Immaginate per un momento di ricevere una lettera raccomandata postale con la quale il vostro comune di residenza vi comunica di avervi comminato mille euro di multa per avere attraversato gli incroci a semaforo verde.
Il principio di non retroattività
Immaginate anche che il comune vi chiarisca che la sanzione deriva dall’introduzione di una norma di legge varata dal Parlamento con la quale è stato deliberato di invertire le indicazioni semaforiche e di applicare la modifica con effetto retroattivo.
Lo scenario vi apparirebbe certamente tragicomico, non credereste ai vostri occhi, ma avreste, allo stesso tempo, una grande opportunità, quella di comprendere la funzione fondamentale, essenziale, ineliminabile, del principio di irretroattività delle norme giuridiche.
La libertà consiste nella possibilità di scegliere consapevolmente le conseguenze delle proprie azioni e per questa ragione è essenziale che i cittadini sappiano in anticipo quali risultati sono previsti dalle norme giuridiche per le ipotesi del loro rispetto o della loro violazione.
Nella nostra Costituzione repubblicana il principio di irretroattività della norme giuridiche è prevista esclusivamente per le disposizioni di natura penale. Immaginatevi di andare in prigione perché avete guidato l’automobile a destra e ciò in quanto il Parlamento ha stabilito che saranno imprigionati tutti coloro che negli ultimi due anni hanno condotto la vettura in questo senso di marcia.
Se per il fisco non vale
Su questo tema della irretroattività penale la Corte costituzionale italiana non ha mai concesso eccezioni, mentre per ciò che concerne le altre materie la Consulta ha assunto un atteggiamento un po’ arbitrario, sottolineando sempre la natura essenziale del principio di irretroattività ma affermando subito dopo che circostanze particolari, eccezionali o discrezionali, e tuttavia ragionevoli secondo l’insindacabile giudizio del legislatore, possono giustificare norme con efficacia retroattiva.
Immaginate adesso di avere utilizzato le vostre entrare fiscali sulla base del calcolo delle tasse che dovete pagare e del netto che vi può rimanere in tasca. Ogni mese sapete che, fatto 100 il totale dei vostri introiti, 60 dovrete pagarle di tasse (perché così è previsto dalla legge) e 40 potrete spenderli come più vi aggrada.
Potete fare affidamento su una norma giuridica che vi consente di programmare la vostra vita, di prevedere azioni a medio e lungo termine. Potreste spendere ogni mese i 40 euro netti che vi rimangano e arrivare a zero ad ogni inizio mese, confidando nel reddito della prossima mensilità; oppure potreste risparmiare per accumulare un gruzzolo che vi servirà a fine anno per la realizzare un progetto quale che sia.
Cosa accadrebbe se, improvvisamente, il Parlamento decidesse con legge che la tassazione degli ultimi due anni non è più corrispondente al 60 ma al 70 per cento e vi chiedesse di pagare la differenza? Non esisterebbe più la libertà, non esisterebbe più la società civile, per il semplice fatto che si riconoscerebbe allo Stato il dominio assoluto delle nostre vite e la possibilità di negarne l’autonomia oltre quella di sapere in anticipo ciò su cui possiamo contare.
Nelle mani dello Stato
Accettereste un potere di tal fatta? Un potere che non vi consentirebbe alcun margine di libertà perché potreste sempre essere soggetti all’introduzione retroattiva di una norma afflittiva?
Beh, se siete a favore del decreto legge del governo Meloni che ha imposto la tassazione degli extraprofitti delle banche, avete già accettato di riconoscere questo potere allo Stato italiano.
Non è questione di stabilire cosa siano gli extraprofitti e nemmeno di discutere del ruolo delle banche. Molto più semplicemente occorre prendere posizione su questi interrogativi: è legittimo, lecito, civile, normale, che il governo (speriamo il Parlamento ci ripensi) decida ad agosto del 2023 di tassare con una nuova e più gravosa aliquota le basi imponibili del 2022 e del 2023 imponendo, pertanto, una efficacia retroattiva alla norma?
È giusto (perché ogni tanto bisognerebbe anche parlare di giustizia) che tutti coloro che avevano fatto affidamento su un certo livello di tassazione e che, quindi, avevano sviluppato programmi futuri (investitori, correntisti, azionisti) diventino “preda” dello Stato?
Oggi le banche, domani chissà…
Il fatto che si tratti di banche, brutte, sporche, cattive e responsabili di tutti i mali del mondo, forse vi scatenerebbe l’istinto di condividere la mazzata assetata da governo Meloni. Ma la questione è un’altra, e riguarda il riconoscimento della legittimità di un potere che oggi ha colpito le banche e domani potrebbe colpire chiunque: cittadini, imprese, pensionati. La nostra vita è nelle mani dello Stato, senza possibilità di salvezza alcuna.
E non serve confidare nella Corte costituzionale, perché, come detto, più volte la Consulta, pur affermando che quello della irretroattività è un principio fondamentale della civiltà giuridica, ha poi ceduto a riconoscere la discrezionalità, termine che edulcora il dramma dell’arbitrio, del legislatore.
In alcuni casi il Giudice delle leggi è persino arrivato ad affermare che un prelievo fiscale contrario a Costituzione non può essere recuperato da imprese e cittadini per non alterare l’equilibrio di bilancio dello Stato. Pace.
Oggi, col decreto sugli extraprofitti, è toccato alle banche e in molti applaudono. Un giorno, però, chissà…