L’Italia è un Paese davvero strano. Giornali e tv hanno mostrato ogni dettaglio della pandemia da più di un anno; notizie che non sono notizie, spesso prive d’importanza ma che valgono a tenere incollati milioni di lettori e telespettatori a una narrazione ogni giorno sempre più allarmista e spaventosa, hanno letteralmente sommerso l’opinione pubblica.
I media hanno diffuso centinaia di articoli di giornali e servizi televisivi sulla ricerca del primo contagiato, sulla carenza di bare a Bergamo, su medici e infermieri stremati da eroico sacrifico, sulle opinioni divergenti di esperti, virologi ed epidemiologi. Ogni giorno sui siti web delle principali testate giornalistiche abbiamo contato i morti uno a uno; poi, non ancora del tutto soddisfatti, alcuni quotidiani hanno pubblicato anche i volti di coloro che non ce l’hanno fatta e ogni singola storia di malattia carica di dolore, disperazione e annesse domande sciocche del finto cronista di turno che chiede ai parenti delle vittime del loro stato d’animo. È stata una gara a chi spiegava meglio come andare a fare la spesa, allacciare la mascherina, lavare le mani, pulire le scarpe.
A reti unificate e con agitazione monocorde ci hanno servito sermoni sulla necessità di rispettare le regole, di non violare il lockdown, di attenerci alle distanze, di non andare più a correre, di rinunciare alla passeggiata, di evitare di portare in giro il cane. Autorità e media hanno tentato di convincerci che la convivenza in famiglia o fra amici potrebbe costituire un pericolo e la celebrazione delle feste comandate una tragedia. Le forze dell’ordine ci hanno chiesto la giustificazione sulle ragioni che per le quali siamo stati all’aperto invece di rimanere rintanati in casa.
Schiere di reggi microfoni hanno raccolto dichiarazioni di politici, ministri, e presidenti di regione. Tutte uguali, tutte rassicuranti: rimanete a casa, al resto pensiamo noi, vi forniremo gli alimenti necessari e l’occorrente per sopravvivere.
Le immagini, in particolare, sono state ossessive, ripetute decine di volte, sempre uguali: camion carichi di bare, poveri cristi in terapia intensiva, l’infermeria piegata sulla scrivania, file ai supermercati, strade deserte che danno un suggestivo senso di paesaggio spettrale, quattro o cinque esperti in tutto che dopo cinquecento giorni di maratona televisiva dovrebbero venire a noia anche al più incallito tele dipendente.
I media hanno narrato, hanno raccontato quello che hanno visto e quello che il potere ha dato loro in pasto. Della funzione da cane da guardia a difesa della libertà di milioni di esseri umani e della necessità di andare alla ricerca di una possibile verità da sottoporre sempre a revisione critica nemmeno l’ombra. Il potere non è stato messo sotto osservazione, le scelte più importanti non sono mai state messe in discussione dalla stampa e le soluzioni proposte sono state sempre accettate senza alcuna ricerca di valide e meno dolorose alternative. Il verbo dello Stato è stata la sola scienza ufficiale accettata. Dubitare è equivalso a negare.
Più di quattrocento giorni di pandemia sono stati frullati passivamente dalla stampa senza alcun contributo critico davvero importante, per pigrizia e per convenienza. Del resto non è una novità che nel nostro Paese quasi tutti i mezzi di informazione rappresentino una semplice e scadente propaggine degli schieramenti politici. Se si apre una testata on line si sa già come andrà a finire, se si presta attenzione a un telegiornale non si prova più alcuna meraviglia per la stucchevole partigianeria. E poi il terrore, la paura, l’allarme, i toni urlati, fanno vendere e fanno vendere parecchio.
Non c’è da provare nessuna meraviglia quindi se una delle notizie che avrebbero dovuto occupare le prime pagine dei quotidiani e i servizi di telegiornali e talk show per giorni e giorni sia stata praticamente ignorata.
Il TAR del Lazio qualche giorno addietro ha ordinato al Governo di rivedere i provvedimenti con i quali ha imposto da mesi la chiusura automatica in zona rossa delle scuole di ogni ordine e grado. La decisione dell’esecutivo, infatti, sarebbe priva di una istruttoria adeguata in grado di dimostrare la necessità, l’adeguatezza e la proporzionalità di un tale misura.
Non c’è nessun sconfinamento dei poteri della magistratura, non c’è nessuna invasione di campo. Non si agitino i giornalisti e commentatori tuttologi che usano il refrain della dittature delle toghe anche quando l’intervento dei giudici rappresenta l’unica ancora di salvezza contro la deriva del potere costituito. È proprio questa la divisione dei poteri e lo si comprende leggendo l’ordinanza del Tribunale amministrativo.
Un gruppo di genitori di alunni confinati in zona rossa producono davanti ai giudici una mole considerevole di studi e ricerche che dimostrano come non vi sia alcuna correlazione fra l’apertura delle scuole e la diffusione o l’aumento del contagio da Covid-19. Si tratta, in particolare, di “svariati studi scientifici pubblicati da prestigiose riviste mediche, reports sui dati di contagio in ambito scolastico rilevati in Toscana ed in Sicilia, nonché relazioni scientifiche, (depositate in data 9.3 e 23.3.2021) rilasciate da esperti in epidemiologia, in biomedica e in biostatistica, nelle quali si analizzano funditus i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità: tali relazioni pervengono alla conclusione che non esistono evidenze scientifiche solide e incontrovertibili circa il fatto (i) che il contagio avvenuto in classe influisca sull’andamento generale del contagio, (ii) che l’aumento del contagio tra i soggetti in età scolastica sia legato all’apertura delle scuole, (iii) che la c.d. variante inglese si diffonda maggiormente nelle sole fasce d’età scolastiche, (iv) che le diverse varianti circolanti nel Paese siano resistenti ai vaccini in uso in Italia, e affermano che “Le analisi qui condotte non dimostrano una situazione di aumentata pericolosità a livello di aumento di contagi, diffusione di focolai scolastici, trasmissione secondaria in ambito scolastico, aumentato rischio per individui in età scolare di trasmettere la cd variante inglese rispetto alla popolazione. Rappresentano invece un’invidiabile situazione a livello europeo di capacità di tracciamento dei casi e pertanto nella classificazione dello scenario italiano secondo OMS”.
A fronte di tale principio di prova sulla assoluta inefficacia della chiusure delle scuole, il Governo e il Comitato tecnico scientifico non hanno prodotto alcuna evidenza contraria, né alcun principio di prova, scientificamente valido, che la corretta applicazione della regola della precauzione richiedesse la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Servono chiarimenti, dunque, perché la limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali deve reggersi su una base scientifica.
Il TAR del Lazio ha osservato anche come il CTS non abbia richiesto mai, in realtà, la chiusura automatica delle scuole in zona rossa.
C’è da chiedersi, a questo punto, perché da mesi milioni di ragazzi non possono recarsi regolarmente a scuola anche in zona rossa?
Qualcuno si è preso la briga di verificare l’autorevolezza degli studi e delle relazioni citati dal Tribunale amministrativo? La mancanza di correlazione evidenziata dai giudici è vera o falsa? È stato svolto uno studio approfondito sul tema? Come replicherà il Governo alla sollecitazione del TAR di approfondire l’istruttoria e mettere in evidenza l’utilità dell’interruzione del servizio scolastico?
Ma soprattuto, i giornalisti d’assalto, sempre pronti a inseguire il potente di turno per chiedergli conto di uno scontrino per un caffè addebitato alla Camera dei deputati, quelli che vorrebbero emulare il vero professionista d’inchiesta seminando terrore per ogni dove parlando senza cognizione di causa di rifiuti, onde elettromagnetiche, ogm, e tanto altro ancora, cosa stanno facendo esattamente in questo momento? Stanno forse reggendo il microfono per raccogliere le ultime dichiarazioni del politico o dell’epidemiologo di turno con le quali si terrorizza un’intera popolazione? Non è compito dei media vigilare sulla legittima limitazione della libertà e del diritto allo studio di milioni di giovani studenti?
Ma ciò che emerge ancora dall’ordinanza del TAR Lazio lascia davvero senza parole: “i ricorrenti hanno prodotto pubblicazioni che sembrerebbero comprovare, rispetto all’inizio della pandemia (marzo 2020), un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri di adolescenti per gravi disordini alimentari e tentativi di suicidio (cfr. in particolari documenti nn. 131 e 146 di parte ricorrente), quale effetto del progressivo isolamento sociale indotto dalle misure di contenimento del contagio, ragione per cui appare urgente una approfondita valutazione della situazione al fine di ripristinare l’attività didattica ordinaria, cioè in presenza”.
Queste rilevazioni sono vere o false? Sono frutto delle elucubrazioni di pericolosi negazionisti o meritano di essere prese in considerazione per verificarne, come ha richiesto il Tribunale, l’attendibilità? Se risultassero attendibili quali sarebbero le conseguenze rispetto a tutto ciò che è stato imposto sino adesso?
Perché il dubbio, peraltro ancora privo di sufficiente base scientifica, della pericolosità del vaccino AstraZeneca ha meritato le prime pagine dei giornali e i commenti allarmati di tutti i maitres a penser della domenica, mentre il dubbio ingeneratosi nel corso di una verifica puntuale e svolta in contraddittorio, qual è un processo pubblico, in ordine alla inutilità e nocività delle chiusure scolastiche non deve, invece, meritare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica? Quali le ragioni che hanno indotto editori, direttori e commentatori a cessare il solito clamore in occasione di una perplessità ben argomentata da parte di un Tribunale della Repubblica?
Forse perché col terrore e l’allarme si fa business e con la riflessione pacata e razionale si perdono lettori, telespettatori e inserzioni pubblicitarie? Forse perché andare alla ricerca degli errori e della responsabilità dei propri beniamini non è la missione di chi ha scelto di appartenere a un certo giornalismo?