In assenza di notizie il caso Bardonecchia ha dominato le cronache e il dibattito politico nel weekend di Pasqua. Con troppa facilità e con sprezzo del ridicolo, da parte italiana si è gridato all'”invasione” per qualche doganiere francese che ha usato i locali di una stazione di confine italiana per un controllo antidroga. Le regole previste dal Trattato di Schengen, e da un accordo di cooperazione transfrontaliera Italia-Francia, le cui modalità operative (come gli sconfinamenti per controlli anche senza preventiva comunicazione) sono definite con ampia discrezionalità ed elasticità in via amministrativa, avrebbero suggerito maggiore prudenza prima di trarre delle conclusioni. Ma al di là del singolo episodio, dell’accertamento di eventuali violazioni e responsabilità, il caso suggerisce alcune considerazioni più generali.
Solo la politica italiana sa regalare momenti così surreali. Non ci lasciamo sfuggire un singolo albero, ma non siamo in grado di vedere l’intera foresta. Da anni abbiamo rinunciato al controllo dei nostri confini. Il nostro interesse nazionale è stato calpestato persino da quelli che dovevano essere i nostri alleati. Non abbiamo esitato a “chiamare lo straniero” – un vizio antico – pur di liberarci del nemico interno. Ci siamo fatti invadere, commissariare, ricattare, abbiamo svenduto i nostri gioielli e abbassato lo sguardo ai tavoli più importanti. Solo a parlare di interesse nazionale si rischia di passare per antieuropeisti, se non direttamente per fascisti. Eppure, improvvisamente, in un momentaneo sussulto di dignità nazionale, forze politiche divise su tutto – e prese da beghe condominiali mentre altrove si giocano le partite vere – si sono ritrovate d’accordo nel considerare i bagni della stazione di Bardonecchia la trincea sulla quale difendere petto in fuori e spada tratta la nostra sovranità nazionale. Ci sarebbe da ridere, se il tema non fosse tremendamente serio.
In pochi mesi Emmanuel Macron da santo a demonio, per i nostri europeisti “alle vongole”, quelli che avevano visto nel neo presidente francese un modello di europeismo, tranne poi dover constatare che a Parigi stare in Europa non vuol dire “volemose bene”, ma tutelare gli interessi dei propri concittadini. Qualche notizia: le nazioni esistono ancora, i confini pure; presidenti e governi rispondono ai loro elettori, non a utopie (o incubi) europeisti… e Macron fa (e fa bene) gli interessi della Francia. E l’interesse dell’Italia, chi se ne occupa?
I cosiddetti “sovranisti”, si dirà. Ma da noi sono “alle vongole” pure i sovranisti, che sbraitano alla luna e stringono un pugno di mosche. Se la prendono con i francesi se “sconfinano” per un controllo antidroga, ma non li turba l’uso di armi chimiche russe su territorio britannico. I nostri confini sono un colabrodo, ma non si chiedono dove sta, e soprattutto cosa fa, la nostra polizia di frontiera. Né cosa ci faccia nei locali della stazione di Bardonecchia una ong pro-migranti, se su quel confine il flusso è in uscita. Perché non nella stazione di Modane?
Tutto si può rimproverare ai francesi, la loro arroganza e il loro sciovinismo, ma non si può dubitare del loro senso dello Stato. Per i francesi è una cosa seria, il loro non è un “failed state” come il nostro. L’Italia è un “sanctuary-state” che dall’estremo sud, nel Mediterraneo centrale, all’estremo nord, ha abdicato alla sua autorità e appaltato il controllo dei propri confini alle ong… Ong che si ritengono al di sopra della legge e si rifiutano senza mezzi termini di collaborare con le autorità anche quando si tratta di combattere il traffico di esseri umani. C’è chi, come la Francia, controlla i propri confini e contrasta l’immigrazione illegale, sfruttando al massimo, e forse anche oltre, i margini del Trattato di Schengen e degli accordi transfrontalieri, e chi, come l’Italia, continua a tollerarla e incoraggiarla: in entrata come in uscita.
Il problema è tutto nelle parole del sindaco di Bardonecchia: “Prima l’accoglienza, poi tutto il resto”. No, in un paese serio prima viene la legge, poi tutto il resto. Siamo l’unico stato membro dell’Unione europea che ha tollerato e incoraggiato l’immigrazione illegale confondendola deliberatamente con i flussi di rifugiati. E’ questa la differenza che ci rende inaffidabili agli occhi dei nostri vicini, tanto che abbiamo problemi alle frontiere con tutti: Francia, Austria e Svizzera. Tutti cattivi?
Quando lamentiamo che l’Europa ci ha “lasciati soli” di fronte all’emergenza migranti, dimentichiamo due dettagli non da poco: 1) che per la maggior parte, quella eccedente i numeri tutto sommato contenuti di profughi, il fenomeno è stato alimentato dalle nostre politiche delle “porte aperte”, dell’accoglienza indiscriminata, dei soccorsi, o meglio trasbordi a poche miglia dalle coste libiche (politiche certamente non concertate con i nostri partner europei); 2) che siamo stati noi ad aver violato lo spirito di cooperazione europea, chiudendo entrambi gli occhi su un’immigrazione che in tutti i Paesi Ue, compreso il nostro, è considerata illegale. Come potevamo pretendere che i nostri vicini si accollassero quota parte gli oneri di politiche migratorie irresponsabili che nessuno ha chiesto ai nostri governi di adottare?
Abbiamo accolto tutti i migranti soccorsi in acque internazionali – illegali all’85 per cento e richiedenti asilo per il 15 – per anni senza nemmeno identificarli. Anzi, abbiamo chiesto agli altri di portarcerli nei nostri porti in cambio di qualche zero virgola di flessibilità sui conti pubblici. E peggio, contando sul fatto che per la maggior parte di essi l’Italia sarebbe stata solo una tappa verso la destinazione finale (Francia, Germania, o Nord Europa), li abbiamo fatti entrare con la riserva mentale di permettere loro di attraversare i confini con i nostri vicini nello stesso modo illegale con cui erano arrivati da noi. Una furbizia tipicamente italiana che non è passata inosservata, e che ha comprensibilmente irritato i nostri vicini.