, colpo di scena, Ernesto Maria Ruffini. Sì, proprio lui, il dimissionario direttore dell’Agenzia delle Entrate, e volto della prima Leopolda, che aveva smentito un suo ingresso in politica ma ora sarebbe pronto a “fare politica fuori dal potere” – almeno così ha dichiarato recentemente.

Coincidenze? Difficile crederlo. “La trama che si delinea sa di déjà vu: un Renzi che, dopo la débâcle alle Europee, rilancia ancora una volta il suo progetto politico, questa volta camuffato sotto nuovi nomi e volti. Non c’è bisogno di scavare troppo per capire che questa Comunità Democratica ha il sapore di un’operazione tattica. Una coalizione elettorale – non strutturale – concepita per garantire qualche scranno sicuro ai fedelissimi, mentre il resto è solo teatro”, commenta Paolo Briziobello, che sul far della sera dell’antivigilia del nuovo anno pubblica un post sui social rilevando la curiosa “coincidenza” di notizie odierne, prima di giornalisti e osservatori politici.

Briziobello, commercialista torinese presente assieme ai sopra citati sin dalla prima Leopolda, che ricordiamo inoltre essere stato tra i fondatori di “Officine Democratiche”, associazione definita “think tank di Renzi”, a cui aderirono taluni facenti parte oggi del nuovissimo partito del “centro” che manca.

Forse sarebbe stato troppo palese chiamarlo tale. Troppo riconducibile. Troppo, insomma. Perché c’è una storia dietro al progetto di quel tempo, sfumato un attimo dopo l’ascesa di Renzi a premier.

Operazione sopravvivenza

Oggi Renzi, da consumato stratega, promette rivelazioni per l’anno nuovo e disegna scenari futuri, ma la sostanza resta la stessa: un’operazione che guarda più alla sopravvivenza politica che al rinnovamento reale. Il fiorentino gioca ancora a imitare Machiavelli, proponendo un leader diverso da sé, schivo ma “costretto” a sacrificarsi per il “bene comune”. Eh già. È avvezzo ai sacrifici, lui.

Uno schema questo che forse convincerà i nostalgici, gli irriducibili che ancora lo credono il Messia, ma difficilmente farà breccia in un elettorato sempre più disilluso. E come dar loro torto.

E poi c’è la “combriccola”: Delrio, Prodi e Ruffini, che si riuniranno a Milano il 18 gennaio prossimo. Non viene citato per ora Vincenzo Visco, mentore di Ruffini e figura divisiva, famoso per il suo rapporto non certo “idilliaco” con le partite Iva. Ma la sua ombra aleggia, e la sua eventuale comparsa non sorprenderebbe. Chissà come saranno felici coloro che venivano gratuitamente insultati, all’epoca.

La solita giostra

La posta in gioco è chiara, continua Paolo Briziobello: non si tratta di costruire una nuova visione per il Paese, ma di consolidare posizioni. Renzi e i suoi, con un partito ormai ridotto ai minimi storici, con il rischio di andare a casa, cercano di rilanciare un progetto politico che sa di vecchio, aggrappandosi a coalizioni di scopo che promettono tutto e niente. L’effetto è quello di una giostra che gira sempre sullo stesso binario, mentre il Paese resta a guardare, stanco e disincantato.

E chi ne beneficia? Indubbiamente Giorgia Meloni, che davanti a questo spettacolo caotico e autoreferenziale potrebbe persino festeggiare in anticipo il Capodanno. Un’opposizione divisa e frammentata è il miglior regalo che il governo possa ricevere.

Così si chiude l’anno: con le solite dinamiche, le stesse facce e i soliti giochi di potere. E mentre le allodole svolazzano verso l’ennesimo specchietto, chi resta davvero a perdere è un elettorato che meriterebbe molto di più. Buona vigilia, Italia. La giostra politica non si ferma, nemmeno a San Silvestro.