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Berlusconi che mette in guardia dal “pericolo giallo” è davvero poco credibile

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Silvio Berlusconi è tornato ad un discreto protagonismo televisivo. Cerca di partecipare il più possibile ai vari talk-show. Se riceve un invito, non si fa certo attendere. Questo suo rinnovato presenzialismo è dovuto certamente alle prossime elezioni europee, considerato, fra l’altro, che non sembra ancora interessato a godersi una meritata pensione. Al di là delle posizioni e dei contenuti politici, lo sforzo del fondatore di Forza Italia è apprezzabile quanto meno a livello umano. L’età anagrafica di Berlusconi è nota, ma la vitalità e la tenacia sono invidiabili. Certo, in ogni ospitata televisiva, l’ex premier ripete sempre, più o meno, le stesse cose, ma la vecchiaia non c’entra. Anche negli anni migliori il Cavaliere era solito seguire un copione ben consolidato, sia in televisione che nei comizi. Naturalmente, se il ribadire sempre i medesimi concetti muoveva in passato il consenso, oggi questa strategia può avere il respiro piuttosto corto. Ma tant’è.

Nel nuovo copione berlusconiano non manca mai la Cina. Quando ne ha occasione, Berlusconi mette in guardia l’Italia circa l’incombenza del pericolo cinese e lo fa con toni assai accorati, un po’ come un anziano e saggio genitore che vuole proteggere i propri figli inconsapevoli dei rischi ai quali vanno incontro. Il dibattito in merito al Dragone, con i tanti dubbi sul Memorandum of Understanding sulla nuova Via della Seta, se sia più un’opportunità o un’insidia, sono d’attualità in questi giorni e qui su Atlantico la Belt and Road Initiative l’abbiamo vivisezionata in ogni sua parte. Fare affari con una potenza economica come la Cina non deve significare la cessione di sovranità delle infrastrutture, come ammoniscono giustamente gli Stati Uniti.

Tuttavia, sorprende la preoccupazione berlusconiana, ribadita in tutte le sedi possibili, perché sembra in contraddizione con il berlusconismo più recente, quello che ancora, bene o male, era al timone dell’Italia: non stiamo pensando solo al Milan, venduto ad un imprenditore, guarda un po’, cinese, la cui vicenda basterebbe già ad evidenziare qualche discrepanza nei ritornelli odierni di Silvio. Ci sovviene come Silvio Berlusconi, quand’era premier, una volta accantonata la promessa “rivoluzione liberale”, non si limitasse all’amicizia personale con Vladimir Putin. Accoglieva a Roma il dittatore libico Gheddafi con i fasti degni di un principe. Durante le sue visite ufficiali tesseva le lodi di Lukashenko, il presidente “eterno” della Bielorussia, e di Nazarbayev, il padre-padrone del Kazakistan, a dire del Cav, entrambi molto amati dai loro rispettivi popoli. Ma poter vantare il 95 per cento dei voti tramite elezioni finte non è poi così complicato. Insomma, non si tratta proprio di allievi di Milton Friedman e il livello di libertà concesso da questi galantuomini ai loro popoli non è tanto diverso da quello che troviamo nella Cina di Xi Jinping. Inoltre, tutte queste realtà, pur con una certa diffidenza reciproca, spesso si sono incrociate e si incrociano con Pechino, in funzione anti-americana. Sarebbe bene se Berlusconi lasciasse libera la leadership di Forza Italia, così da agevolare la rinascita di un centrodestra italiano che potrebbe tornare utile alla fine del percorso dell’alleanza gialloverde.