Dopo l’assalto a Capitol Hill e la fine della presidenza Trump, il neoletto presidente Joe Biden si trova a governare un Paese fortemente polarizzato. Abbiamo discusso i possibili scenari col dottor Tom Packer (Institute of the Americas, University College London, e Rothmere American Institute, Oxford)
ARIANNA CAPUANI: Quali sono le prospettive ora per il Partito Repubblicano, dopo la sconfitta di Trump e la perdita della maggioranza in Senato?
TOM PACKER: Come tutti i partiti di opposizione, i Repubblicani faranno resistenza. In un certo senso non sarà molto coerente, dal momento che i partiti americani non sono come la Lega o il Partito democratico in Italia, non hanno la stessa struttura. Ecco perché Trump è diventato presidente, è come se in Italia tutti gli elettori di destra potessero votare per il candidato di destra, e lo stesso accadesse per gli elettori di sinistra. I Repubblicani sono molto coerenti nei confronti dell’agenda politica di Biden, e ribadiscono la loro contrarietà all’espansione del welfare state, e al secolarismo e progressismo sui temi sociali. La maggioranza di Biden d’altro canto è così risicata che farà fatica realizzare i propri obiettivi. In termini legislativi, Biden potrebbe finire col realizzare una versione molto più moderata del proprio programma.
Le prospettive insomma non sono così cattive per il Gop. Bisogna considerare la vecchia regola secondo la quale una volta eletto un presidente, si comincia a fare opposizione. Il Congresso tende a favorire il partito di opposizione. Ad esempio, quando George W. Bush fu eletto, la Camera dei rappresentanti e il Senato erano Repubblicani, e lo stesso è accaduto con Obama. Al momento i Democratici hanno una maggioranza risicatissima, di un solo voto, in Senato, e una maggioranza debole alla Camera, e non sarà difficile per i Repubblicani riconquistare entrambi.
Non penso che Trump deciderà di formare un partito, nel sistema americano è molto difficile farli funzionare. Potrebbe correre come spoiler alle prossime elezioni, ma non credo sia sua intenzione. Sono compiti che richiedono costanza e l’accettazione di una possibile sconfitta, il che non si addice molto al carattere di Trump.
Sono stati fatti diversi paralleli con Ross Perot, perché entrambi sono anti globalizzazione, contrari all’immigrazione, scettici riguardo il libero commercio, dei veri outsider. Ma ci sono anche alcune notevoli differenze. Ross Perot era molto più focalizzato a livello ideologico, oltre a essere un miliardario. Correre come indipendente è molto costoso. Trump potrebbe fare fundraising, ma non potrebbe spendere i soldi per sé o per le sue corporations, ed e per questo che non credo che si presenterà come terzo candidato. Non ha intenzione di spendere troppo e di perdere opportunità commerciali.
AC: Il neopresidente Biden ha ereditato un Paese diviso. Cosa crede che farà per ricucire lo strappo?
TP: Biden ha già mosso alcuni passi in quelle che considera la direzione giusta per ricucire lo strappo degli anni di Trump, tende a evitare lo scontro personale. Sembra non portare rancore, basti pensare alla scelta di Kamala Harris. Durante la campagna per le primarie, Harris affermò che Biden fosse razzista per via della sua posizione contro il “bussing”, ma questo non ha impedito a Biden di metterla nel suo ticket dopo averla sconfitta alle primarie. Tuttavia, la divisione nell’America odierna non viene dal nulla, la rabbia dietro Trump è stata causata dalla paura del progressismo sociale, del secolarismo estremo e dal timore di una trasformazione della società troppo profonda a opera dell’immigrazione di massa, che Joe Biden intende accelerare. Se dovesse riuscire nel suo intento, questo causerà una reazione, come succede sempre in una democrazia, come nell’Italia degli anni Cinquanta, un Paese polarizzato sulle idee fondamentali di nazione e Dio. Biden sarà quindi divisivo, ma non credo che si comporterà in modo meschino.
È interessante la questione relativa alla nuova legge anti-terrorismo. Semplificando, potrebbe significare semplicemente che chiunque commetta reati politici possa essere arrestato e perseguito legalmente a livello federale invece che dei singoli stati e, quindi, per fare un esempio, che si diventi perseguibili sia che si bruci un negozio scrivendo “Trump è il vero presidente” (cosa che ancora non risulta sia mai avvenuta, ndr), sia se lo si faccia scrivendo Black Lives Matter. Ovviamente, mettere a fuoco proprietà altrui è già illegale, ma renderlo reato federale creerebbe un reato se il rogo venisse fatto a fini politici. Potrebbe seriamente spezzare la spirale della violenza in America, ma se d’altro canto fosse finalizzato soltanto a punire le frange estremiste di destra, non farebbe che esacerbare le divisioni già esistenti. Senza contare che, per via del secondo emendamento, un tale provvedimento sarebbe dichiarato incostituzionale.
Fondamentalmente, Biden non ha una maggioranza forte al Congresso. So di essere ripetitivo, ma è molto simile alla situazione italiana – senza una vera maggioranza, ci sono seri limiti all’azione di un presidente. Tra l’altro i partiti sono divisi al loro interno e responsabili verso i loro elettori a livello di singoli stati. Prendiamo come esempio Joe Manchin del West Virginia, il Democratico più orientato verso la destra che ci sia al momento in Senato. Il West Virginia ha votato per Trump con un margine di 40 punti, e quindi è particolarmente interessato a non contrariare i sostenitori del presidente uscente. E anche questo limita i poteri di Biden.
E poi, ovviamente, la Corte Suprema. La nuova maggioranza conservatrice è un importante contrappeso a Biden. I giudici conservatori americani prendono molto sul serio la libertà religiosa – per loro non è possibile discriminare sulla base della fede religiosa, anche se questo dovesse favorire una minoranza svantaggiata. Se Biden dovesse appoggiare l’espulsione immediata dalle università di coloro che sono accusati di stupro senza un processo, o se dovesse forzare la mano alle organizzazioni religiose, obbligandole ad esempio ad assumere personale il cui stile di vita non si allinea con i loro principi, i provvedimenti potrebbero essere dichiarati anticostituzionali.
I partiti, nel frattempo, sono diventati molto più identitari, e oggi coloro che professano una fede religiosa tendono a votare a destra, e i meno religiosi a sinistra, con l’eccezione degli afroamericani, che sono piuttosto religiosi ma quasi tutti schierati col Partito Democratico. Nel 1950 gli americani erano scioccati dalla polarizzazione politica in Italia, e adesso si ritrovano proprio nella stessa situazione. Sempre più americani si troverebbero a disagio se i loro figli sposassero una persona della fazione politica opposta, e questo non perché sia aumentato il coinvolgimento politico delle persone comuni, ma perché ormai l’identità politica fa parte di quella sociale.
Ad esempio, il presidente Biden ha sostenuto una legge che manterrebbe legale l’aborto fino alla nascita, proteggendolo dagli interventi dei singoli stati e sovvenzionandolo, legando quindi le mani ai datori di lavoro e alle assicurazioni. Ma non credo, nei fatti, cercherà di attuare il suo intento. Similmente, Trump sostiene di voler bandire l’aborto nella quasi totalità dei casi, ma Roe vs Wade non può essere capovolta in sede di Congresso, e molti americani sarebbero spaventati dall’aborto illegale, specialmente in casi estremi. Repubblicani e Democratici tendono a vivere in luoghi diversi: proprio come il Sud Italia era molto democristiano, le zone rurali e suburbane tendono a essere a maggioranza repubblicana, mentre le minoranze etniche e gli abitanti delle città tendono a votare democratico. Credo che Biden abbia cercato di porsi come una figura in grado di riportare l’unità nel Paese, ma al momento i Democratici sono decisamente radicalizzati, pronti a considerare Trump, se non fascista tout court, uno pseudo-fascista.
AC: Quali saranno le relazioni dell’amministrazione Biden con l’Unione europea e con il Regno Unito post-Brexit?
TP: Ovviamente Biden sarà più filo-Ue rispetto al presidente uscente, i Democratici tendono a intessere relazioni migliori con i leader europei (con eccezione forse di Viktor Orban). Ma non penso neppure che ci saranno molte differenze rispetto a Trump, che oltre all’imposizione dei dazi non ha cercato di minare gli interessi europei. Anche se ha spesso parlato di ritiro delle truppe, di fatto questo non è successo – e Biden, tra l’altro, vorrebbe che l’Europa spendesse di più per la difesa. Sarebbe stato interessante se avessimo optato per una hard Brexit, ma ormai sembra improbabile. In generale, credo che Biden concepisca per se stesso un ruolo più conciliante con gli alleati che Trump aveva allontanato (anche se il Regno Unito non era tra questi). I legami culturali, oltre che militari e di intelligence non verranno certo meno. Non credo, insomma, che vi saranno cambiamenti significativi nel legame tra Regno Unito e Stati Uniti. Anche l’unico dettaglio che avrebbe potuto metterlo in crisi, il confine nordirlandese, è un problema più o meno risolto.
AC: Ci sono figure emergenti nel Partito Repubblicano che potrebbero raccogliere l’eredità di Trump?
TP: È una domanda molto interessante. Ci sono molti potenziali candidati, e se Trump decidesse di correre di nuovo dubito che vincerebbe la nomination, ma non mi sorprenderebbe se si dovesse scegliere tra lui e un altro candidato. Guardando ai sondaggi, Pence è in posizione estremamente favorevole. Dopo Trump, è il personaggio in cui i Repubblicani ripongono maggiore fiducia. Nonostante sia stato leale a Trump, non presenta alcuni dei suoi aspetti discutibili, e certamente non può essere accusato di aver ispirato la rivolta di Capitol Hill. Tra gli altri, alcuni trumpiani e nazionalisti e cristiani come Ted Cruz del Texas e Josh Hawley del Missouri, e altri che pur non essendo trumpiani erano in buoni rapporti con l’ex presidente, come Nikki Haley, ex governatore del South Carolina. Probabilmente si candiderà, anche se non credo che sia un concorrente della stessa forza di Pence, ma è ancora presto e le sorprese potrebbero essere molte, come del resto lo fu Trump nel 2016.