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Chiusure domenicali: libertà di impresa sotto attacco

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Il tema delle aperture domenicali è prepotentemente ritornato al centro del dibattito coinvolgendo ognuno di noi. Il ministro dello sviluppo economico Di Maio ha annunciato che a breve una legge impedirà ai negozi e ai centri commerciali di tenere aperto nei giorni festivi, domeniche comprese. Il vice premier mira a smantellare il cosiddetto “Salva Italia” messo a punto dal governo Monti che, all’articolo 31 prevede la liberalizzazione dell’apertura dei negozi lasciando agli esercenti totale autonomia.

Questo pacchetto per le imprese messo a punto nel dicembre 2011, dall’allora ministro dello sviluppo economico Corrado Passera, è in linea con la disciplina europea. Stabilisce infatti che “costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, nei limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura”. Uno studio pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni mostra come in Europa funzionino le principali legislazioni di merito alle chiusure commerciali settimanali. La liberalizzazione completa è presente nella stragrande maggioranza dei Paesi: Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Lettonia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia, tutti non prevedono alcuna restrizione in merito. “In Danimarca non c’è alcuna restrizione per le aperture domenicali ma durante le maggiori festività (Natale, Capodanno, etc.) i negozi devono chiudere entro le 15”, mentre in Francia, Germania e Grecia dove di limitazioni ve ne sono di più, sono presenti più che numerose “eccezioni” che portano negozi aperti in diversi periodi dell’anno. In Francia “vige il principio del riposo domenicale per dipendenti. Solo i negozi detenuti dai proprietari possono liberamente rimanere aperti. Le eccezioni prevedono i negozi alimentari, mentre il riposo domenicale è concesso a partire dalle 13. “Per i dipendenti che lavorano per i negozi più grandi di 400 metri quadrati, la remunerazione è aumentata del 30 per cento”, riporta l’Istituto Bruno Leoni.

Se io negoziante ho un business che funziona meglio di domenica, a che titolo lo Stato si arroga il potere di farmi chiudere? Posso chiedere un risarcimento per i soldi che perdo? E perché qualcun altro deve decidere per me imprenditore? Con il decreto “Salva Italia”, che recepisce un principio dell’Ue, si è giustamente demandata agli imprenditori la scelta di quando aprire o tenere chiuso il punto vendita, che è esattamente quello che devono fare lo Stato e l’Ue: permettere agli imprenditori di scegliere la propria strategia di impresa, lasciare ad ogni singolo la libertà di scegliere la sua vita e realizzare le sue aspirazioni. A ciascuno deve essere consentito di sviluppare le abilità che ritiene di avere, e nel modo che sceglie.

Non c’è alcuna visione romantica della famiglia o della vita; nessuna tutela dei lavoratori; nessun interesse a dare lavoro ai giovani, che si pagano gli studi lavorando nel weekend. La verità è che Di Maio sta facendo un enorme favore ai giganti dell’economia digitale come Amazon, Facebook e Google. Probabilmente chi compra oggi su Amazon continuerà a farlo ma con le chiusure domenicali e festive sarà ancora più incentivato a farlo. Chi ha un lavoro oggi,
probabilmente con questa ideologia neocomunista anti mercato non l’avrà domani. Ha ragione il governatore della Liguria Toti quando dice che non è normale perdere tutti questi posti di lavoro quando in Italia il tasso di disoccupazione è ben al di sopra della media europea. Quando nel mondo i negozi stanno aperti giorno e notte, da noi si chiudono. Il ministro Di Maio pensi ad abbassare la pressione fiscale sulle imprese e sui lavoratori, pensi a ridurre le regole, ad aumentare la libertà di scegliere e vedrà che la disoccupazione diminuirà.

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