Sembra giunta a un punto di svolta la famosa vicenda dei messaggi telefonici scambiati tra Ursula Von der Leyen e il ceo di Pfizer Albert Bourla, riguardanti le trattative intercorse tra la Commissione europea e la casa farmaceutica per l’ingente acquisto dei vaccini anti-Covid.
La trasparenza è d’obbligo
A interrompere questa lunga fase di stallo, ci ha pensato il New York Times che, come riportato dal quotidiano Politico, ha deciso di procedere per vie legali. È in ballo una questione di fondamentale importanza che attiene a un preciso dovere, anche di carattere giuridico, per la Commissione europea: rendere pubblico il contenuto di quelle conversazioni in nome della trasparenza e della buona amministrazione, visto e considerato anche il consistente esborso di euro a carico dei contribuenti.
Vaccini non testati sulla trasmissione
Sulla vicenda, finora, il comportamento delle parti non è stato propriamente collaborativo. Come sappiamo, Bourla, seppure convocato, non si è mai presentato davanti al Parlamento europeo. In sua vece, ha inviato Janine Small, responsabile commerciale dell’azienda farmaceutica.
In quell’occasione, si è creato un caso perché la delegata di Bourla ha ammesso che non erano stati effettuati test per verificare l’efficacia del siero nell’impedire la trasmissione del virus (facendo crollare l’impalcatura ideologica su cui si erano basati gli obblighi più o meno surrettizi). La Small aveva esibito un sorriso giocondo a corredo della risposta, come se quell’assunto fosse più che scontato.
Su Atlantico Quotidiano, è stato dato ampio risalto a quell’audizione sottolineando come, sulla base di un teorema non dimostrato (anzi smentito dai fatti e dalla Small), si era inciso pesantemente su diritti e libertà individuali. Peraltro, proprio tenendo conto di quelle “rivelazioni”, sarebbe necessario un approfondimento di tutta la faccenda come giustamente richiesto dal quotidiano newyorkese.
Von der Leyen a porte chiuse
La Commissione europea, dal canto suo, attraverso il commissario per i valori e la trasparenza, ha parlato di chat prive di importanza sottolineandone “la natura effimera e breve”. Insomma, la risposta alle pressanti interrogazioni è stata un deciso niet.
Peraltro, non ci sarà dibattito pubblico: la maggioranza parlamentare si è opposta. La Von der Leyen sarà ascoltata dai capogruppo e a porte chiuse. In barba alla tanto agognata trasparenza.
Altra situazione assai curiosa è quella che riguarda il ricorso depositato dal New York Times lo scorso 25 gennaio e pubblicato il lunedì successivo nel registro della Corte di giustizia europea. Al momento, cliccando sul sito della Corte si trovano solo poche laconiche informazioni: Stevi and The New York Times v Commission – Case T-36/23.
Nessun’altra indicazione (a parte la data di deposito del ricorso) è disponibile. Eppure anche questo sarebbe un fatto rilevante di cui i cittadini, in nome dei quali la giustizia viene elargita, dovrebbero essere messi a conoscenza.
Un’inchiesta a metà
La gestione pandemica, insomma, continua a essere avvolta da un alone di mistero e dalla scarsa disponibilità delle autorità europee, ma anche di quelle nazionali, a chiarire alcuni aspetti cruciali e particolarmente controversi. Soprattutto in Italia, dove alcuni argomenti (tipo le reazioni avverse) sono ancora un tabù e il fiacco dibattito è sempre dominato dal fondamentalismo sanitario.
Per esempio, ancora non è stato definito il perimetro di azione in cui sarà chiamata a operare la nascente Commissione d’inchiesta (che dovrebbe essere composta da 20 deputati e 20 senatori). La relatrice, Alice Buonguerrieri di Fratelli d’Italia, ha spiegato a La Verità che l’organismo dovrà indagare a 360 gradi.
Eppure, le proposte presentate da Lega, Italia Viva e Fratelli d’Italia puntano specialmente a far luce sulla prima fase emergenziale e in particolare: mancato aggiornamento e mancata attivazione del piano pandemico, valutazione della tempestività e adeguatezza delle indicazioni e strumenti forniti dal governo alle regioni, indagini su eventuali abusi e sprechi negli acquisti da parte del commissario straordinario, valutazione dell’attività svolta dal Comitato tecnico scientifico, la verifica dell’eventuale sussistenza di incongruenze e difetti di trasparenza nella comunicazione istituzionale e nell’informazione alla popolazione su tutti gli aspetti riguardanti la diffusione, la modalità di trasmissione e le misure di protezione dal virus.
Messe così le cose, sarebbero escluse dal campo di indagine sia le questioni relative ai diritti sospesi dall’abbondante normativa pandemica che quelle relative alla massiccia campagna di vaccinazione e agli effetti collaterali dei farmaci somministrati sotto la scure della carta verde.
Un fautore del Green Pass alla presidenza?
Peraltro, ulteriori perplessità riguardano pure colui che dovrà presiedere la Commissione. Se fosse eletto – come si vocifera – il renziano Davide Faraone, i dubbi crescerebbero a dismisura. Infatti, l’esponente di Italia Viva è stato uno dei più accaniti sostenitori del Green Pass.
La terribile certificazione verde fu definita da lui come “uno strumento di libertà e sicurezza, per difendere i cittadini e i lavoratori e tenere aperte le scuole e le attività economica”. Poi, cominciò a martellare contro coloro che contestavano il lasciapassare. Così scrisse su Twitter il 14 ottobre 2021:
Non vogliono il Green Pass e ti spiegano quanto sia più serio l’obbligo. Gli chiedi se vogliono l’obbligo e ti dicono di essere contrari anche a quello. Dicono di non essere contrari al vaccino ma contrari al green pass. Nemmeno loro sanno cosa vogliono, più confusi che persuasi.
E, ancora, un mese dopo, affondò il colpo contro i fantasmagorici no-vax: “Non possono rovinare il Natale degli italiani”. Evidentemente, in scia draghiana, credeva anche lui che il Green Pass fosse la garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiate o non contagiose. Per concludere questa breve rassegna, si scagliò pure contro chi protestava contro le norme liberticide: “Le manifestazioni contrarie al Green Pass non rispettano la legge e la gente che lavora”.
È vero che Faraone è uno dei firmati della proposta di legge per l’istituzione della Commissione ma è altrettanto innegabile che forse sarebbe più utile alla causa qualcuno che ha tenuto un atteggiamento più laico rispetto ai dogmi sanitari.
Un approccio più audace
Allo stesso tempo, occorrerebbe un approccio più audace in rapporto a tutta la vicenda pandemica. Prevalgono ancora titubanze, timidezze, esitazioni quando, altrove, per esempio, il governatore della Florida, Ron DeSantis, non ha avuto timore ad avviare un’inchiesta capillare sui punti più oscuri di questi anni pandemici o, come detto in apertura, il New York Times non ha avuto alcuna remora a trascinare la più alta istituzione europea davanti a una corte di giustizia.
Ora si attende che anche in Italia e in Europa, qualcuno abbia finalmente il coraggio di riscrivere la storia dell’ultimo triennio. In nome della verità finora negata e delle libertà sacrificate sull’altare del credo pandemico.