Si sa, di questi tempi i pensatori di sinistra sono in crisi d’identità, la sempiterna intellighenzia annaspa e affannosamente si appiglia alle dichiarazioni dell’artista di turno, dello sportivo che piace, del personaggio dello spettacolo rigorosamente “buono”. I rapper diventano politologi, gli sportivi maître à penser e avventati cuochi – tra un artificio culinario e una coulisse di fragole – prodighi eroi della resistenza al populismo.
Paladini e giustizieri allo stesso tempo di un popolo che arrivano a odiare. Protettori e carnefici, pedagoghi e sprezzanti giudici, intellettuali dissidenti che occupano, da opinionisti, pagine di giornali, servizi radiotelevisivi, talk show politici. Presenze il più delle volte inappropriate al contesto in cui sono chiamati a partecipare e che, nella maggior parte dei casi – rubando tempo prezioso alle attività in cui spiccano – finiscono per sentenziare sui telespettatori.
YouTube riserva grandi sorprese e bruciori di stomaco: capita di cercare una canzone e ci si ritrova, in un misto di cuorità e noia, ad ascoltare la disanima di Chef Rubio nei confronti del ministro Salvini. “Mi fa specie che le persone che incontro per strada e che sono molto più dei suoi sostenitori, rimangono esterrefatte di fronte delle affermazioni faziose e seperariste del ministro”. E ancora: “Ci facciamo promotori di un fantomatico made in Italy ma siamo stati contaminati da varie culture, il pomodoro per esempio non l’avevamo”.
Ma che strano, quando un partito non ci piace, la militanza, il seguito social, gli elettori, in un batter d’occhio spariscono, le persone si trasformano in entità amorfe, incarognite, spregevoli e i bisogni, in alcuni casi la disperazione, da istanze comprensibili si trasformano in pericoli da arginare, ondate da contrastare, barbari da respingere con la stessa veemenza che sostanzia la minaccia.
Un tempo le nonne, dinanzi al secco diniego del nipote nel rifiutare con un perentorio “che schifo” un piatto poco gradito, avrebbero insegnato che la parola schifo non si usa neanche nel caso in cui ci si trovi dinanzi qualcosa che si maldigerisce.
Il multiculturalismo, concetto astruso per eccellenza, diventa la conditio sine qua non, affinché si materializzi e si riconosca l’elettorato. L’Italia deve rendere sapide le proprie ricette con spezie arabeggianti, le contaminazioni culinarie assolutamente non possono trascendere dalle più feroci e utopiche commistioni culturali, o peggio ancora religiose. La presunzione di voler imporre il proprio menù, il personalissimo gusto come un sentire universale, ha portato all’eclissarsi di una moltitudine di partiti. Qualcuno salvi almeno la cucina dall’abuso eccesivo delle spezie, dai sapori imposti, da un univoco concetto di gusto. Un motivo c’è, se molto spesso i piatti tornano ancora pieni in cucina, ma la colpa non è del palato delle persone servite.