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Armi spuntate e polveri bagnate: ecco perché il discorso di Draghi ai Lincei non convince

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Mario Draghi ha tenuto un gran discorso ai Lincei. Argomento: il debito. “Il costo della scelta di avere una recessione invece di una depressione è stato il debito” e “continuerà ad aumentare” [sic]. Anzi, “l’Italia non ha avuto esitazione a fare pieno uso di tutti i fondi messi a disposizione dall’Ue, sia in sovvenzioni sia in prestiti”.

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Va bene, Mario. Ammesso e non concesso. Ma il maggior debito va finanziato. E tu, come lo finanzi?

Emettendo Btp? Non tanto: “Durante la crisi del 2011: il debito pubblico di alcuni paesi come l’Italia non è stato ritenuto sicuro dagli investitori, proprio quando il governo aveva bisogno di emetterlo per rispondere alla crisi … un circolo vizioso … dove la mancanza di sicurezza nel debito pubblico generava aumenti nei tassi di interesse, che inducevano i governi ad attuare politiche restrittive nel tentativo di guadagnare credibilità, la crescita ne risentiva, la credibilità di questi paesi diminuiva ulteriormente, i tassi continuavano ad aumentare. Lo ricordiamo tutti abbastanza bene quel periodo”. Sì, Mario, ce lo ricordiamo.

Ricorrendo a Bce? Beh sì ma, ufficialmente, solo sinché “l’inflazione nel medio periodo continua a essere molto più bassa del suo obiettivo primario”. Aggiunge che, “ad oggi il tasso d’inflazione all’interno della zona euro continua a rimanere basso e a richiedere una politica monetaria accomodante”. Tuttavia, “in futuro, queste circostanze potrebbero non ripetersi, se le aspettative di inflazione dovessero eccedere in maniera duratura l’obiettivo statutario di Bce”. Dunque, ufficialmente la risposta di Draghi sarebbe: no.

Facendo crescere il Pil? Sì: “Dobbiamo crescere di più di quanto si stima oggi. Anche per contenere l’aumento del debito. Se portiamo il tasso di crescita strutturale dell’economia oltre quello che avevamo prima della crisi sanitaria, saremo in grado di aumentare le entrate fiscali abbastanza da bilanciare l’aumento del debito che abbiamo emesso durante la pandemia … sono obiettivi non solo auspicabili ma sono obiettivi raggiungibili”. Questa crescita del Pil sarebbe il contenuto della promessa alla “graduale discesa del rapporto tra debito e prodotto interno lordo, necessaria nel medio periodo per ridurre le fragilità di una sovraesposizione”, che egli già aveva abbozzato al G7 ed a Barcellona.

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Va bene, Mario. Ammesso e non concesso. Ma, come ci torni alla crescita?

“Rilanciare la produttività”. Qui le cose si fanno complesse, perché la produttività è il rapporto fra il valore della merce prodotta e le ore lavoro necessarie a produrla: quindi, per aumentare la produttività uno può: o alzare i prezzi, oppure licenziare personale. Draghi risponde con una circonlocuzione: “aumentare la produttività si traduce nell’attuare il nostro programma di riforme”, il mitico Recovery Fund. Ah (!) In che senso?

“Abbiamo già approvato importanti semplificazioni amministrative, iniziato la riforma della Pubblica Amministrazione, delle assunzioni nel settore pubblico, riformato il Ministero dell’Ambiente, trasformandolo nel Ministero della Transizione Ecologica e, ingrandendolo, costruito il Ministero dell’Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale … I prossimi passi sono la riforma della giustizia civile, della concorrenza, degli appalti … Infine dobbiamo migliorare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne”. Ah Mario, ma che ce stai a cojonà?

E qui, gli parte la vena lirica: “occorre però, a questo punto, sollevare un attimo lo sguardo dall’orizzonte della macroeconomia” … ecco ci pareva … “per riflettere sulla profonda trasformazione che la nostra società si appresta ad affrontare. La transizione energetica, la consapevolezza dell’importanza della ricerca e il percorso che porterà le generazioni future verso gli obiettivi del 2030 e, poi, del 2050”. Cioè, avremo la produttività che ci consentirà la crescita che ci consentirà di finanziare il debito, grazie a … la decarbonizzazione (!).

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Sgomenti, cerchiamo segni di lucidità nell’intervista rilasciata dal ministro Franco: “persone, pianeta e prosperità. Non possiamo promuovere una prosperità condivisa per tutti senza prenderci cura del nostro pianeta … È ormai riconosciuto che il cambiamento climatico e il degrado ambientale hanno un forte impatto sulla performance dell’economia”; “rendicontazione aziendale sui temi della sostenibilità”; “aumentare le tasse sull’uso dell’energia”. Ciò proprio mentre Bruxelles si prepara ad imporre una tassa, non solo sul diesel consumato da camionisti ed agricoltori, ma pure sulle caldaie private negli edifici; nonché sui beni importati da fuori Ue (anche se qui c’è da aspettarsi fiere ritorsioni dal resto del mondo).

Improvvisamente, si fa chiaro come diamine Draghi voglia “rilanciare la produttività”: aumentando i prezzi.

Ammette il ministro: sì, tutto ciò porterà “probabilmente a un’inflazione di fondo più elevata”. Infatti, a Fubini che si preoccupa per le famiglie, “che dovranno pagare un prezzo più alto sull’elettricità rispetto ad oggi”, il ministro risponde: “beh, dipende dal punto di partenza” … cioè, antani. Non senza specificare: “dovremmo monitorare attentamente l’andamento dei salari” … cioè aumenti tutto ma non i salari. Infatti, abbiamo visto che Draghi vuole “migliorare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne”, cioè porre sui salari quanta più pressione possibile … al ribasso.

E se famiglie e lavoratori si incazzano? No problem, risponde la Lagarde: “Dopo aver accettato dure restrizioni per combattere la pandemia, il 70 per cento degli europei è ora favorevole a misure governative più severe per combattere il cambiamento climatico” [sic]. Pecore al macello.

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Vaste programme, avrebbe detto De Gaulle. Ma il Diavolo, a volte, dimentica i coperchi. E, così, ai Lincei Draghi il Grande deve fare qualche precisazione.

In primo luogo, egli presenta il seguente scenario di rischio sui tassi del Btp: “un tasso di interesse prudenzialmente alto, pari al 2,5 per cento”. Francamente ridicolo per uno che, nello stesso discorso, ha appena citato due volte il 2011, quando i tassi del Btp andarono oltre il 7 per cento. Egli non può non vedere che il buon Weidmann, gran capo di Bundesbank, dice e ripete ogni giorno che il PEPP deve finire con la fine delle misure di contenimento della pandemia. Sicché, a pensare che a questo servano le continue voci di un nuovo lockdown italiano fra fine estate ed autunno, si fa peccato ma forse si indovina.

In secondo luogo, la citata Lagarde vede che i soldi del Recovery Fund non basteranno a fare il lavoro di Bce quando Bce avrà smesso di comprare Btp e Oat. Sicché, “al Recovery Fund dobbiamo abbinare ciò che io ho definito un’unione dei mercati dei capitali verdi, un mercato dei capitali europeo veramente verde che trascende i confini nazionali”. Come se la Gran Madama scambiasse i mercati finanziari per delle signorine romantiche da romanzo d’appendice.

In terzo luogo Draghi, anche una volta avesse incredibilmente convinto i mercati finanziari della bontà delle proprie tesi, si rende conto di dovere assolutamente ottenere pure il consenso dell’Ue. La quale, altrimenti, lo bloccherebbe col Patto di Stabilità e col Fiscal Compact. Nel caso, torna ad evocare lo spettro del 2011: “il debito ci può anche dividere, se solleva lo spettro dell’azzardo morale e del trasferimento di bilancio, come successe dopo la crisi finanziaria”. E, allora, ai Lincei il nostro torna a blaterare di riformare le dette regole (pure Franco “ha fiducia”). Incurante dei Nein che gli piovono addosso, dal presidente degli sherpa dell’Eurogruppo Tuomas Saarenheimo al programma elettorale della CDU/CSU (e come abbiamo già visto su Atlantico).

Insomma, si ha la netta sensazione che Draghi sappia bene di star blaterando baggianate. E che, lui e la Lagarde, siano piuttosto disperati.

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PS: Nel frattempo, zitti zitti, i tedeschi si sono rimessi all’opera per togliere a Draghi anche una seconda alternativa, che Draghi non vuole ma che è sempre la preferita dai Piddini (vedi Reichlin ad Harvard o Bastasin su La Repubblica): il ricorso al Mes. Giovedì 1° luglio, il presidente Federale Steinmeier ha sospeso l’emanazione della ratifica del Nuovo Trattato Mes. Ciò su richiesta della mitica Corte costituzionale di Karlsruhe, la quale deve discutere un ricorso presentato da sette parlamentari della FDP (il partito liberale, probabile partner di maggioranza del prossimo governo tedesco), volto a rendere il ricorso al Mes talmente crudele da poter spaventare forse persino un fanatico Piddino.

Senza contare che la stessa Corte si prepara a far fuoco e fiamme contro l’Ue, nel contesto di una procedura di infrazione da quest’ultima aperta contro la Germania a seguito della precedente sentenza sugli acquisti di Bce, che noi ben conosciamo.

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