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Il caso Calenda-Giuricin: se un ministro accusa chi pone domande di essere anti-italiano

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I dettagli di cronaca forse li conoscete già. Un brillantissimo, e serio, e liberale (tutte e tre le cose insieme: in Italia, un mix inquietante per molti) esperto in materia di trasporti, Andrea Giuricin, ha per l’ennesima volta documentato la situazione incommentabile di Alitalia, che perde due milioni di euro al giorno. Inutile dirlo: in larga parte, soldi dei contribuenti italiani.

A scanso di equivoci, le responsabilità sono di lunga data e di larga – anzi larghissima! – compartecipazione. Quasi nessuno può scagliare pietre: i vecchi arnesi della prima repubblica, i loro eredi nella seconda (specie nel centrosinistra), e un centrodestra che colpevolmente scommise sul “salvataggio”, cioè sul prolungamento dell’accanimento terapeutico. Da questo punto di vista, paradossalmente, sarebbe una situazione “ideale”: essendo quasi tutti corresponsabili, anziché aggredirsi reciprocamente e vantare impossibili verginità, si potrebbe perfino iniziare a ragionare in modo sereno, fattuale, reciprocamente rispettoso.

Con questo spirito, Giuricin pone una volta di più il problema, e lo fa in modo documentato, cifre alla mano. Apriti cielo. Il ministro Calenda, twittatore compulsivo, si inalbera, e lo accusa di essere poco più o poco meno di un disfattista, di un traditore della patria, colpevole di aver segnalato il tema anche in sede europea.

Lascio da parte il merito: su cui le ragioni di Giuricin sono a prova di bomba. In questo caso, infatti, ciò che colpisce anche di più è il metodo.

Ma come? Tutti i giorni politici e media di orientamento “mainstream” ci catechizzano sull’Europa, aggredendo chiunque sollevi obiezioni su questa Ue: poi, però, se qualcuno li prende sul serio e pone con garbo un tema all’attenzione delle autorità europee, sono loro a dar di matto, e a fare i “sovranisti”.

Ancora. Tutti i giorni, maestri e maestrini ci spiegano il valore del dibattito pubblico, della public conversation. Poi però se la discussione prende una piega sgradita, allora buttano la palla in tribuna e spiegano che “certe cose non si dicono”.

E infine. Ma che tipo di stato è quello in cui non c’è accountability, non si risponde al pubblico, ma si rivendica una sorta di diritto-dovere di “lavare i panni in casa”? Logica curiosa: i media facciano da grancassa, i dissidenti stiano muti, e il pubblico faccia un bell’applauso. Anzi, faccia il piacere di ritwittare…

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