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Cartoline dal manicomio Italia: l’odio non è più un problema se viene da sinistra

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Cartoline dal manicomio Italia. Un lanciatore di frisbee, uno di quegli eterni fuoricorso della vita che a 32 anni ancora bazzicano i centri sociali, vien messo a dirigere un collettivo di parigrado chiamato “sardine” e si monta la testa: “Piaccio a tutte, mi cercano tutti” dice mentre gli fanno mangiare piatti di sardine in continuazione. Gli chiedono che idea abbia della prescrizione, e lui dice che i bambini autistici non possono giocare a pallacanestro. Poi difende il sistema Bibbiano, atroce, infernale, con queste parole: “Tutte balle, solo uno slogan”. Secondo una cantante di alterne fortune, Paola Turci, questo capo sardina è “il migliore politico degli ultimi anni” e alla sua corte riparano rottami musicali in cerca di gloria residua.

Un coetaneo del Sardina, ex bibitaro allo stadio, promosso capo politico di una setta fondata da un comico e un informatico, finisce a fare il ministro degli esteri: confonde i Paesi sul mappamondo, chiama il presidente cinese Xi Jinping “mister Pin”, le faide interne lo fanno cadere in disgrazia nella nomenklatura e lui commenta, in un accesso di modestia, è la fine di un’epoca. Tra i sostituti, gaffeur, incapaci, distratti, lunatici e l’ombra lunga di un competitore, ex intrattenitore in villaggi turistici formalmente uscito dalla setta per darsi ai viaggi esotici, ma sempre incombente.

Un ex ministro dell’interno, lanciato in campagna elettorale, citofona a un tunisino sospetto e chiede: scusi, lei spaccia? Si scatena il canaio, la destra lo difende in nome della lotta alla droga (sic!), la sinistra difende il nordafricano risorsa in nome del sospetto spaccio e si distingue, per furibondi attacchi, uno scrittore di romanzetti sentimentali. Un allenatore con la leucemia si espone a favore del politico al citofono e i buoni, gli umanitari commentano: che possa non arrivare a domenica, tanto un cancro ce l’ha già. Sono le sardine di cui sopra, le stesse che vogliono imporre il bando agli odiatori su internet. Sempre sul politico citofonatore, arriva una presa di posizione del Vaticano che in sostanza spiega: noi non facciamo politica, non parliamo delle persone, però quello è un pezzo di merda.

Un presidente del Consiglio per caso, o per allegria, o per decreto presidenziale, sgomita ai vertici internazionali, ma lo accompagnano per le spicce all’ultima fila, a margine della fotina di rito. “Siamo tornati a contare in Europa”, commenta lui tutto orgoglioso.

A Sanremo un conduttore sponsorizzato da un impresario legato a un politico di sinistra pretende una giornalista esotica a sinistra della rivoluzione cinese che odia “il maschio bianco” in quanto tale. Anche lei sponsorizzata dallo stesso impresario del presentatore. La prendono, poi ci ripensano, poi cambiano idea e l’arruolano. Lei, per festeggiare, in nome del popolo si fa ospitare nella villa di una di una dinastia industriale. Sempre a Sanremo chiamano un rapper che in vita sua ha praticamente avuto successo con una filastrocca in cui vuole scuoiare un’amica che si chiama Gioia e “prima beve e poi ingoia”.

La sinistra femminista prima si indigna, poi si accorge che anche il politico citofonatore protesta e allora passa a difendere il rapper misogino in nome della sacralità artistica. La setta fondata dal comico perde pezzi, sembra sul punto di sfaldarsi e il Sardina commenta autorevolmente: non è una sorpresa, hanno perso la barra. Adesso ci siamo noi, adesso tocca a me.

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la grande bugia verde