Il nostro Paese è ormai assestato su un consolidato quanto insopportabile doppiopesismo. Uno stesso episodio può suscitare reazioni diametralmente opposte a seconda delle convenienze del momento. Non è passata inosservata, infatti, la palese incoerenza di coloro i quali si sono indignati per i fatti di Pisa, additando le cariche della polizia contro i manifestanti pro Palestina come un chiaro segnale di una torsione anti-democratica.
Il regime sanitario
Eppure, gli stessi nulla ebbero da dire quando, in epoca pandemica e in altri contesti, vennero usati addirittura gli idranti per respingere chi esprimeva la propria contrarietà alle severissime misure sanitarie. D’altronde, la casistica dell’era Covid si compone di una ampia rassegna di atteggiamenti fortemente repressivi.
Basti pensare ai droni utilizzati per scovare qualche bagnante solitario, agli indomiti runners braccati dagli agenti, alle persone anziane costrette ad alzarsi dalle panchine transennate, al terribile e prolungato lockdown, ai check-point in stile DDR dove bisognava esibire la famosa autocertificazione per non essere sanzionati, all’incredibile coprifuoco che evocava uno scenario bellico oppure, dulcis in fundo, all’odioso Green Pass che è stato l’assurdo epilogo di questa lunga serie di provvedimenti dispotici.
Anzi, in un’ottica ultra-orwelliana, coloro che protestavano erano considerati come nemici pubblici, reietti da isolare o da punire col braccio inflessibile della legge (o dei Dpcm). Guai a invocare la libertà individuale per sottrarsi al giogo sanitario. In quel caso, il Paese era unito e compatto nell’affrontare il virus venuto dalla Cina tralasciando (e giustificando) un piccolo dettaglio: la svolta autoritaria in atto.
Patto potere-media
Evidentemente, le legittime rimostranze di chi denunciava il preoccupante stato delle cose non meritavano la dovuta attenzione. Si era saldato un patto di ferro tra la maggior parte delle forze politiche e i principali organi di informazione (spesso e volentieri, grancassa dei virologi chiusuristi) per incanalare la discussione in un senso unico: la libertà individuale era considerata un ostacolo alla salute collettiva e come tale poteva essere sacrificata sull’altare del bene comune (o presunto tale).
La vera beffa, però, consisteva nell’autoproclamarsi democratici pur declinando una forma di Stato più vicina a esperienze oppressive che compiutamente liberali. Peraltro, ancor oggi si fa fatica a tentare di ristabilire un minimo di verità e, comunque, a ricondurre il passato recente in una giusta ottica.
Per esempio, sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo – rispondendo ad un lettore sul lavoro della Commissione d’inchiesta – ha scritto tra l’altro che “la campagna vaccinale è stata efficace, nonostante la presenza di combattivi media schierati contro i vaccini”. Così, tuttavia, si confondono ancora una volta i piani della discussione: il problema non sono stati i vaccini in sé ma il modo in cui sono stati veicolati cioè attraverso il coercitivo e discriminatorio certificato verde.
Confronto tabù
Tutto questo serve, probabilmente, a tenere ancora in piedi la narrazione dell’universo mainstream sui no-vax deragliando rispetto alla vera tematica. Tutto ciò, oltre a risultare anacronistico, diventa addirittura insostenibile ora che stanno emergendo dei fatti inoppugnabili. Nel Regno Unito, dove stanno indagando a fondo e senza sconti, la lente di ingrandimento è puntata pure sulla BBC che, secondo il parere di autorevoli scienziati, avrebbe fornito notizie eccessivamente allarmanti per spaventare la popolazione nel tentativo di far digerire le rigide misure sanitarie (a esser sinceri, molto meno rigide di quelle imposte in Italia).
In particolare, a Londra si discute da tempo della inutilità e della dannosità del lockdown sia per le attività economiche, sia per la salute mentale e sia per i diritti delle persone. Da noi, questo tipo di confronto laico è ancora un tabù prevalendo l’approccio fideistico, al di là della chiara necessità di alcuni di difendere a spada tratta scelte politiche assai contestabili.
Ergo, non può non evidenziarsi il contrasto tra l’atteggiamento reazionario quando si parla di faccende pandemiche e quello “liberal” (senza la e) quando magari si sposa una causa che piace a chi presidia l’informazione perimetrando la direzione del dibattito pubblico.
Per cui, ben vengano l’attenzione su quello che accade nelle piazze (purché si evitino gogne mediatiche e processi sommari a mezzo social) e la difesa del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (specialmente quando questo pensiero non collima con l’opinione dominante). Altrimenti, se in precedenza non si è tutelato chi si è seduto brechtianamente dalla parte del torto, poi non si può agitare lo spettro del fascismo a intermittenza. Non si risulta né coerenti né credibili.