Altro che rottura sfiorata… l’azione di disturbo di Parigi creerà qualche grattacapo, senza scalfire la sostanza e, soprattutto, la valenza geopolitica del gasdotto
La scorsa settimana, su Atlantico, avevamo segnalato due date da tenere d’occhio per capire chi in Europa sta lavorando a un divorzio strategico dagli Stati Uniti, a che punto sia lo slittamento dell’Ue nell’orbita euroasiatica e per valutare l’efficacia delle pressioni dell’amministrazione Trump per contrastarlo. Per quanto riguarda la seconda, il prossimo 19 febbraio, rimandiamo all’articolo.
La prima, il voto di venerdì scorso su un pacchetto di revisione della direttiva europea sul gas che avrebbe potuto mettere a repentaglio la realizzazione di Nord Stream 2, è alle nostre spalle. Cosa è accaduto? Come leggere il compromesso dell’ultimo minuto siglato tra Parigi e Berlino che ha sbloccato l’impasse? Un primo successo, grazie a Macron, degli oppositori a Nord Stream 2, dal momento che il gasdotto dovrà operare nel rispetto della normativa europea, oppure l’ennesimo capolavoro di Angela Merkel, che ha salvato il progetto garantendo a Berlino (e Mosca) il pieno controllo su di esso?
Alla vigilia del voto, come riportato nel nostro articolo, a sorpresa Parigi aveva preso posizione a favore delle modifiche, che oltre a prevedere che le rigide regole europee fossero estese “al territorio e alle acque territoriali degli stati membri”, comportavano la supervisione della Commissione europea sulle pipeline che arrivano da Paese terzi (dalla Russia, in questo caso). E com’è noto, e ovvio, Bruxelles è più sensibile di Berlino alle preoccupazioni degli altri stati membri su un progetto che aggraverà la già rilevante dipendenza dell’Europa dal gas russo. Il 60 per cento del gas in Germania, la più grande economia europea e il centro geopolitico dell’Unione, arriverebbe dalla Russia. “La Germania espanderà la sua rete di terminal per il gas naturale liquefatto”, ha assicurato la cancelliera Merkel per dimostrare che “non vogliamo certo essere dipendenti solo dalla Russia”.
Ma per evitare qualsiasi rischio, il governo tedesco si è sempre opposto agli emendamenti alla direttiva gas, potendo contare sulla necessaria “minoranza di blocco”. Senonché giovedì scorso, a sorpresa, il governo francese si era sfilato dalla difesa di Nord Stream 2, facendo filtrare alla Süddeutsche Zeitung preoccupazioni “strategiche” riguardo una eccessiva “dipendenza dalla Russia”, seguite da una nota del Ministero degli esteri in cui si confermava l’intenzione di Parigi di votare a favore del pacchetto di modifiche, privando così Berlino della sua “minoranza di blocco”. Una svolta clamorosa, considerando che pochi giorni prima la cancelliera Merkel e il presidente Macron avevano firmato il Trattato di Aquisgrana, che prevede un coordinamento franco-tedesco su tutti i più importanti dossier Ue, e che in particolare impegna i due partner al rafforzamento della cooperazione in settori chiave, come energia e difesa. E infatti, lo strappo non si è consumato. Nella notte tra giovedì e venerdì francesi e tedeschi hanno lavorato fino all’ultimo per evitarlo e raggiungere un compromesso.
In base a questa intesa, i gasdotti che si collegano alla rete europea da Paesi terzi dovranno essere sottoposti alla stringente normativa Ue, ma la responsabilità della sua applicazione e la supervisione spetterà allo stato membro nel cui territorio o nelle cui acque territoriali si trova il primo punto di interconnessione della pipeline. Nel caso di Nord Stream 2, la Germania.
Certo, oltre all’applicazione di tariffe non discriminatorie, la normativa europea imporrebbe, in teoria, la separazione della proprietà tra gestore del gasdotto e fornitori di gas, il cosiddetto unbundling, mentre nel caso di Nord Stream 2 la russa Gazprom è sia proprietaria al 100 per cento della pipeline che fornitore al 100 per cento del gas che vi passerà. Addirittura, la direttiva imporrebbe ai gestori delle infrastrutture di permettere l’accesso a società terze rendendo disponibile una quota minima di capacità.
Il compromesso franco-tedesco conferma queste regole, ma ne affida la supervisione alla Germania piuttosto che alla Commissione. E questo fa la differenza tra un progetto che, seppure parzialmente rivisitato, sarà completato e il rischio, invece, che venisse bloccato o rinviato sine die dai niet di Bruxelles. A Berlino, ma soprattutto a Mosca, si teme che a questo punto la realizzazione del gasdotto possa rivelarsi impraticabile, economicamente insostenibile, o bene che vada meno redditizia, ma la buona notizia è che sarà il governo tedesco, e non la Commissione Ue, a negoziare direttamente con la Russia e con Gazprom ogni modifica che si renderà necessaria.
È probabile che ora Berlino cerchi da una parte di ottenere un’esenzione dalle regole europee per Nord Stream 2, almeno da quelle più gravose, sulla base del fatto che il progetto è stato avviato prima delle modifiche discusse, che sono stati già posati circa 370 km di tubi su 1.225, e quindi la sua cancellazione è irrealistica, considerando anche la partecipazione di giganti energetici di diversi Paesi europei (le tedesche Wintershall e Uniper, l’anglo-olandese Shell, la francese Engie e l’austriaca OMV). Dall’altra, di negoziare con Mosca alcuni correttivi per venire incontro alla normativa Ue. Insomma, il compromesso può complicare le cose, soprattutto per i russi, constringendoli ad esempio ad accettare che Gazprom non sia l’unico proprietario e gestore della pipeline.
In pratica, la Francia e i Paesi oppositori – Polonia, Paesi baltici e gruppo di Visegrad – hanno ottenuto che il progetto debba essere sottoposto a regole più stringenti e controlli più rigorosi rispetto allo status quo ante, probabilmente anche ad una sua parziale revisione meno favorevole a Mosca (e questo spiega perché, fatto proprio dalla presidenza di turno rumena, il compromesso franco-tedesco sia stato approvato da tutti gli ambasciatori, a eccezione di quello bulgaro), mentre la Germania ha ottenuto di mantenerne saldamente il controllo e di bloccare i piani che minacciavano il suo stesso completamento. Se con la vecchia formulazione infatti il gasdotto sarebbe finito inequivocabilmente sotto la giurisdizione Ue per la sua approvazione, sebbene ne complichi i termini di realizzazione quella nuova non conferisce all’Ue il potere di ucciderlo. Un risultato non di poco conto per Berlino, considerando che poche ore prima aveva perso la sua “minoranza di blocco”.
Tra l’altro, prima di diventare vincolante la proposta di nuova direttiva dev’essere negoziata con il Parlamento europeo e la Commissione, quindi i dettagli potrebbero ancora variare ed essere perfezionati. Ma il punto per Berlino è che se anche il Parlamento dovesse bloccare il pacchetto di modifiche frutto del compromesso con Parigi, l’esito sarebbe che la proposta non verrebbe adottata, quindi Nord Stream 2 sarebbe comunque salvo. La vittoria per la Merkel è che venerdì è stato sepolto il tentativo di impedire che la pipeline sia completata – almeno quello dall’interno dell’Unione europea.
Se il rischio di una clamorosa rottura tra Merkel e Macron, più messa in scena da quest’ultimo che davvero sfiorata, ha fatto fibrillare per qualche ora l’asse franco-tedesco, appena rinsaldato con il Trattato di Aquisgrana, il compromesso raggiunto ci dice molto sui meccanismi di funzionamento di una Unione europea sempre più camera di compensazione delle ambizioni e degli interessi nazionali di due Paesi su tutti gli altri: Francia e Germania. Alla fine dei conti, infatti, Berlino deve ringraziare Parigi e da venerdì l’asse franco-tedesco è uscito rafforzato. “Oggi è una buona giornata, grazie alla cooperazione franco-tedesca”, ha riconosciuto Angela Merkel.
La Francia, in effetti, non ha mai messo davvero in discussione il completamento di Nord Stream 2, al contrario lo ha salvato. Certo, non gratuitamente. Dal momento che Parigi non aveva espresso grande interesse per la disputa sul gasdotto prima della scorsa settimana, è probabile che non abbia mai pensato di sostenere davvero la proposta di modifica della Commissione e che l’abbia usata come moneta di scambio con Berlino su un altro dossier. Il presidente Macron insiste, per esempio, perché la Merkel sposi le sue idee di riforma dell’Eurozona e chissà che il compromesso su Nord Stream 2 non lo aiuti a spuntare un compromesso su qualcuna delle sue proposte. Lo scopriremo, forse, nelle prossime settimane, quando lo scambio potrebbe emergere, magari con l’annuncio di un nuovo accordo tra Parigi e Berlino alle spalle dei partner.
Chi è uscito vincitore, dunque, da questo set di una partita non ancora del tutto conclusa? Certamente la Germania. Con Nord Stream 2 è salvo anche l’interesse nazionale tedesco. La Francia, che ha guadagnato un credito da riscuotere al momento opportuno con Berlino. Un po’ meno la Russia. Gazprom non potrà più essere al 100 per cento proprietaria di Nord Stream 2? I russi se ne faranno una ragione, ma a decidere come opererà il gasdotto saranno direttamente Berlino e Mosca, con la Commissione e gli altri stati membri che avranno poca voce in capitolo, giusto il diritto di lamentarsi. Esce sconfitta l’idea di un interesse europeo, che alla prova dei fatti si dimostra non esistere. Nella migliore delle ipotesi, esiste la somma algebrica degli interessi dei singoli stati, nella peggiore la preminenza degli interessi di alcuni su quelli di altri, come in questo caso. Gli oppositori europei di Nord Stream 2 si dovranno probabilmente accontentare di modifiche di scarso rilievo, di adempimenti più formali che sostanziali, non in grado di scalfire la sostanza e, soprattutto, la valenza geopolitica del gasdotto, riponendo nel cassetto l’idea di bloccarlo. A meno che… l’amministrazione Trump non decida davvero di intervenire con l’artiglieria pesante.