Se ce ne fosse stato bisogno, l’ultimo gesto di Conte ci ha rivelato appieno essere l’uomo provvisto dello stile di un manichino, signorile nell’abbigliamento e ieratico nel portamento, ma del tutto privo di dignità: il giorno prima testardamente impegnato nel reclutamento di un marchettaro per una sola notte; il giorno dopo umilmente disposto a sollecitare il consenso di un Renzi già in procinto di salire al Quirinale. E pure i suoi corifei ne esaltano le doti di navigatore, facendo intendere che non si può chiedere ad un buon politico di lasciarsi distrarre da un qualche principio moralistico, perché qui il fine giustifica i mezzi, che se per il Principe di Machiavelli era l’intento unitario rispetto ad un Paese esposto ad ogni intervento straniero, per Conte è lo scopo salvifico di tenere in piedi un governo europeista e repubblicano, come lo definisce il buon Zingaretti.
Qualunque critica si possa avanzare nei confronti della cosiddetta Seconda Repubblica, che, inaugurata alla luce di una legge elettorale maggioritaria, ha comunque garantito una alternanza fra le due parti in gioco, cosa che di per sé esprime al meglio la fisiologia democratica, resta pur sempre che questa legislatura rappresenta la pagina più brutta dell’intera storia repubblicana, non solo e tanto per i trasformismi individuali, pur copiosi come non mai, ma gli andirivieni dei partiti e dei gruppi, abituati a smentirsi pubblicamente senza battere ciglio, con una costante evaporazione dei loro principi fondativi e dei loro programmi. Se la fiducia nasce anzitutto dalla coerenza, che sola può permettere di anticipare quella che sarà la posizione assunta non dico dopo domani, ma neppure domani, allora nessuna sorpresa della sua caduta verticale non solo rispetto alla gente, ma all’interno degli stessi Palazzi, dove la menzogna più sfacciata è divenuta l’unica moneta avente corso legale.
Nel mercato politico nessuno crede più a nessuno, sì da far letteralmente impazzire il mondo della comunicazione, che, del tutto consapevole di questo stato in continua ebollizione, ingrossa i suoi pastoni di voci discordanti, dato che ormai la voce dei partiti e dei gruppi si è dispersa in mille rivoli, sì da rendere facile e ghiotta la caccia a questo o a quel parlamentare, che certo non si fa pregare a dire la sua, conquistando qualche brandello di pubblicità. Questo è il vizio che affligge l’attuale scenario politico, che rende l’eventuale ricomposizione della vecchia alleanza solo una tregua armistiziale, con piena consapevolezza dei vari partecipanti.
Il che risulta chiarissimo dallo stesso stato attuale. A quanto sembra i tre partiti, Leu, Pd e 5 Stelle avrebbero tolto il loro non expedit nei confronti di Renzi, se pure in modo implicito, con un rinvio alla maggioranza preesistente, che già di per sé suona ambiguo, perché enfatizza una continuità messa in discussione proprio dal ritiro della delegazione di Italia Viva. Credo che si sia sottovalutata la richiesta base di Renzi, cioè di riconoscere Italia Viva come parte essenziale della maggioranza, che certo non può essere soddisfatta con una scusa a fior di labbra o una adesione obtorto collo da parte degli ex alleati, data tenendo incrociate le dita dietro la schiena. Forse è un narcisista, ma qui sarebbe difficile trovare il vincitore in una gara fra Conte e lui, ma non fesso, sa bene che cosa intende Zingaretti e company quando parlano di una maggioranza “più larga”, cioè di una ripresa sotto il Conte ter di una politica di reclutamento dei responsabili favorita dal ritorno in sella dello stesso, con un potere di scambio enormemente accresciuto. Questo spiega la posizione di Renzi, tanto sicuro che Matterella non scioglierà le Camere, da aver fatto balenare la sua disponibilità ad un governo istituzionale, che gli permetterebbe il colpo grosso di liberarsi almeno temporaneamente di Conte, così incentivandolo, per riempire il tempo, a creare le premesse di una sua leadership, come capo della coalizione di centro-sinistra, con o senza la sua lista.
Si dice che non è dato capire quale sia lo scopo di Renzi, come se tutto si esaurisse in un mero difetto caratteriale. Bene, a mio avviso, questo scopo è far fallire di Zingaretti, che gli riaprirebbe le porte del Pd, dato che uno che ha scelto l’esilio per non finire il suo cursus politico da perdente, conta sempre di ritornare nel paese natio da vincitore. Ora, il nostro fiorentino immagina, non del tutto a torto, che Zingaretti, appendendosi a Conte, abbia dato inizio al suo suicidio, perché prima o poi l’avvocato del popolo si trasformerà in un feroce cannibale dell’elettorato piddino, senza, peraltro, riuscire a contrastare il successo del centrodestra. A questo punto potrebbe ben tornare il momento di richiamare dall’esilio quell’esule che, dopo tutto ha assicurato al partitone il suo maggior successo elettorale, un fantasmagorico 40 per cento.
Credo che per Renzi questa sia stata una bella tentazione, tanto da aver coltivato in cuor suo una qualche speranza circa il niet di 5 Stelle nei suoi confronti. Ma, una volta che anche i 5 Stelle dichiarano la loro disponibilità a riprenderselo nella vecchia compagnia, la strada si presenta tutt’altro che in discesa perché non si è forse considerata appieno la richiesta che Italia Viva sia riconosciuta come parte essenziale della maggioranza. Il che significa, anzitutto che non esiste la prospettiva pure rilanciata apertamente di una maggioranza “allargata”. La via di fuga costituita dai responsabili deve essere chiusa, pretendendo dal Pd il ritiro della senatrice prestata, con inevitabile scioglimento del gruppo; e, comunque, escludendo che nel Conte ter qualsiasi posto sia assicurato a uno dei responsabili, anche a titolo personale, sì da disincentivare qualsiasi nuovo tentativo in tal senso.
Questo mi sembrerebbe essere solo l’inizio. Il punto centrale dovrebbe consistere nella presa d’atto da parte di Conte che la crisi non è stata affatto una cosa inspiegabile, ma qualcosa di ben motivato; una presa d’atto che non necessita di essere fatta a parole, ma nella composizione del nuovo governo e nel patto di legislatura. Volendo limitarsi all’essenziale, che dire della riassegnazione a Bonafede del Ministero della giustizia, con la sua politica giudiziaria giustizialista, centrata sulla sostanziale abolizione della prescrizione? Che dire, altresì, di una legge elettorale nettamente proporzionale, rilanciata per incoraggiare la transumanza dei senatori “centristi” verso la pattuglia dei responsabili?
Per non parlare dei piatti forti del patto di legislatura, quali dati dal piano di vaccinazione e dal Next generation plan, che evidenziano un persistente ritardo del Conte bis, tanto da dover essere rivisti, scontando, per il primo, un plateale smacco della Commissione europea, non certo coperto dal minacciato ricorso alle carte bollate; e per il secondo, un serio ritardo nel suo itinerario politico ancor prima che tecnico, con riguardo al coinvolgimento dell’opposizione e all’apprestamento del meccanismo operativo e di controllo.
Qui sta la richiesta di Renzi di un mandato assegnato ad un terzo, per verificare almeno lo schema di questo patto di legislatura, perché una volta dato l’incarico a Conte, questo potrebbe essere imposto a una Italia Viva isolata nella vecchia maggioranza, in cui, però, risulterebbe ingabbiata una volta per tutte, senza potersi chiamare fuori, a costo sì di fare una figuraccia. Appare evidente che il nuovo matrimonio non contemplerà alcun accordo preventivo sull’elezione del successore di Matterella, sì da lasciare libere le mani dei partecipanti, mettendo così in dubbio un motivo fondamentale del Conte bis, certo di impedire a Salvini di assumere i “pieni poteri”, dando per scontato che avrebbe vinto le elezioni, così evitando ad un popolo rimasto perennemente immaturo di perdere se stesso; ma anche assicurarsi che al Quirinale vada un santo protettore della sinistra.
Di questo ha preso atto Matterella, convocando il presidente della Camera, per un mandato esplorativo da espletare fra quei partner che dovrebbero rilanciare la vecchia alleanza, assegnandogli una sorta di ruolo di mediatore/notaio. La nave riprenderà ad andare, ma con una navigazione che si preannuncia difficile, alimentata da una diffidenza ormai consolidata: 5 Stelle, Pd e Leu, procederanno in cordata con alla guida Conte, voltandosi di continuo per vedere se Italia Viva li stia seguendo, specie nel tratto duro costituito dal semestre bianco; Italia Viva salirà in solitaria, aspettandosi sempre che un qualche sasso gli venga fatto rotolare dall’alto.