Parlando all’udienza generale e riferendosi al suo recente viaggio in Iraq, Papa Francesco si è fatto una domanda: “Chi vende armi ai terroristi?”. Una domanda forte, alla quale il Pontefice vorrebbe che qualcuno rispondesse.
Senza avere la pretesa di essere esaustivi o soddisfare la curiosità del Santo Padre, per trovare qualche indizio, almeno per quanto riguarda il Medio Oriente, ma non solo, basta guardare ad est dell’Iraq, ovvero al vicino Iran, uno dei principali sostenitori del terrorismo internazionale.
Restando solo all’attualità, il Medio Oriente oggi sta compiendo degli enormi passi avanti verso la pace e la stabilità, soprattutto grazie agli Accordi di Abramo promossi dalla precedente amministrazione americana di Donald Trump. Accordi che hanno stravolto, in senso positivo, la Regione, permettendo il dialogo e la pace tra Paesi che per anni si sono combattuti, con il sostegno di un player fondamentale: l’Arabia Saudita. Riad, che ancora non ha normalizzato le relazioni diplomatiche con Gerusalemme, ha di fatto supportato questo processo, comprendendo che gli anni passati a sostenere il terrorismo jihadista salafita sono stati un gravissimo errore.
Chi invece questo errore non lo ha ancora riconosciuto è proprio la Repubblica Islamica dell’Iran. Teheran è il primo avversario degli Accordi di Abramo ed è il Paese che, sin dal 1984, è classificato dagli Stati Uniti come primo sostenitore del terrorismo internazionale. Per queste ragioni, da anni l’Iran è inserito nella blacklist della Financial Action Task Force, organizzazione intergovernativa di fama mondiale – anche nota come GAFI – che sconsiglia di investire in Iran, proprio per il rischio che i soldi vengano riciclati al fine di sostenere il terrorismo internazionale.
Secondo il think tank americano Foundation for Defense Democracies, l’Iran spende annualmente almeno 16 miliardi di dollari al fine di sostenere le varie organizzazioni terroristiche internazionali (in primis Hezbollah, le milizie irachene, Hamas, la Jihad Islamica palestinese e il regime siriano).
Nel maggio del 2019, fu Nessuno Tocchi Caino invece a presentare uno studio del professor Baldassare intitotalo “Il costo che, in termini di minor Pil ed occupazione, il popolo iraniano paga per il finanziamento estero della jihad islamica da parte del regime. Prime stime econometriche”, in cui non solo veniva denunciato come il regime spendesse oltre 8 miliardi l’anno solo per finanziare Hezbollah, Hamas e i Pasdaran (a cui andrebbero aggiunti i fondi dati a Damasco), ma anche il costo sul Pil iraniano di questa spesa, ovvero i soldi rubati allo sviluppo del Paese in campo economico e sociale.
A questo sostegno ai proxy diretti e indiretti iraniani, andrebbe aggiunto il sostegno che Teheran offre, non dichiarato ufficialmente ma ormai tristemente noto, ad organizzazioni jihadiste salafite, teoricamente nemiche del regime iraniano. In questo senso parliamo soprattutto del supporto iraniano ad al-Qaeda, un patto del terrore che ormai va avanti da quasi trent’anni.
Ecco perché, dopo l’incontro con al Sistani – da sempre oppositore della versione khomeinista dello sciismo – Papa Francesco dovrebbe recarsi in Libano e offrire il suo forte sostegno ai tanti religiosi, come il Patriarca maronita Bechara al-Rahi, che in questi giorni si stanno ergendo a coraggiosi e solitari paladini della lotta contro l’influenza iraniana nel Paese, contrastando a viso aperto Hezbollah, organizzazione terroristica al servizio di Teheran, che rifiuta di deporre le armi (nonostante la Risoluzione Onu 1701 lo preveda espressamente).
Senza pretendere di essere stati esaustivi su un tema drammatico e complesso come il finanziamento del terrorismo internazionale, il solo contrasto del regime clericale iraniano sarebbe già un enorme passo avanti per contrastare – in Medio Oriente e nel mondo – la piaga del terrorismo islamico.