È proprio un mondo alla rovescia. Chi dovrebbe parlare, almeno prevalentemente, di morale e di religione parla di politica e chi dovrebbe parlare di politica (ossia dell’arte della gestione della cosa pubblica) straparla di etica, morale e ci impartisce lezioni che nemmeno i preti, forse proprio perché troppo impegnati in politica, usano più impartire. Potrà sembrare banale, ma i migliori alleati della sinistra italiana sono gli eredi spirituali di quel Papa Pio XII che scomunicò i comunisti ed affollavano Piazza S. Pietro ancora pochi anni fa, quando Karol Woytjla si scagliò violentemente contro il comunismo e che tanto fece per liberare la sua patria natale (e non solo quella) dalla dittatura rossa.
Curiosamente, si sente ancora oggi parlare della caduta del Muro di Berlino come non fosse stata (sebbene lo fu) la fine del comunismo reale in Europa. Gli eredi di quel PCI che prendeva ordini da Mosca (e molti di loro sono ancora in vita ed in attività) sembrano essersi appropriati del merito della caduta dell’infame muro che divise la Germania in due, con un abile manovra di trasformismo che, tuttavia, trova terreno fertile nella memoria, straordinariamente corta, degli italiani. Chiudere sbrigativamente la questione del comunismo e dell’anticomunismo come qualcosa di vecchio e superato dai fatti e dagli eventi è un grande errore, tanto dal punto di vista del metodo d’indagine sociale, che degli schemi dei partiti che, piaccia o meno ai suoi esponenti attuali, sono nati dall’ideologia marxista e leninista.
Curiosamente, nel nostro Paese, si appioppa ancora facilmente del “fascista” agli esponenti della destra parlamentare, mentre la stragrande maggioranza degli esponenti della sinistra attuale pare inappropriato definirli comunisti, o anche solo ex comunisti. Eppure, anche un osservatore superficiale potrebbe facilmente ricondurre alla matrice marxista certi atteggiamenti di esponenti politici che, gira gira, alla fine, sembrano prendersela sempre coi detestabili “padroni”. Sono solo cambiati i termini, ed in questo siamo maestri nel mondo. Il padrone latifondista o il vorace industriale del tutto indifferente alle fatiche dei suoi operai non ci sono più da un pezzo, anche perché è sparito il latifondo e mi dicono che anche l’industria unipersonale non sia tanto in salute. La ripetitiva litania del sindacato (come a loro piace ancora definirsi, più che il dispersivo ma più corretto termine “sindacati”) è cambiata solo nei termini. Non trovando più sulla piazza tanti padroni ora ce l’hanno con gli evasori fiscali, coi possessori di auto di grossa cilindrata (e guai a chi possegga addirittura un criminale Suv) ma la solfa è la stessa. Non conta un accidente che la gran parte di coloro che non pagano per intero tasse ed imposte non abbiano i soldi per pagarle e sembra non contare affatto che il più eclatante fenomeno di sfruttamento del lavoro sia perpetrato dallo splendido mondo delle cooperative, che non sembrerebbero propriamente una creatura della destra reazionaria.
Una botta di “fascista” pare sempre starci bene, soprattutto quando non si trovano insulti più calzanti ed aggiornati. A nulla serve ricordare che il fascismo è morto nel 1945 ed il comunismo nel ben più recente 1991, per cui basterebbero ragioni di tipo meramente anagrafico a riportare le cose perlomeno nell’ambito della storia. La cosa peggiore, tuttavia, è che mentre noi ci perdiamo a stabilire chi sia più fascista o più comunista, una nuova, strisciante, forma di dittatura fa capolino alle nostre sponde, assommando in sé tutto il peggio di ambo le ideologie, ossia la vanagloriosa presunzione di essere nel giusto in quanto titolari e custodi unici dei sacrosanti valori morali e, come logica conseguenza, il diritto-dovere di rieducare chi non la pensi come loro.
Si continua a magnificare l’insegnamento di una Costituzione, di cui una parte minimissima degli italiani ha letto l’intero testo, come valore fondante e giustificativo per impartire lezioni morali pret a porter e financo di comportamento domestico, facendone una coperta che ciascuno tira un po’ dalla propria parte e lasciando scoperti ben più che i piedi, confidando nel fatto che il momento storico in cui l’Assemblea Costituente la mise nero su bianco è ormai lontanissimo. Si dimentica, infine, la circostanza che erano ben altri tempi e che ancora fumavano le macerie dei bombardamenti. Quella Costituzione (che peraltro ha pure qualche difetto non di poco conto) era frutto di precise situazioni di fatto allora cogenti e rifletteva precisamente le istanze delle formazioni politiche che la scrissero. L’Italia della Costituzione era, comunque, troppo diversa da quella di oggi. Tuttavia ne sembrano ancora tutti talmente innamorati da volerne cambiare il dettato (in parti essenziali) anche più volte l’anno. Basterebbe, sul punto, ricordare che per molti decenni, e con governi di ogni colore, il testo della Costituzione rimase inalterato, mentre adesso bisogna dotarsi di una copia della stessa che non abbia più di sei mesi, per non citarla a sproposito. Ma che c’importa? Tanto si governa a colpi di Dpcm (inesistenti nella Costituzione) e persino il Parlamento non riflette più né il sentimento politico degli italiani, né la composizione del governo, per cui tanti problemi di natura costituzionale sono chiacchiere, per quanto dotte ed autorevoli, ma rimangono chiacchiere.
Si tranquillizzi, comunque, chi, a giudicare da quanto disinvoltamente e frequentemente dia del fascista al prossimo, teme che possa tornare il fascismo. Non tornerà. Quanto al comunismo, non lo abbiamo mai avuto, perché al limite si tifava (retribuiti) per Mosca e pure quello non conviene più a nessuno, men che mai a Mosca o a Berlino. E nel frattempo, tra sogni ideologici infranti e grandi speranze andate disattese, che si fa? Si permettono metodi prettamente dittatoriali senza avere un dittatore (che, perlomeno, abbattuto lui, porta con sé la dittatura) e si permette di spiarci con ogni mezzo e fin dentro casa, controllati come capi di bestiame da raggruppare e riportare alla stalla prima ancora che siano usciti dagli steccati. Bella roba…