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Black Lives Matter: ecco il movimento per cui si inginocchiano, altro che razzismo…

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Ci sono due notizie che l’informazione mitraglia a proposito della Nazionale di calcio: la seconda in ordine di importanza è che l’Italia vince e convince, la prima è che si prostra. “Si sono inginocchiati in cinque, in sei” e già ci senti il ricatto morale per gli altri, nel quale eccelle l’ex juventino Marchisio che il Pd voleva sindaco di Torino – ma dovrà rassegnarsi ad averlo onorevole, più soldi e meno grane. Marchisio già che c’è si porta avanti col lavoro, dice che tutti debbono piegarsi. E i telegiornali: “Si inginocchiano contro il razzismo”, che è un modo di dare la notizia da figli di puttana. La genuflessione non è “contro il razzismo”, è in omaggio al Black Lives Matter, che è un movimento politico americano di estrema sinistra, violento e con tentazioni eversive.

Contro il razzismo si può agire, si dà l’esempio, al limite ci si abbraccia, ci si prende per mano tra compagni, e anche avversari, di colori diversi, di etnie diverse. Umiliarsi è solo l’ipocrita riconoscimento di un senso di colpa che non ha ragion d’essere. Al punto, ed è stato precisato più volte, che i fanatici BLM sono costretti a risalire su per li rami della storia fino ai periodi coloniali, schiavisti, di guerre civili, roba di secoli addietro, da cui la demenziale cancel culture che vuol rileggere il mondo di seicento o duecento anni fa con gli occhiali di oggi: rimuovendo tutto ciò che, nell’arbitrio più demenziale, non è accettato dall’odio assurto a sistema, dai monumenti ai film, dalle fiabe ai cartoni animati, dalle musiche all’arte grafica, dai poeti ai romanzieri, in un vortice di paranoia alienante che porta all’abisso.

Ma non è ancora tutto, anzi fin qui siamo al dettaglio, all’accademia. In soldoni, chi sono i padroni del BLM? Sono mascalzoni, anzi mascalzone come quelle del Metoo, gente impegnata nella scalata sociale sui cadaveri di complici trasformati in aguzzini dopo 30 anni. La capa riconosciuta degli antirazzisti americani è questa Patrisse Cullors, appena dimessa dopo 8 anni di regno ininterrotto: il New York Post ha scoperchiato i suoi altarini di ultramarxista capace di mettersi in tasca somme clamorose, proprietà immobiliari degne di un star di Hollywood: una villa a Malibu da 1,4 milioni di dollari, un ranch di lusso in Georgia. Appena la punta di un iceberg che nasconde un saldo affaristico di 90 milioni di dollari solo nel 2020. Sotto, la vergogna dei neri mai sostenuti, delle famiglie afroamericane con vittime brutalmente scaricate dal Movimento in quanto non utili, del vorticoso giro di incastri, di incarichi, di prospettive politiche, tutte rigorosamente coi Dem, delle censure sui social, del boicottaggio dei giornalisti neri troppo zelanti. Chi è il razzista? Sulla pelle di chi?

L’inchiesta del New York Post probabilmente non arriva in fondo, ma quello che ha rivelato è abbastanza per mettere in crisi la multinazionale BLM che ha ottenuto il siluramento, almeno formale, della boss. Una che diceva: “Siamo marxisti indottrinati” e, nell’ottica della lotta di classe, inneggiava alla lotta armata, alle Brigate Rosse italiane. Oggi Patrisse Cullors scomoda i soliti complotti dei bianchi, dei Repubblicani, dei trumpiani, dei neri “infedeli”, ma, messa alle strette, ringhia: “Come ho fatto i soldi sono fatti miei”. I calciatori, si sa, sono conformisti come i cantanti e come tutti quelli che hanno uno status da difendere. Ma dovrebbero sapere, non solo quelli italiani, che quando “chiedono scusa” e si inginocchiano, lo stanno facendo per tutto questo. E per nient’altro.