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La via per la Brexit sempre più stretta: Time to Gove?

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Con il trambusto politico che è montato a Westminster nelle ultime frenetiche ore di votazioni, la via del Regno Unito per uscire dall’Unione europea si è fatta sempre più ardua e stretta e con essa la posizione del primo ministro Theresa May, ormai all’angolo e sotto costante bombardamento non solo da parte dell’opposizione, come prevedibile, ma anche dagli stessi ambienti conservatori. La seconda bocciatura del suo piano, per quanto riveduto e corretto (non abbastanza però da eliminare le perplessità sulla questione legata al confine con l’Irlanda), e l’approvazione dell’emendamento che impedisce di lasciare il blocco europeo senza accordo, reso possibile dal sostegno di alcuni Tories ribelli, hanno marcato lo strappo attorno alla figura della May, che fino ad ora ha tenuto duro, superando già un voto di sfiducia dei colleghi di partito a gennaio, ma il logoramento della sua leadership è ormai evidente.

Alla domanda su che ne sarà di Brexit si aggiunge quindi quella su chi subentrerà al Numero 10 di Downing Street per assumersi il fardello di rimettere le idee in ordine e tentare l’impresa. I nomi non mancano: Boris Johnson e Jacob Rees Mogg i più altisonanti, poi quelli dell’ambizioso Home Secretary Sajid Javid, dell’attuale ministro degli esteri Jeremy Hunt piuttosto che di Dominic Raab, a lungo braccio destro della May nelle trattative con Bruxelles prima di sbattere la porta in polemica con il Withdrawal Agreement siglato a novembre. E ancora Amber Rudd e Andrea Leadsom per un passaggio di consegne tutto femminile. Quindi Michael Gove, oggi Environment Secretary, ma soprattutto uno dei volti in prima linea per il fronte del Leave durante la campagna referendaria del 2016.

Chi è Micheal Gove – Nato 51 anni fa a Edimburgo, in una famiglia di umili origini, è cresciuto ad Aberdeen, nel nord della Scozia, adottato da una coppia laburista. Lo stesso Gove è stato per un breve periodo sostenitore del Labour Party, ma come ha più volte raccontato aveva già maturato nuove posizioni prima ancora di frequentare Oxford. Il suo nome è legato alla riforma scolastica varata ai tempi di David Cameron da ministro dell’istruzione, quando furono introdotte nel sistema britannico le free schools, istituti slegati dalle autorità pubbliche e affidati totalmente ad una gestione privata. “Sono l’opposto di un progetto ideologico”, dichiarava ai tempi Gove. “Sono essenzialmente un esercizio di pragmatismo inglese. Avranno successo solo se i genitori vorranno mandarci i figli. Sono scuole che rappresentano una scelta”. Ammesso e non concesso che la May si ritrovi obbligata a rassegnare le dimissioni, perché potrebbe suggerire il suo nome come sostituto? Gove è stato uno dei frontman del Leave, ma le sue posizioni restano comunque moderate rispetto a quelle più hard dello European Research Group, la corrente conservatrice che ruota attorno a Jacob Rees Mogg, la vera spina nel fianco per l’attuale primo ministro. Fino ad ora è stato fedele alla May, appoggiando il Withdrawal Agreement e intervenendo ai Comuni con un appassionato discorso per tentare di serrare i ranghi del partito, promuovere un’immagine forte del Regno “despite Brexit” e affossare le velleità di leadership di Jeremy Corby.

Il suo principale compito – piuttosto arduo – sarebbe quello di trovare una sintesi tra le anime euroscettiche e filoeuropee dei Conservatori, che probabilmente mai come ora si sono ritrovati così in guerra tra di loro: Brexit come la bomba ad orologeria pronta a scoppiare nello storico partito di centrodestra britannico, che tradizionalmente attrae i voti degli elettori meno europeisti dell’isola. Compito reso ancora più complicato dai recenti trascorsi: all’indomani delle dimissioni di David Cameron, Gove ha preso parte alla corsa per il ruolo di primo ministro, dalla quale è poi uscita vincitrice la May, grazie anche agli sgambetti tra lui e l'(ex?) amico Boris Johnson: i Tories hanno una certa confidenza con le coltellate alle spalle e questa fece ancora più clamore per alcune rivelazioni imbarazzanti della moglie di Gove, la giornalista Sarah Vine, dalle colonne della sua rubrica settimanale sul Daily Mail. Da ultima è giunta la critica di Charles Moore, storica firma conservatrice (è il biografo di Margaret Thatcher), che sullo Spectator di questa settimana lo ha accusato di aver tradito Brexit, decidendo di restare nel governo mentre personaggi come David Davis e Johnson hanno tolto il disturbo sin dalla scorsa estate. Ma se pronosticare Michael Gove come prossimo primo ministro è giusto un esercizio di fantapolitica, chiudere un occhio e fingere di non ricordare è una strategia piuttosto comune nella politica vera e propria, e diventa l’unica in assenza di valide alternative.

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