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Caccia alle streghe contro i prof non allineati: il processo politico a Marco Bassani

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Il giro di vite contro la libertà d’espressione in nome del politicamente corretto, ma anche a difesa tetragona delle casematte del potere della sinistra – dai più alti vertici istutizionali alle centrali culturali e accademiche – prosegue praticamente indisturbato (purtroppo indisturbato anche dal centrodestra).

Ci siamo occupati, qui su Atlantico Quotidiano, della minaccia alla libertà d’espressione rappresentata dal ddl Zan. La settimana si è aperta con una perquisizione domiciliare, eseguita niente meno che dai reparti speciali anti-terrorismo, al professor Marco Gervasoni, che si è ritrovato indagato per vilipendio al presidente della Repubblica a mezzo Twitter, e si è chiusa ieri con l’aggressione censoria del segretario del Partito democratico e di un sottosegretario di Più Europa ad una trasmissione di RaiDue, rea di aver mandato in onda un servizio “di colore” che sbeffeggiava l’ultima bizzarria Ue in tema di cibo, e con un nuovo attacco al free speech, il secondo in pochi giorni a colpire un docente universitario. Questa volta non un conservatore ma un liberale.

La limitazione del free speech in ambito accademico e il clima di intimidazione dei professori non allineati al politicamente corretto, tendenze che si stanno affermando in molte delle più prestigiose università del mondo anglosassone, cominciano a manifestarsi in misura preoccupante anche nel nostro Paese.

Ieri, il cda dell’Università Statale di Milano ha deliberato una sanzione disciplinare nei confronti del professor Marco Bassani per aver condiviso sulla sua pagina Facebook, lo scorso novembre, un meme ritenuto “sessista” sulla vicepresidente Usa Kamala Harris: sospensione per un mese dall’insegnamento e dallo stipendio.

Inquietante che si debba temere per la propria reputazione, e per il proprio lavoro, nemmeno per un post originale, ma per la condivisione di un meme, l’equivalente social di una vignetta satirica, una di quelle immagini alle quali è ormai consueto sui social che siano affidati sberleffi di natura politica, più o meno di buon gusto. Questo il testo:

“She will be an inspiration to young girls by showing that if you sleep with the right powerfully connnected men then you too can play second fiddle to a man with dementia. It’s basically a Cinderella story”.

Va ricordato che Bassani, resosi conto che avrebbe potuto offendere la sensibilità di alcuni, aveva prontamente e spontaneamente cancellato il meme, già poche ore dopo la sua condivisione, pubblicando il seguente messaggio:

“Ho condiviso imprudentemente un meme che ritenevo un semplice sberleffo politico. Mi sono poi reso conto che era di cattivo gusto e quindi l’ho tolto. Mi sta arrivando addosso di tutto. Se qualcuno c’è rimasto male me ne dispiaccio. Per il resto non so che dire… Non posterò davvero più nulla che non siano pensieri miei. Se proprio devo essere coperto di fango, che ciò accada su parole mie”.

Ma la rimozione, rapida e spontanea, non gli ha risparmiato prima la gogna pubblica, poi il procedimento disciplinare, a norma dell’articolo 33 dello Statuto dell’Università in cui lavora.

A nulla è valsa la memoria difensiva presentata al Rettore Elio Franzini, nella quale il professore ha contestato l’imprecisione e la genericità delle accuse.

In effetti, nella sua comunicazione ai sensi dell’art. 33 dello Statuto, il Rettore faceva riferimento al meme “dal contenuto sessista e altamente offensivo, non solo della diretta interessata ma dell’intero genere femminile”, lamentando “l’indignazione generale” che ne era seguita, mancando però di individuare le disposizioni, statutarie o regolamentari, che sarebbero state violate, al di là di un generico richiamo al Codice di comportamento dell’Università e alle norme di buona condotta, “onde evitare un danno all’immagine e alla reputazione dell’Università”.

Stando all’art. 33 dello Statuto, Bassani avrebbe dovuto ricevere un capo di incolpazione nel quale si doveva esplicitare, con precisione (“in maniera circostanziata”) almeno la fonte della responsabilità (Statuto? Codice nazionale? Codice dei dipendenti dell’Università degli Studi di Milano? Codice etico?) e la disposizione violata.

Anziché precisare, evidentemente avvertendo la debolezza dell’accusa, il Rettore pensava rincararla con addebiti ancor più generici, rilevando che “quanto accaduto non costituisce un episodio isolato, essendo Sua abitudine esprimere pubblicamente sui social network opinioni forti, dal contenuto talvolta estremo”. Un’accusa del tutto vaga, non essendo queste “opinioni” nemmeno esplicitate, senza alcun riferimento ad argomenti, contesto, tempi, luoghi o mezzi attraverso cui sarebbero state espresse. Qui addirittura siamo nel campo delle pure “opinioni”, che siano “forti” o “estreme”, pienamente tutelate dall’articolo 21 della Costituzione.

È la prova che quello che stava iniziando nei confronti del professor Marco Bassani era un processo alle sue idee politiche.

Anche la procedura prevista, secondo Bassani, non sarebbe stata rispettata. L’art. 33 infatti dispone che il procedimento disciplinare sia avviato “entro trenta giorni dal momento della notizia del fatto, sulla base di una memoria scritta del Rettore che, al termine di una istruttoria preliminare, definisce in maniera circostanziata gli elementi suscettibili di contestazione”. Proprio per consentire gli approfondimenti necessari, si prevede per l’istruttoria preliminare un tempo compreso in trenta giorni. Ma nel caso Bassani, dopo solo pochi giorni, risultava già un pronunciamento pubblico che, dietro precise pressioni, già anticipava la contestazione e la sentenza di colpevolezza. “Un post indegno – dichiarava pubblicamente il Rettore – l’ateneo, nei limiti delle sue possibilità, interverrà nel modo più severo possibile”.

“Turbato” e “inquietato” dai “modi aggressivi con cui il professor Bassani è stato pubblicamente attaccato a mezzo stampa e attraverso i social media dai vertici dell’Ateneo, oltre che da diversi colleghi”, e dalle sanzioni, “annunciate ben prima che fosse avviata un’indagine o che si fosse svolto un confronto con il diretto interessato”, l’assegnista di ricerca Francesco Mascellino ha comunicato la decisione di non presentare la domanda di rinnovo presso l’Ateneo milanese.

Un processo sommario, insomma, e politico, per un caso montato non certo da “indignazione generale”, ma a seguito di precise pressioni di un gruppo di studenti di sinistra, di qualche esponente politico, in particolare la consigliera comunale del Pd Angelica Vasile (che alla Statale aveva conseguito un dottorato di ricerca sulla presenza delle donne in politica) e di qualche collega, con il contributo decisivo del Rettore, al quale tornerà probabilmente utile il sostegno della sinistra per la sua riconferma.

Non si ricorda, in età repubblicana, che un professore universitario abbia mai ricevuto una sanzione disciplinare di questa gravità, la sospensione dello stipendio, per avere espresso una opinione, anzi aver inoltrato una “vignetta” al suo gruppo di amici. Non accadeva probabilmente dall’epoca fascista nei confronti dei docenti ebrei. Ma l’impressione è che la battaglia legale sul “caso Bassani”, e quella politica per la difesa del free speech nel nostro Paese, siano solo all’inizio.

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