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Ballando sul mondo: il vuoto sotto le cronache fantozziane dal G20

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Benvenuti al Ballo. Il G20, appropriatamente tenutosi a Roma, vive di luci che accecano, bagliori a confondere le omissioni. Il livello delle cronache celebrative è ambivalente: da una parte i racconti, dagli accenti rétro, sui piaceri dei governanti, gli shopping delle debuttanti di 70 anni, la sorellanza tra Jill e Brigitte, le foto di gruppo senza mascherina, reinfilata, oscenamente, subito dopo. Il Corriere della Sera, che per queste cose è sempre sul pezzo, si è premurato di illustrarci il menu del Quirinale, “salmone marinato in polvere di olive”, raffinatezze per palati sensibili, il Tg1 è arrivato a definire quella di sabato “una radiosa giornata di sole” per gli illustrissimi ospiti, cronache fantozziane più che marziane.

Dall’altra, il silenzio desolato sui temi non risolti o neppure sfiorati. Non una parola sulla massiccia deportazione dei uiguri, popolazione musulmana dello Xinjang rinchiusa nei campi di concentramento cinesi dove, ridotti a schiavi, provvedono al grosso delle manifatture cinesi e dunque mondiali (il solo cotone, utilizzato in tutto il mondo proviene al 40 per cento da quella cattività orrenda e anacronistica). Niente neppure sull’attacco a Taiwan, democrazia residua nell’orbita cinese che sviluppa l’80 per cento dei microchip senza i quali la nostra società informatizzata va in tilt. È la somma provocazione di Pechino, che allarma gli Usa (le cui flotte stazionano al largo dell’isola), ed è qualcosa che Xi ha promesso di risolvere – e sta mantenendo – a modo suo, un modo da autocrate con poteri che non si ricordavano dai tempi di Mao. Controllando Taiwan, la Cina potrà condizionare l’economia tecnologica di tutto il pianeta. Una manovra che si inserisce nel quadro di nuova Guerra Fredda tra Stati Uniti e Dragone, che preoccupa il mondo libero, ma non trova spazio nelle celebrazioni gastronomiche romane.

Biden è arrivato a Roma con l’aria del padrone sorridente e un po’ rintronato, ma deciso a ricucire la trama di alleanze occidentali che Trump aveva sacrificato; la pacca sulla spalla di Draghi, che ha incassato con uno dei suoi strazianti sorrisi, aveva un significato anche preoccupante, di quell’amicizia benevola ma fino a un certo punto: “Vai avanti”, ha detto il presidente al nostro primo ministro, ma il messaggio, per chi voleva decifrarlo, era chiaro, vai avanti come desidero io e non rivolgerti alla Via della Seta che piace ai Prodi, ai D’Alema, ai Conte, ai Grillo e in definitiva pure a Mattarella.

G20 giustamente celebrato a Roma: nel quadro di questa nuova Guerra Fredda, l’Italia si ritrova vaso di coccio, terra di conquista, esperimento sociale come scrivono i giornali internazionali, ma esperimento dal sapore di spezie cinesi. Tutto da noi ricorda sempre più il controllo ferreo di una dittatura a partire dal Green Pass, e quando Biden dice a Draghi “stai facendo un ottimo lavoro” non si capisce se sia confuso o alluda a un lavoro di contenimento, alla democrazia concentrazionaria che serve a prendere tempo. L’Italia non ha più alcuna sovranità, è di fatto acquisita, il suo sistema industriale svenduto, molto alla Cina, parte agli Emirati, alcune sezioni a Germania e Francia. Proprio con la Francia si apre il capitolo, scabroso, del “Patto del Quirinale” tra Roma e Parigi che rischia di consegnarci nella morsa francese (ne parla solo La Verità).

Quale democrazia sta difendendo Draghi, secondo Biden? Dal canto suo, il premier italiano trova modo di spendere una frase, “Stiamo disegnando un mondo nuovo”, che non può non risuonare agghiacciante di per sé e a maggior ragione se si considerano le possibili conseguenze. La democrazia italiana è oggi, di fatto, una democrazia autoritaria, sospesa, ciò che sembra fare comodo sia alla Cina che agli Stati Uniti, sia pure per obiettivi e ragioni diverse; ne deriva, in ogni modo, una sorta di paralisi decisionale, una indecisione endemica, che l’espressione burocratica dell’Unione europea complica a ragion veduta: al G20 nessuno si è neppure lamentato dello spread proprio in queste ore manovrato in funzione ammonitrice, con tanti saluti al presunto prestigio personale di Draghi che ci terrebbe fuori dai guai. Le conseguenze sono molteplici, anche se pochissimi le intercettano.

Una sta nel ritardo della transizione tecnologica affidata al manager Colao, ministro a slide che non sa e non può decidere nulla in merito alla guerra nella guerra tra Cina e America, quella sul 5G: ogni mossa verrebbe interpretata malissimo almeno da una delle due superpotenze in causa, Colao cerca, all’italiana, di accontentare tutti, ma il costume nazionale dell’ambiguità non è più consentito dai tempi, dalle circostanze: l’effetto è la paralisi. E senza maturazioni su questo punto, gli agognati 200 e passa miliardi del Recovery restano dove sono. Il 5G è solo un aspetto fra i tanti che condizionano l’evoluzione di un’Italia tornata terra di esperimenti e di acquisizioni commerciali, economiche, culturali e perfino politiche.

Più evidenti, perché macroscopici, gli stalli sul clima. Qui davvero, al di là dei bla bla bla, per dirla in gretese, nessun passo avanti è possibile: sono i dati di fatto a parlare, è il crudo bisogno di energia che cresce in misura esponenziale a fronte di soluzioni impraticabili o improduttive, il libro dei sogni che può agitare gli adolescenti in fregola ma non sorreggere un mondo in crescita di fabbisogno e in debito di produzione. Se ne occupa, da par suo, Franco Battaglia sempre su La Verità, e nessuno lo smentisce. Xi ha snobbato il vertice romano, uno sgarbo calcolato, e intanto ha ottenuto una ridefinizione degli obiettivi nel segno della vaghezza: non più l’abbattimento della famigerata, chissà poi perché, CO2 entro il 2050 ma “entro metà secolo”. Intanto Cina e India continuano imperterrite a produrre energia carbonifera come se non ci fosse un domani. Ma l’Occidente gretino insiste nell’incolpare se stesso anche se influisce per meno di un terzo. Tutto qui l’impegno dei regnanti che sbarcano dai jet con 85 auto di scorta? Tutto qui.

Non di meglio in tema di cooperazione sui migranti, in realtà clandestini al 90 per cento: tutto resta – deve restare – com’è, con l’Italia meta di primo e quindi definitivo approdo. Neppure su questa aberrazione, questo palese, perenne tradimento delle intenzioni si è sentito alcunché di significativo: come non concludere per una sostanziale acquiescenza del nostro Paese verso i più perversi desideri europeisti?

La difesa della democrazia italiana come la vede Biden ha qualcosa di raggelante, consiste in una paralisi progressiva delle istanze sociali, dei diritti individuali a beneficio di un sistema di potere allagato, più che allargato, a quasi tutte le componenti politiche. Il nuovo mondo vagheggiato ricorda molto il mondo antico del dirigismo statalista per cui il rifinanziamento del reddito di cittadinanza ad opera di Draghi, che di fatto lo ha portato a 10 miliardi l’anno per i prossimi 8 anni, dimostra la resa della politica: di lavoro non ne avrete, la creazione delle nuove occupazioni è chimerica, la filiera produttiva e industriale non dipende più da noi, possiamo solo garantirvi una logica di sussidio, una lotta sociale che sarà vinta, al solito, dai più spregiudicati. Oggi Draghi annuncia che sul reddito di cittadinanza verranno finalmente compiuti i controlli del caso, come dire che fino ad oggi se ne è fatto a meno. I risultati, infatti, sono devastanti. Ma, data per acquisita la pratica malavitosa, il nostro Supermario è davvero sicuro di cavarsela a parole? Mezzo Sud campa su un sussidio che non gli spetta: chi ci va a revocarlo a mafiosi, violenti, omicidi, chi se la sente di sradicare il circuito della corruzione che coinvolge ispettorati, enti locali, assessori, Inps, istituzioni a contorno, apparati di sicurezza? Non ci riuscirebbe il prefetto Mori a chiudere l’ennesimo vaso di Pandora al Sud, e crede di riuscirci questo tecnocrate che pensa in termini globali ma gli sfugge completamente il senso della vita spicciola, quotidiana, dei suoi problemi e necessità, del suo malaffare?

Per non smentirsi, Draghi ha appena licenziato una manovra a parole espansiva, ma che rinuncia a qualsiasi serio abbattimento della pressione fiscale per concentrarsi sul tirare a campare, 24 miliardi su 30 in deficit, una polvere di interventi. I dettagli, poi, li nasconde il diavolo: secondo l’ultimo rapporto del Mise, le tariffe pubbliche sono cresciute del 9,5 per cento, quelle regolate del 19 per cento, riso e cereali costano il 43 per cento in più, i prodotti caseari il 10 per cento, le carni il 6, gli olii il 21, i vino il 10, i voli in area Ue il 41,7 per cento. La revisione dei veicoli, altro balzello di stampo europeo, dall’1 novembre è salita da 69 a 80 euro. Bolli, marche, non ne parliamo. E non parliamo neppure delle bollette. Questo sarebbe “mettere i soldi nelle tasche degli italiani anziché toglierli”?

La democrazia all’italiana che piace a Biden reprime i manifestanti pacifici, punisce Trieste dopo i cortei ma chiude gli occhi sulle manifestazioni artificiose per l’ambiente o la abortita legge Zan, dove i manifestanti rivolgono minacce di morte a chi l’ha osteggiata e si scagliano contro “le destre”, il capitalismo, il sovranismo, tanto per non lasciare equivoci sull’agenda umanitaria. Divisioni che, allo stesso modo del Black Lives Matter in America, fanno comodo a Pechino perché minano la coesione sociale interna, indeboliscono un senso di appartenenza nazionale consentendo alla penetrazione cinese di avanzare senza resistenze anzitutto culturali.

Draghi ha regalato un’altra frase dal significato criptico, “l’unica risposta è il multilateralismo”: risposta a cosa? Alla 26ma Cop, fallita come tutte le altre? Multilateralismo come? In modo da non scontentare né il capitalismo comunista cinese, né il capitalismo misto americano, né la burocrazia di Bruxelles? Non si capisce, ma il popolo stia sereno, il G20, comunque sia andato, è stato un successo. Per qualcuno, ma non per tutti.

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