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Basilicata al voto: una Regione dimenticata, depredata e malgestita

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Premesso che l’interesse mediatico verso la regione Basilicata è sempre stato pressoché vicino allo zero, siamo alla volata finale nell’ultima settimana prima del voto che deciderà il nuovo governatore regionale. Differentemente da quanto detto per l’Abruzzo o per la Sardegna, questa tornata non è stata bollata come elezione di MidTerm per il governo o di riscatto per l’opposizione Pd. Visto il poco approfondimento, facciamo una veloce panoramica: per la seconda volta in otto anni e mezzo il governo regionale si dimette (o decade) per uno scandalo giudiziario. Prima il governatore Vito Defilippo per lo scandalo legato ai rimborsi che ha travolto maggioranza ed opposizione (poi premiato da Renzi con la nomina a sottosegretario per la sanità), ora Pittella (Marcello, il fratello di Gianni e figlio di Mimì), messo sotto indagine e sottoposto a provvedimenti cautelari per via dello scandalo dei concorsi legati alla sanità regionale, un filone che ha travolto più di 30 persone con in testa il presidente Pittella, il dg dell’Asl regionale e il direttore amministrativo, attualmente in discussione nelle aule dei tribunali (e per questo non di nostra competenza).

La Regione Basilicata non ha mai cambiato colore politico negli ultimi 49 anni, prima feudo di Colombo con la Dc, poi dopo la svolta dell’accordo fra Margherita e Ds (poi Pd) diventa una monarchia elettiva incontrastata dove il centrosinistra arriva a vincere con percentuali bulgare, oltre il 65 per cento. Le regionali di Basilicata sono sembrate sempre qualcosa di già scritto, ed è per questo motivo che i leader nazionali non hanno investito tempo e risorse per un territorio che conta poco più di 500mila abitanti. Eppure, questa Regione è una delle maggiori esportatrici di acqua sul territorio nazionale (la maggior parte venduta alla Puglia), e il maggior giacimento di petrolio in Europa su terra ferma.

Eppure, mai una parola su questa regione, mai una parola sulla ripartizione delle royalties fra le più basse al mondo (il 7 per cento su più di 100mila barili estratti al giorno e con diverse apposizioni da parte dei giudici contabili che hanno rilevato un pessimo utilizzo da parte di regioni e comuni delle stesse), mai una parola su una regione che per il peculiare microclima è leader nell’esportazione di agrumi e frutta, tanto da essere chiamata la California d’Italia. La Regione è stata gradualmente svenduta pezzo per pezzo, infatti, le bassissime royalties petrolifere (anche mal
gestite) hanno reso ricchissimi alcuni comuni e non sono state investite su opere strategiche fondamentali come infrastrutture, trasporti e sviluppo economico. Stiamo parlando di una regione che ha Matera, la capitale europea della cultura 2019, non raggiunta dalla Ferrovia di Stato, o stiamo parlando di strade senza spartitraffico (Sinnica e Basentana) che rappresentano con la Jonica le migliori opere dai tempi di Emilio Colombo (presidente dal 1970-72). La stessa regione che nonostante abbia istituito una università locale vanta l’83 per cento di immatricolazioni fuori regione, con un tasso di spopolamento pari a 3mila under 30 che emigrano ogni anno e con tassi di disoccupazione in alcune aree che toccano anche il 30 per cento della popolazione.

La verità è che i governi centrali, di fronte ad una mediocrità agghiacciante degli amministratori locali, per mancanza di interesse o per complicità rispetto alle scelte adottate hanno adoperato una politica di laissez-faire, alimentando una situazione di sottosviluppo industriale e sociale. Le regioni limitrofe hanno approfittato delle risorse naturali, come l’acqua (ricordiamo che l’acquedotto lucano fino a qualche decennio fa si chiamava “Acquedotto Pugliese”, ed era la Puglia ad avere la Golden Share sull’utilizzo di una risorsa non propria), o come il petrolio. Si è permesso che la regione, di fronte a questa valanga di denaro, gestisse in autonomia l’assunzione di incaricati stagionali come guardaboschi o forestali, che volente o nolente, ampliano la rete della politica clientelare. Per non parlare dell’Opa che le cooperative di raccolta e vendita emiliane e romagnole hanno fatto nei confronti delle aziende agricole locali, sottopagando e sottostimando il prodotto all’ingrosso e mettendo con il coltello alla gola i piccoli imprenditori.

È vero, esistono la Fiat, la Barilla e la Ferrero in Basilicata, nell’unico distretto industriale che ancora regge e crea occupazione, mentre quello del metapontino è stato smantellato un pezzo per volta lasciando una serie di capannoni abbandonati, tanto che un ente regionale (ricordiamo che la Basilicata è anche maglia nera nella razionalizzazione delle società partecipate dalla regione) dà in concessione suoli a chi decida di fare impresa in quel territorio. Peccato che quei suoli siano ancora vuoti… Ultima e non per ultima, la questione ambientale. La Basilicata ha due parchi naturali nazionali e svariati parchi regionali ed una varietà di flora e fauna ragguardevole, ed è anche una delle regioni con la più alta incidenza tumorale. Sono state riscontrate a più riprese inquinamenti delle falde acquifere, ma l’ARPA-B dice che è tutto ok. La maggior azienda che si occupa di smaltimento e trattamento dei rifiuti chimici derivanti dalle estrazioni dei centri Eni e Total è una azienda partecipata da Regione e privati, ma anche la maggiore indiziata rispetto a questo inquinamento ambientale.

Ok, la Basilicata non sarà la partita della vita per i leader nazionali, ma mi sembra davvero inverosimile che si possa avere così tanto i paraocchi da non leggere una situazione così drammatica e almeno cercare di avere un sentimento di riscatto e di cambiare le cose. In Basilicata i grandi numeri non ci sono, ma ci sono i soldi e ci sono le risorse che hanno fatto la fortuna di altre regioni o di una ristretta oligarchia. Un governo nazionale o comunque un partito o movimento che guarda all’intera nazione, ha il dovere, se si candida a guidare un Paese, di non garantire solo uno standard di qualità di vita alto a determinati territori o fare una valutazione comparativa di opportunità, ma si impegna a garantire le stesse opportunità di crescita per ogni territorio cosicché ai blocchi di partenza ogni cittadino ed ogni impresa abbiano le stesse opportunità di sviluppo e di crescita organica di ogni territorio, altrimenti vorrebbe dire fare consapevolmente la stessa politica sociale delle colonie africane del primo ‘900.

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