Credevamo di averle viste e sentite tutte dal precedente governo, non potevamo immaginare da Mario Draghi, il “Competente” per eccellenza, il livello di approssimazione ed elusione di ieri, in conferenza stampa, su un tema così centrale nell’agenda del suo governo, e per le sorti del Paese, come la campagna vaccinale.
È stato davvero sconsolante vedere Draghi fare confusione, mostrare di non conoscere nemmeno i suoi stessi decreti.
“Uno può banalizzare e dire: smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani o ragazzi, psicologi di 35 anni. Queste platee di operatori sanitari che si allargano. Con che coscienza un giovane salta la lista e si fa vaccinare?”.
Peccato che sia stato proprio il premier, non molti giorni fa, a firmare il decreto che impone l’obbligo di vaccinazione agli operatori sanitari, compreso lo psicologo trentacinquenne. Ed è sempre il suo decreto che allarga a dismisura la platea degli “operatori sanitari” ben oltre la “prima linea” (articolo 4). Draghi mostra di non sapere nemmeno cosa ha firmato e l’ordine degli psicologi ha buon gioco a ridicolizzarlo: “Forse è il caso che il Governo informi sé stesso”, dichiara in una nota il presidente David Lazzari, ricordando al premier che “nessuno di noi ha chiesto di avere priorità, è stato il Governo a decidere le priorità vaccinali, ed in queste sono state incluse tutte le professioni sanitarie… addirittura l’ultimo decreto trasforma la facoltà in obbligo, esteso a tutti gli iscritti agli ordini sanitari”.
Ma c’è di più, perché con questa frase il premier mostra di ignorare che da mesi, oltre ai sanitari, molte altre categorie sono indicate come prioritarie, a prescindere dall’età, nelle “raccomandazioni” del Ministero della salute (guidato dallo stesso Roberto Speranza che Draghi ha rivendicato di aver voluto ministro e di stimare).
Appartenenti alle forze dell’ordine, insegnanti, docenti universitari. Milioni di persone che legittimamente si sono prenotate. Non hanno “saltato la fila”, sono state messe in lista dalle autorità competenti, perfettamente a conoscenza di tutti i loro dati anagrafici. Se la lista viene compilata secondo criteri e priorità sbagliate, la colpa è di chi quei criteri e quelle priorità li ha indicati. Una catena di responsabilità che dal Ministero della salute risale fino a Palazzo Chigi. Draghi se lo faccia spiegare dai suoi consiglieri e ministri: oltre allo psicologo trentacinquenne, hanno ricevuto le loro prime, e a volte seconde dosi, anche l’insegnante cinquantenne e il dottorando non ancora trentenne, così come docenti in smartworking, e persino gli amministrativi di ospedali e università (non certo in prima linea). Chiamati a vaccinarsi dai loro datori di lavoro, avrebbero forse dovuto rifiutarsi? Giusto o sbagliato, non c’è stata alcuna prevaricazione. Né si possono attribuire tutte le responsabilità alle Regioni, che non hanno fatto altro che seguire le linee guida nazionali. E quand’anche non stessero rispettando le nuove linee guida, a chi spetta richiamarle all’ordine?
Questa apertura alle categorie, in deroga alle priorità per anzianità, ha ritardato notevolmente la vaccinazione delle fasce di età più a rischio, over-80 e settantenni. Ma il presidente Draghi a tutt’oggi sembra ignorarne la causa.
Già due settimane fa, parlando alle Camere, il premier aveva provato a scaricare il barile sulle regioni: “Mentre alcune Regioni seguono le disposizioni del Ministero della salute, altre trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale”.
Ma come abbiamo già segnalato su Atlantico Quotidiano, l’errore strategico è stato commesso a monte e a livello centrale. Quando, il 30 gennaio scorso, l’Aifa ha autorizzato il vaccino AstraZeneca, l’ha sconsigliato per gli over-55 (soglia poi alzata a 65). Che ci facciamo, dunque, con le dosi AZ? Iniziamo a vaccinare per categorie, a prescindere dall’età. Da quel momento il piano vaccinale italiano è diventato duale, cioè ha seguito un doppio binario: over-70 vaccinati con Pfizer e Moderna, mentre si è cominciato a utilizzare le dosi di AstraZeneca per categorie ritenute “strategiche”. Di conseguenza, l’Italia è passata molto presto a vaccinare insegnanti, magistrati, avvocati, personale amministrativo ospedaliero e altri dipendenti pubblici, quando era ben lontana dal completare la vaccinazione di ottantenni e settantenni.
“Oggi – dichiarava il 9 febbraio lo stimato ministro Speranza – in tutte le Regioni italiane arrivano le prime dosi del vaccino AstraZeneca. Saranno somministrate alla popolazione tra i 18 e i 55 anni. Potremo iniziare a proteggere chi lavora nelle scuole, nelle università, le forze dell’ordine e le altre categorie esposte”.
Un errore indotto dall’Aifa ma avallato acriticamente dal governo nazionale, prima Conte poi Draghi (fino a pochi giorni fa), perché Aifa aveva “suggerito un utilizzo preferenziale” di AstraZeneca in soggetti tra i 18 e i 55 anni, non escluso le fasce di età più anziane. Avrebbe dovuto essere chiaro fin dall’inizio che se non si fosse utilizzato AstraZeneca per i più anziani, lo squilibrio sarebbe stato automatico, inevitabile.
Quando è balzato agli occhi il ritardo accumulato, è venuto meno il limite all’uso di AstraZeneca per gli over-65. “Ora si vaccini solo per età”, intimava il nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio un paio di settimane fa. Ma subito si è posto il problema di cosa fare con gli appartenenti alle categorie che nel frattempo stavano ricevendo le dosi a prescindere dall’età. Lasciarle a metà, coperte solo parzialmente? Per non creare ulteriori ingiustizie, si è deciso di completare la vaccinazione di quelle categorie, quindi non c’è stata una reale svolta.
E questo ci porta alla seconda frase sconfortante di Draghi:
“È venuto il momento di prendere decisioni sulle fasce di età per le vaccinazioni. Se riduciamo il rischio di morte nelle classi più esposte al rischio, è chiaro che si riapre con più tranquillità. La disponibilità di vaccini c’è. Si tratta di fare delle scelte”.
Quindi, siamo entrati nel quarto mese di campagna vaccinale e Draghi ci sta dicendo che “è venuto il momento…”? Ora? Non era già stata presa una decisione in tal senso? Evidentemente, se il premier avverte la necessità di ribadirlo, è perché ancora non c’è stato alcun apprezzabile cambio di rotta. La volontà del premier, e del commissario Figliuolo, di dare priorità alle fasce di età più a rischio non si è ancora concretizzata in norme e linee guida coerenti con il nuovo obiettivo.
Deliberata o meno, la battuta sui presunti “furbetti” che saltano la fila si è rivelata un efficace diversivo rispetto ai fallimenti di cui anche il presidente Draghi, ormai in carica da quasi due mesi, dovrebbe cominciare a rendere conto, o per lo meno mostrarne consapevolezza.
Primo, il cambio di passo nelle somministrazioni che, ad oggi, ancora non c’è. L’obiettivo delle 500 mila dosi giornaliere è ancora lontano: mentre ieri è stato superato dalla Germania (656 mila ieri) e avvicinato da Francia (437 mila) e Spagna (454 mila), noi ci siamo fermati a quota 290.440 e non abbiamo ancora mai superato la soglia delle 300 mila.
Secondo, il caos (europeo e italiano) su AstraZeneca, il vero e proprio killeraggio di uno dei vaccini più efficaci – e di cui, nonostante i ritardi, abbiamo più dosi – che sta già azzoppando la nostra campagna vaccinale.
Alla fine l’Ema si è piegata alle pressioni tedesche e ha stabilito che “un legame” tra il vaccino di AstraZeneca e “le rare trombosi” venose cerebrali c’è. Il comitato per la sicurezza dell’Ema, si legge in una nota, “ha concluso che i coaguli di sangue insoliti con piastrine basse dovranno essere elencati come effetti collaterali molto rari di Vaxzevria“. Non si sa come né perché, il nesso di causalità non è dimostrato, non sanno nemmeno indicare specifici fattori di rischio (età, sesso, patologie pregresse), insomma gli eventi sembrano casuali, ma il legame c’è, dev’esserci, è “plausibile”.
Da una parte dunque l’Ema conferma i sospetti tedeschi, dall’altra però se ne lava le mani, confermando che i benefici superano i rischi e rifiutandosi di raccomandare restrizioni specifiche all’uso del vaccino. Quindi, come al solito, gli Stati Ue sono andati in ordine sparso, i ministri della salute non sono riusciti ad accordarsi su una linea comune.
In Italia, dalla iniziale raccomandazione di non somministrarlo agli over-65 siamo passati alla raccomandazione opposta, di non somministrarlo agli under-60. Il vaccino resta autorizzato, può essere somministrato a tutti dai 18 anni, ha cercato di chiarire Gianni Rezza, del Ministero della salute, “la nostra è una indicazione preferenziale“.
Ora, capite bene che la comunicazione non è esattamente la più rassicurante per l’uomo della strada. E chi ha ricevuto la prima dose di AZ? Nulla osta alla seconda, ci dicono, ma voi vi fidereste? Tutto lascia supporre che la gran parte delle dosi di AZ resteranno dove sono: in frigo. Infatti le scorte aumentano (3 milioni e mezzo), ma aumenta anche il tasso di rinuncia: picchi del 20 per cento in Lombardia, riferiscono fonti ad AdnKronos, fino al 70 per cento in alcune province siciliane, di “moltissime rinunce” parla il direttore della Asl di Caserta, defezioni al 40 per cento a Potenza, fra il 40 e il 50 in Sardegna.
E già tre sono i casi di trombosi segnalati su 4,5 milioni di somministrazioni del Johnson&Johnson, un altro vaccino su cui abbiamo puntato molto, direi a questo punto tutto. Lo aspetta la stessa sorte di AstraZeneca? Vedremo da qui a qualche mese, magari ci salverà il tedesco Curevac, e allora avremo il quadro completo…
Anziché dissipare dubbi, rassicurare, infondere certezze, nella sua conferenza stampa di ieri Draghi ha fatto l’opposto: nessuna notizia, nessun messaggio chiaro sui vaccini; nessun piano e nessuna data per le riaperture; ha solo scaricato colpe sui presunti “furbetti” che saltano la fila, come abbiamo visto un caso inesistente, e in modo più sfumato sulle Regioni, mostrandosi confuso e male informato riguardo provvedimenti e linee guida del suo stesso governo. Siamo solo alla terza conferenza stampa ed è già la sua peggiore.