Politica

Taci, il nemico t’ascolta: le trappole della sinistra e la destra boccalona

Attualità del motto di propaganda degli anni 40: forse oggi più che allora, il nemico basa la propria offensiva proprio sul continuo spiare gli avversari

Una celeberrima rappresentazione grafica della propaganda bellica degli anni Quaranta raffigurava un soldato inglese con le orecchie a sventola, intento a ulteriormente aumentare la sua capacità uditiva, accompagnato dalla scritta: “Taci, il nemico ti ascolta”. Stando a quanto leggiamo sui quotidiani e sulle agenzie di stampa, pare che due giovani attiviste di Fratelli d’Italia si sarebbero lasciate andare a frasi antisemite e razziste, puntualmente intercettate dai soliti “ascoltoni”.

Ciò riporta in auge il soldato con l’elmetto a padella e la mano posta vicino all’orecchio. Anche il motto del famoso manifesto sembra oggi tutt’altro che superato. In esso, i due elementi paiono sinistramente attuali: che, in linea di massima, sia meglio tacere e che vi sia un nemico in ascolto è, purtroppo, verissimo anche in tempo di “pace”. Anzi, forse oggi più che allora, il nemico basa la propria offensiva proprio sul continuo spiare gli avversari, con l’aggravante che questi non indossano alcuna uniforme; un “nemico” che addirittura è spesso un importante organo dello Stato sembra ascoltarci tutti.

Le trappole della sinistra

Oddio, sciocchezze ne diciamo e scriviamo tutti e ci mancherebbe che fossimo tutti dei Giulio Andreotti – l’uomo a cui non sfuggì mai una sola parola dal sen sfuggita e/o che non volesse pronunciare – ma dobbiamo proprio essere dei boccaloni che non s’avvedono delle infinite trappole semantiche di cui cosparge la sinistra (campione di quello sport) il già non agevole percorso di chi abbia avuto la pessima idea di schierarsi anche solo nei pressi di un centrodestra che stravince alle urne, ma che pochissimi ammettono di votare?

Negli ultimi mesi abbiamo perso un bel po’ di tempo a disquisire su dozzinali busti del Duce acquistati al mercatino delle pulci che un’altissima carica dello Stato conserverebbe a casa sua, e sul punto – ve lo confermerò o smentirò quando m’inviterà per un caffè nella sua abitazione privata – pure in questi giorni sembra che a destra si caschi come le mosche nelle disgustose ma efficaci strisce di carta adesiva che l’establishment ha appeso al soffitto. Notare bene: dette striscette acchiappa-mosche si mettevano principalmente nelle stalle, perché i gioiosi ditteri non infastidissero un bove che, oltre che essere indispensabile, era pure pio e amato da tutti, non solo  dai poeti. Fatta questa considerazione, resterebbe da stabilire chi sia la mosca, chi il fattore e chi il bove, ma lascio a voi il piacere delle possibili figure retoriche confacenti al caso.

Come già detto, anche recentissimamente, proprio su questo quotidiano, a proposito delle parole sfuggite a generalissimi, eminenti politici, così come a eccellenti, eminenti se non santi rappresentanti del clero, riaffermando che un bel tacer non fu mai scritto, ci risiamo.

Il confine pubblico-privato

Il lato preoccupante di questa propalazione di discorsi privati è, semmai, legato all’attività costante e diuturna di strutture di ascolto, statali e non, che ci spiano anche nelle più private circostanze, quelle che giustificano l’esistenza di porte, finestre, muri domestici e circoli privati.

Più ancora che la minacciata abolizione della proprietà privata, che tanto piaceva a Stalin, passo dopo passo, ci stiamo avviando all’abolizione del confine netto e invalicabile tra pubblico e privato, con sostanziale buona pace di tutti quelli che gioiscono ad ogni rivelazione scottante su questo o quel personaggio, senza considerare che, abolita ogni frontiera, eliminata ogni porta domestica, abolita la necessaria riservatezza delle cose che facciamo per almeno un terzo della nostra esistenza, ben poco resterebbe della società.

Propongo ai soliti criticoni un cocktail da sperimentare, di cui generosamente rivelo gli ingredienti: mettete in uno shacker pari dosi di intercettazioni inopportune o abusive, principio del “cui prodest”, leggerezza e/o impreparazione degli spiati, guarnite infine con la stampa famelica di titoli ad effetto, poi agitate il tutto per bene e la bevanda sarà perfetta. Se berla o meno sta a ciascuno di noi, ma sarà comunque dotata dei bollini di sostenibilità ambientale, correttezza politica e provata efficacia.

Come sempre, i miei, sono soltanto spunti di riflessione e qualcuno, complice il Tour de France,   penserà a chi abbia voluto la bicicletta (rigorosamente a pedalata assistita) e non voglia o non sappia pedalare, allo stesso modo in cui si farà rispettosa menzione per chi viva facendosi esclusivamente i cazzi altrui. Via… roviniamoci e includiamo anche chi inciti allo scontro, salvo poi lavarsi la bocca con l’infantile pacifismo da Miss Italia, come non si può non riservare un posticino per quelli che non hanno capito che la storia crea e cancella se stessa, quali che siano le nostre capacità mnemoniche.

Pentoloni d’odio

Complimenti, tuttavia, alla mai doma e mai sazia sinistra, desiderosa di mantenere ben vive (per quanto impossibile in natura) epoche ormai lontane che dovremmo essere in grado di buttarci alle spalle, guardando avanti come si conviene a chi voglia sopravvivere a tanta mediocrità di pensiero.

Eppure, niente, la solita e stolida sinistra italica (quella che vince sempre anche quando prende botte da orbi) letteralmente gongola per gli ossequiosi titoli di giornale che ci fanno tornare ai tempi di Don Camillo e Peppone. Se, poi, il titolone che preannunzia l’imminente fine della libertà  in Italia faccia bella mostra di sé sul tavolino del bar, all’immediato scatenarsi dei “io ve l’avevo detto”, segue persino qualche minaccioso riferimento a Piazzale Loreto, come una sagace deputata pentastellata ha proferito pochi giorni orsono, nell’ennesima dimostrazione che no, senza versare pentoloni d’odio per l’esecrabile avversario proprio non possono stare.

I pentoloni d’olio (bollente) buttati nel Medioevo contro gli assedianti, finirono ben presto con l’avvento delle sempre più efficaci macchine da guerra dal XIII secolo in poi, mentre quelli d’odio sembrano ancora essere ritenuti efficaci. A ognuno la propria strategia e, soprattutto, la propria testa, soprattutto considerando quando ci si guadagni a voler lavare quella dell’asino.

Tornando a bomba (pardon, tornando ad innocuo petardino da bambini) non pare irragionevole affermare che delle affermazioni fatte in privato da due del tutto sconosciute ragazze aderenti ad un movimento giovanile di cui nemmeno si conosceva l’esistenza, possiamo farcene un baffo, anzi due. Basta che non diventino baffoni, a proposito dei quali, per par condicio, basterebbe ricordare quelli sfoggiati da un certo Iosif Vissarionovič, che intere schiere di manifestanti recano orgogliosamente sui loro vessilli nelle sempre più turbolente piazze italiane, magari con la scusa di solidarizzare con il popolo palestinese, del quale, sia detto per inciso, a tali manifestanti non importa assolutamente nulla.

Comunque mettiamola come vogliamo, con questo gran spiare si sta esagerando, alla faccia del diritto, del buonsenso e della correttezza. Ma, evidentemente, sono soltanto dettagli. Come quello che vede maggiormente scandalizzarsi per presunte frasi antisemite proprio quelli che manifestano assieme a quei movimenti che vorrebbero cancellare Israele dalla carta geografica.

Esattamente come avviene per la questione di Gaza, le ragioni degli israeliani e quelle dei palestinesi servono unicamente come scusa per esprimere questa insopprimibile voglia di rinfocolare la disputa tra fascisti e antifascisti, gli ultimi dei quali, poveretti per ambo le parti, sono ormai sepolti e, probabilmente, ci guardano dall’aldilà. Nel frattempo, il mondo gira per moto autonomo. Nuove sfide, nuovi conflitti, nuove minacce globali s’affacciano all’orizzonte, come da sempre avviene. E noi che facciamo? Ci azzuffiamo per quelle che noi genovesi definiamo delle emerite belinate.