L’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti interessa tutto il mondo, e, in particolare, l’alleato storico degli americani, il Regno Unito. L’ex capo della pubblica amministra britannica, il dimissionario Mark Sedwill, ha definito in un’intervista alla Bbc “stabile” il legame tra Usa e UK durante la presidenza di Donald Trump. Certo, The Donald è stato uno dei pochi leader occidentali ad avere definito la Brexit una cosa “positiva”, perché rientrava nel suo progetto di destabilizzazione economica della rivale Unione europea; poi però aveva definito “pessimo” l’accordo ottenuto da Theresa May, e si era espresso con maggiore cautela su quello sottoscritto da Boris Johnson. Per tutta la sua presidenza Trump ha applicato l’America First in ogni sua uscita e in ogni sua relazione bilaterale, forte della potenza della leadership americana nel mondo. Il migliore amico britannico del 45esimo presidente Usa è Nigel Farage: The Donald ha spinto perché lui diventasse l’ambasciatore britannico a Washington e la settimana scorsa lo ha invitato a parlare nel suo comizio a Goodyear, in Arizona.
Quello che più interessa gli inglesi ora è cosa succederà a questi rapporti dal 3 novembre in poi. I Democratici e Biden sono stati molto più freddi con la Brexit e hanno avvertito Londra e Bruxelles che gli Accordi del Venerdì Santo per la pace in Irlanda del Nord non possono essere messi in pericolo dalla trattativa per gli accordi commerciali post-Brexit. A Londra comunque la stampa ha riportato che il Governo Tory ha già avvicinato l’entourage di Biden, preparandosi a una sua eventuale vittoria.
Per quanto riguarda il Free Trade Agreement con Washington, se ne sta occupando il Department for Trade e il ministro, Liz Truss. La pubblicazione delle linee guida dell’accordo sul sito del Ministero rinverdisce la special relationship a livello economico, politico e ideologico: Londra vuole diventare un punto di riferimento per il libero commercio mondiale e conta sulla relazione con le altre democrazie – e in particolare quella Usa – per portare avanti il suo progetto di Global Britain.
La pandemia e il brusco rallentamento dell’economia mondiale hanno colpito più i britannici che gli americani e il secondo lockdown annunciato da Johnson non migliorerà le cose. In entrambi i Paesi si sono palesati istinti libertari e pro-market e i partiti al governo – quello Conservatore e quello Repubblicano – non sono stati teneri né con le misure di restrizione delle libertà personali decise da Johnson e dai governatori degli Stati americani, né con l’aumento vertiginoso della spesa pubblica che fa a pugni con il credo liberista di una fetta importante degli eletti in entrambi gli schieramenti.
Ma se, come dice Sedwill, la special relationship è “stabile” e resta il perno su cui Londra e Washington innestano le loro alleanze internazionali, c’è da credere che, se dovesse essere eletto, Biden sarà per forza di cose molto più accomodante con la nuova Brexit Britain johnsoniana, e ne coglierà gli aspetti più favorevoli per l’economia Usa. Downing Street allo stesso modo sa che il Regno Unito dipende dall’America per il deterrente nucleare, per la difesa e per il coordinamento nell’intelligence. Quest’ultimo settore ha assunto una rilevanza ancora maggiore con il caso Huawei e il dietrofront deciso da Johnson sulla presenza della compagnia cinese nelle infrastrutture critiche inglesi. Un dietrofront stabilito anche dopo incontri serrati con i mandarini del National Security Council e delle agenzie di controspionaggio Usa.