Da Gerusalemme – Il leader di destra Naftali Bennett è il neo primo ministro d’Israele. Domenica sera, il nuovo governo è passato alla Knesset con 60 voti a favore e 59 contro. Il “regno” di Bibi Netanyahu è pertanto finito dopo 12 anni, ma qui in Israele non c’è tempo per pensare a quale sia l’eredità politica lasciata dall’ormai ex premier.
Le minacce di Hamas continuano, gli scontri aumentano quotidianamente a Gerusalemme Est e nella West Bank, e le foreste nei dintorni di Gerusalemme bruciano ogni giorno per motivi dolosi (probabilmente causati da simpatizzanti di Hamas). Il nuovo governo pertanto è già al lavoro e la sicurezza nel Paese è la priorità.
Bennett infatti si sta già preparando a contrastare una escalation per questo martedì. Dopo aver detto che la “marcia delle bandiere” era stata annullata, la polizia ha poi deciso la scorsa settimana di permettere ai settlers e ai gruppi di estrema destra di organizzare la manifestazione il 15 giugno. In molti pensano che si tratti di un “regalo avvelenato” di Netanyahu a Bennett, che adesso non può fermare una marcia indetta proprio dalla sua base elettorale e potrebbe doversi preparare a una nuova guerra, che gli creerebbe problemi nella coalizione di governo con i deputati arabi e i partiti di sinistra.
I media hanno informato che la marcia passerà da Bab Al Amoud, la porta che conduce al quartiere musulmano, per poi arrivare al Kotel (Muro del Pianto). Hamas, che nel fine settimana era rimasto in silenzio, lunedì ha detto che risponderà alla marcia con i missili, che potrebbero essere lanciati verso la zona centrale di Israele (Tel Aviv o Gerusalemme). Il quotidiano libanese Al-Akhbar ha riportato che Hamas avrebbe già avvertito il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, che la risposta del movimento alla marcia sarà la stessa dello scorso mese (il 10 maggio, durante la marcia delle bandiere, Hamas lanciò vari missili su Gerusalemme).
“Con l’intensificarsi della presenza di aerei da guerra e di ricognizione [israeliani] nei cieli della Striscia di Gaza negli ultimi due giorni, la resistenza palestinese ha aumentato il grado di allerta, e sono state impartite istruzioni alle unità missilistiche di prepararsi all’azione. Contrariamente alle valutazioni dell’occupazione israeliana, secondo cui la resistenza risponderà lanciando palloni infuocati o alcuni missili nell’area adiacente a Gaza, [un membro di Hamas] ha rivelato che la risposta della resistenza sarà studiata e parallela alla marcia degli estremisti a Gerusalemme”.
La scorso giovedì, Hamas aveva lanciato un missile di avvertimento verso il Mediterraneo e, sempre lo stesso giorno, il movimento terroristico aveva nuovamente minacciato Israele di interrompere la tregua, se i finanziamenti del Qatar non fossero entrati direttamente a Gaza al più presto possibile. Israele però non ha ceduto e non vuole cedere su questo punto. L’ex capo del Mossad, Yossi Cohen, ha anche ammesso recentemente in un’intervista di aver fatto un errore di valutazione in passato a lasciare entrare i finanziamenti qatarioti a Gaza. Nel 2020, infatti, i quotidiani israeliani avevano riportato che Netanyahu aveva mandato Cohen a “pregare” il Qatar di continuare a inviare finanziamenti direttamente a Gaza. “Con l’approvazione di Israele, il Qatar dal 2018 ha fornito periodicamente milioni di dollari in contanti a Hamas per pagare i costi della centrale elettrica della Striscia, per pagare gli stipendi ai propri dipendenti pubblici e per fornire aiuti a decine di migliaia di famiglie povere. Secondo quanto riferito, Israele lo ha fatto in cambio della garanzia da parte di Hamas di continuare a mantenere la calma nel sud del Paese”, ha riportato il Times of Israel.
Dopo la guerra degli “undici giorni”, l’opinione pubblica nel Paese ha criticato fortemente il ruolo del Qatar – che ospita fra l’altro il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e l’ex capo dell’ufficio politico del movimento, Khaled Mashal – e adesso, con il nuovo governo guidato da Bennett, Israele non ha intenzione di fare entrare così facilmente i finanziamenti da Doha, soprattutto se Hamas continua a richiedere migliaia di prigionieri in cambio dei quattro ostaggi israeliani a Gaza (due vivi e due morti). Nel frattempo, anche i rapporti fra Israele e il Qatar sembrano deteriorarsi. La scorsa settimana, l’8 giugno, i media israeliani hanno riportato che una delegazione era partita dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv destinazione Doha per discutere i finanziamenti a Gaza. L’aereo è però dovuto atterrare ad Amman, facendo pensare che il Qatar si sia rifiutato di fare arrivare l’aereo a Doha.
La tensione rimane pertanto alta. L’esercito israeliano ha detto domenica mattina che la situazione potrebbe deteriorarsi da un momento all’altro. I media hanno inoltre riportato ieri che il sistema di difesa antimissile, Iron Dome, è pronto per entrare in azione. Se Hamas dovesse attaccare, questo sarà il test che Bennett dovrà superare per dimostrare di poter difendere la nazione dal terrorismo. Prima del voto di fiducia alla Knesset, Bennet aveva detto di essere pronto anche a lanciare un intervento militare di terra. Nel frattempo, lunedì mattina, il Ministero degli affari esteri dell’Autorità palestinese ha pronunciato il primo commento sul governo Bennett: “Un governo è stato formato senza Netanyahu, ma non è accurato chiamarlo ‘governo del cambiamento’, tranne che il cambio non sia inteso solo come l’eliminazione di Netanyahu. Per il resto, per quanto riguarda le politiche del Paese, non è cambiato niente”.
Qualcosa però è già cambiato e non soltanto perché la coalizione è sostenuta anche da un partito arabo, United Arab List, guidato da Mansour Abbas. Il Paese si è svegliato ieri senza i partiti ortodossi al potere, che negli anni avevano sostenuto Netanyahu. Il nuovo governo ha messo fine anche all’influenza dello Shas, che rappresenta gli ortodossi sefarditi, e di Yahadut HaTorah, che rappresenta gli ortodossi ashkenaziti, che fino a oggi hanno avuto l’autorità di determinare chi era ebreo e chi non lo era, mettendo in difficoltà l’immigrazione ebraica nel Paese, specialmente quella proveniente dalla Russia. I media dicono anche che il nuovo governo potrebbe finalmente introdurre il matrimonio civile, una riforma richiesta da tempo dalla popolazione, che riconfermerebbe Israele come unica democrazia del Medio Oriente.