Di Jair Bolsonaro sappiamo già quasi tutto, anche per merito degli ottimi articoli di Antonello Marzano apparsi su queste colonne. Sembra invece che i giornalisti dei più grandi quotidiani del Paese (per non parlare di quelli dell’Economist) abbiano visto un altro Bolsonaro. Oppure abbiano un’altra idea di cosa siano le definizioni “estrema destra” e “fascismo”. Ed è la seconda che abbiamo detto: hanno un’idea tutta loro di cosa sia il fascismo.
Jair Bolsonaro, come è ormai chiaro a tutti, cerca di invertire la tendenza socialista impostata dal presidente Lula e da Dilma Rousseff, tramite un programma di riduzione della tassazione, liberalizzazioni (incluso un nuovo accordo di libero scambio con l’Ue), privatizzazioni e ripristino della proprietà privata sulla terra. Il programma fascista, specie quello fascista “rivoluzionario” era l’esatto opposto: un maggior peso dello Stato nell’economia, per arrivare al socialismo. Si trattava di socialismo nazionale, contrario all’internazionalismo, ma comunque socialismo era. Nel ventennio (1922-1943) il fascismo dovette moderarsi perché non conseguì mai l’obiettivo della conquista del potere assoluto. Dovette sempre mediare con la monarchia e poi anche con la Chiesa. Ma l’apporto socialista all’economia italiana, rispetto al passato regime (il Regno unitario), fu quello di una maggiore concentrazione del potere economico nelle mani dello Stato. Contrariamente a quel che promette oggi Bolsonaro, Mussolini introdusse l’Iri, teoricamente per salvare le imprese in crisi, in pratica per costruire l’anticamera delle nazionalizzazioni. Invece di liberalizzare il mercato del lavoro, il regime fascista costituì le corporazioni, che agivano in regime di monopolio e protette dallo Stato. Rafforzò la previdenza statale e moltiplicò sussidi e pensioni. Quando si trattò di colonizzare le terre appena bonificate in Italia, o appena conquistate in Africa, lo fece con criteri statali. Le colonie, in particolar modo, furono carta bianca per i pianificatori sociali fascisti. Lo sviluppo urbanistico e delle infrastrutture venne ulteriormente accentrato, in uno Stato che già i Savoia avevano voluto ultra-centralista, sul modello francese napoleonico. La libertà di commercio, anche per far di necessità virtù (per rispondere alle sanzioni internazionali contro l’invasione italiana dell’Etiopia) venne soppressa quasi del tutto, con un programma protezionista che mirava all’autarchia, cioè all’autosufficienza della produzione italiana.
Ci sono molte affinità con il programma realizzato da Mussolini… ma nel programma di Lula. Che è pur sempre un socialista e dunque presenta la stessa caratteristica di base: “Tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato”, come recita la “Dottrina del fascismo”, scritta a quattro mani da Benito Mussolini e Giovanni Gentile nel 1932. Bolsonaro, al contrario, vuole ridurre il peso dello Stato nell’economia, dunque lasciare più spazio all’azione degli individui “al di fuori dello Stato”.
Perché allora lo paragonano al fascismo? Perché fa impressione soprattutto il suo programma intransigente contro il crimine? Anche qui, a ben vedere, la sua proposta cardine è una maggior libertà di portare armi, sul modello degli Stati Uniti. La libertà di portare armi è fascista? Assolutamente no. Vedi sopra: “nulla contro lo Stato”. Scrive Pietrangelo Buttafuoco, a proposito del suo libro “Armatevi e morite – Perché la difesa fai-da-te è un inganno e non è di destra” (scritto con Carmelo Abbate): “La cultura di destra che si rivede nell’uomo d’arme è l’opposto di quella degli Stati Uniti d’America. Il modello iniziale è quello del Giappone, che ha una grande tradizione guerriera. Eppure oggi è il popolo più disarmato”. Declinato alla realtà italiana: “Abbiamo una sana tradizione italiana che è anche già collaudata: la presenza dello Stato. Il compito è quello del controllo del territorio. Se i ladri conoscono i momenti ideali per introdursi nelle abitazioni, a maggior ragione lo Stato deve avere questa competenza e quella conoscenza. Invece le abitazioni, specie al Nord, si sono trasformate in delle prigioni: c’è un’ansia totale”. Da questo punto di vista, il programma della sicurezza di Bolsonaro è l’opposto di quello proposto dalla tradizione di destra italiana, fascismo incluso.
Non è un’esagerazione dire che, da un punto di vista economico e di sicurezza, la politica del nuovo presidente brasiliano è anti-fascista. Perché allora tutta questa fretta a definirlo come epigono del fascismo? Perché “vuole la dittatura”? Ma la vuole seriamente? Non ha parlato male della dittatura militare del Brasile, ma quella è storia, finita più di trent’anni fa e non destinata a ripetersi nelle circostanze attuali. Piuttosto, i giornalisti sono inclini a considerarlo un fascista, perché tutti quelli che parlano con toni roboanti di legge e ordine ci appaiono come “fascisti”. Le sparate contro gay, donne, minoranze, sono incasellate nella categoria “fascismo”. Chi è contro l’aborto è automaticamente “fascista”. In un cortocircuito culturale incredibile, oggi anche chi è pro-israeliano è “fascista”, anche se Israele stesso è nato dalla fuga dalle persecuzioni dei regimi di destra. È “fascista” anche l’antifascista che non obbedisce all’agenda progressista.