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Ci riportano indietro al 1814, non al 1921: la libertà di Cavour contro lo Stato paternalista-burocratico

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Dino Grandi e Sergio Mattarella, Cavour e Draghi…

Da quasi due anni almeno, lo Stato va conculcando nostri diritti fondamentali, come mai era accaduto da quando esso è costituito in forma di Repubblica ordinata dalla Costituzione. Per riflettere su cosa stia accadendo, conviene indagare similitudini e differenze con le due ultime precedenti occasioni, nelle quali i diritti fondamentali degli italiani vennero conculcati.

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Nel novembre 1921, al Congresso di fondazione del Partito Nazionale Fascista (PNF) presso il Teatro dell’Augusteo in Roma, Dino Grandi tenne un gran discorso e disse: “il liberalismo … non si curò affatto di risolvere il problema nazionale, ma considerò soltanto la Nazione e lo Stato Nazionale come un mezzo occorrente per raggiungere la libertà dell’individuo. Il liberalismo, e per esso il partito liberale, considerò sempre la libertà come fine, l’indipendenza nazionale come mezzo per raggiungere la libertà … È questo il concetto cavouriano della libertà”. L’Italia come mezzo, la libertà dell’individuo come fine.

Analisi impeccabile. Nel 1814, i tanti stati italici pensavano di essere indipendenti: persino i Lombardi, per un breve momento, pensarono di poter ricevere solo un monarca, non le leggi austriache. Per poi scoprire che no, tutti gli stati italici erano servi dell’Impero d’Austria: uno Stato perfezionista (che abbraccia un bene presunto senza riguardo per gli interessi dei sudditi), paternalista (che non tiene conto di ciò che gli individui percepiscono come i propri interessi), burocratico (l’unica volontà politica rilevante è inevitabilmente esercitata per mezzo di una burocrazia obbediente al Sovrano e indifferente al suddito), ma non arbitrario (i sudditi dell’Asburgo sapevano a che legge obbedire e dovevano obbedirvi tutti, senza distinzioni). Un simile stato non soffre alcun limite o barriera, tranne quelli che esso stesso si impone, attraverso leggi che esso stesso determina, poiché anche il potere legislativo coincide con l’unico potere politico. Nessuno aveva speranza di avere influenza su cosa in quella legge fosse scritto.

E siamo noi l’opposto da loro, almeno a partire dal 9 marzo 2020? Quando i nostri bei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione (libertà di riunione, di circolazione, di religione, il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro, etc.) sono stati divorati dallo Stato (sino al punto di impedire ad eletti del popolo la partecipazione alle assemblee rappresentative). Stato che si è fatto forte di una interpretazione onnivora del diritto alla salute, eppoi sovrabbondante del bilanciamento di questo con i precedenti; di limiti temporali sempre evocati benché sempre rinviati; di una opinione scientifica riassunta dal memorabile “non ti vaccini, ti ammali, muori, oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, lui lei muore”; arrivando persino a sostenere (con Cassese) che, da sola, l’alta adesione alle vaccinazioni “dimostra il carattere non tirannico” del governo. Chi se lo scorda Conte: “l’obiettivo primario deve essere adesso recuperare il controllo della curva epidemiologica”.

Conviene rileggere Mattarella, a partire dal principio, “il governo ha stabilito ieri una serie di indicazioni di comportamento quotidiano, suggerite da scienziati ed esperti di valore” … giù giù sino all’ultimo, “non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione”. Una volta ha detto che “la pandemia” ha agito “mettendo in discussione abitudini consolidate e mettendo in discussione comportamenti scontati” … Ecco no, presidente: non la pandemia ma il governo, non abitudini e comportamenti ma diritti, Signor Presidente, diritti fondamentali. Un’altra volta: “mai più privazione della libertà” … poi deve essersene scordato. Un’altra volta ancora: “non ci può essere Repubblica senza lavoro” … poi ha firmato il decreto del Green Pass. Sintetizza un entusiasta Romano Prodi: “la salute è prima di tutto”. E tanti saluti al Conte di Cavour.

Gli Italici del 1814, al contrario, volevano una Repubblica (non importa se retta da un monarca, sorta di presidente della Repubblica vitalizio ed ereditario): uno Stato costretto ad attenersi agli interessi politicamente pertinenti dei cittadini, in consonanza con le loro idee su quegli interessi, fra i quali interessi le libertà dell’individuo. E così provarono a liberarsi separatamente: nel 1821 Lombardi, Piemontesi, Napoletani, nel 1831 Parmigiani, Modenesi, Papalini. E tutti separatamente fallirono. Sicché, da Italici divennero Italiani, nel senso che compresero di non potere ottenere la libertà dell’individuo se non tutti assieme: l’Italia come mezzo.

E siamo noi l’opposto da loro, che sino al 9 marzo 2020 ci siamo goduti i nostri bei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana e che vorremmo riaverli indietro?

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L’Italia liberale a Dino Grandi non bastava. Di quella Italia egli sosteneva di aver assistito al prossimo “dissolvimento”, alla prossima “disgregazione interna”, alla prossima “intima ed esteriore dissoluzione”, minacciate dal “mito russo”. E siamo noi l’opposto da loro, con la nostra bella crisi del Covid? Chi se lo scorda Conte: “stiamo affrontando la crisi più difficile dal Dopoguerra … questo è il momento delle scelte, delle scelte anche tragiche”. Rileggiamo Mattarella: “un nemico invisibile, per molti aspetti sconosciuto, imprevedibile”; “un virus temibile e sconosciuto”; “un fenomeno di inimmaginabile velocità di diffusione, sconosciuto anche alla scienza, nei suoi caratteri, nelle sue modalità di trasmissione, nei suoi effetti sull’organismo”; “una delle emergenze più gravi mai verificatesi nella vita del nostro Paese”; “in altri Paesi in cui si è votato si è verificato un grave aumento dei contagi”; “sconfiggere il virus, oppure rischiare di esserne travolti”.

Di fronte al dissolvimento – secondo Dino Grandi – lo “Stato cavouriano e italiano” aveva cercato di farsi “imperativo di forza e risolvere così, nel semplice concetto romano, machiavellico e gerarchico di autorità, il problema della sua intima ed esteriore dissoluzione”. E siamo noi l’opposto da loro, con il nostro bel lockdown e Green Pass (e domani, magari, con il lockdown dei senza Green Pass)? Giudichi il lettore, rileggendo Mattarella: “i sacrifici richiesti dall’essere inclusi in zona rossa”; “queste settimane di forzato isolamento”; “le scuole di tutto il Paese sono state chiuse e lo rimarranno”; “un temporaneo congelamento delle attività”; “con le mascherine, con il distanziamento sociale, con i comportamenti responsabili, evitando comportamenti e occasioni di contatto superflue”; “le scelte necessarie – talvolta impopolari – per ridurre il contagio”; “è necessario tutelare la propria salute ed è doveroso proteggere quella degli altri”; “è indispensabile mantenere con rigore il rispetto delle misure di comportamento”; “la necessità di continuare a osservarle scrupolosamente finché sarà necessario”; “prudenza e responsabilità nei comportamenti”; “mantenere le precauzioni”; la “necessità di osservare regole”.

Ma l’esercizio dell’autorità non bastava – secondo Dino Grandi – in quanto “il popolo partecipa alla lotta politica così come partecipa alla guerra, cui tutto sacrifica, soltanto quando la guerra è sentita, non nella sua immediatezza tragica, bensì come una superiore necessità etica”. E siamo noi l’opposto da loro, nel modo di mobilitare il consenso? Giudichi il lettore, rileggendo Mattarella: “non per imposizione … ma per convinzione”; “paziente sapienza per riconquistare completa libertà di comportamenti”; “senso del dovere e buona volontà di singoli … accanto allo spirito di sacrificio e al rispetto delle regole”; “parliamo della libertà autentica”; evitare “di confondere la libertà con il diritto di far ammalare altri”; “la libertà di ciascuno si realizza insieme a quella degli altri. Altrimenti la libertà non esiste. La libertà rivendicata o anche soltanto praticata in maniera esclusiva non sarebbe tale; sarebbe, in realtà, una richiesta di arbitrio”.

Invero lo Stato liberale – secondo Dino Grandi – non poteva salvare la Nazione, in quanto la sua era una “inesistente società individuale”: “lo Stato liberale, preda facile a tutte le demagogie dissolvitrici, a tutti gli arbitri, le violenze, le licenze, gli appetiti … che ha fatto del diritto della libertà un mezzo per distruggere la libertà medesima, un istituto di protezione a tutte le correnti antinazionali del nostro Paese”. E siamo noi l’opposto da loro, nel modo di giudicare le opposizioni? Rileggiamo Mattarella: “si sentono voci che spingono a comportamenti irresponsabili e sospingono quanti vogliono sottrarsi alle responsabilità collettive”; “non sono ammesse distrazioni”; “sorprende e addolora che … esplodono fenomeni, iniziative e atti … di aggressiva contestazione”. Così Gentiloni: “la cosa fondamentale è non dare diritto di cittadinanza politica ai no vax”. Così Berlusconi: il “nostro Paese ha conosciuto tanti cattivi maestri … fomentare la divisione del Paese … è davvero irresponsabile”. Chiosa il triestino e democratico signor Illy: “un ribellismo violento che usa il vaccino quale foglia di fico per inconfessati obbiettivi di destabilizzazione politica … la violenza fascista e le connesse manovre per destabilizzare il Paese … vanno stroncate con la massima determinazione”. Al principio, Mattarella sostenne che “le sofferenze provocate dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri” … poi deve essersene scordato.

Fu contro il dissolvimento – secondo Dino Grandi – che era sorto il fascismo, portatore di “una religione, un sentimento, un mito, un’utopia, la coscienza insomma d’una finalità morale estrema”, e “ed è perciò che il Fascismo è destinato … a risolvere la crisi civile che, ancor oggi, travaglia il popolo nostro”. Trasformando lo Stato in “un organismo etico” che “affermava contro i diritti dell’individuo i diritti della Nazione”: questa la “rivoluzione fascista”. L’Italia come mezzo e come fine, la libertà dell’individuo come ostacolo. Col tempo – sempre secondo Dino Grandi – il fascismo avrebbe convertito pure “tutti gli elementi spuri e le masse morte che hanno plaudito alla nostra insurrezione nazionale, non già perché essa salvava lo Stato e il suo prestigio dalla completa rovina, ma perché dal salvamento della diligenza statale esse hanno tratto sinora la salvezza del proprio portafoglio”. Ma, sino a quel 1921, il fascismo – sempre secondo Dino Grandi – non era stato altro che “una guardia nazionale”, la quale raccoglieva coloro che “attraverso l’esperienza della guerra” avevano compreso la “necessità di salvare la Nazione” ed aveva agito “sostituendosi allo Stato, che aveva ormai rinunciato a questa sua prima essenziale funzione”. Cioè, – sempre secondo Dino Grandi – ciò che i fascisti facevano, lo avrebbe dovuto fare lo Stato.

Ecco, qui c’è la differenza più visibile fra noi e loro: lo Stato, questa volta, ha preteso esso stesso di salvare la Nazione da una dissoluzione e lo ha fatto affermando i diritti della Nazione contro i diritti dell’individuo. Tale differenza basta ad escludere che il regime attuale somigli al Fascismo di Dino Grandi: sì, pure oggi l’Italia non è mezzo ma fine, pure oggi la libertà dell’individuo non è fine ma ostacolo … tuttavia, l’attore non agisce contro lo Stato con l’intenzione di operarne una rivoluzione, bensì è lo Stato stesso attraverso un riordinamento.

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Lo stesso, tale riordinamento dello Stato è profondo al punto da conculcare i nostri diritti fondamentali, tanto da farci sospettare esso si stia trasformando, da Repubblica ordinata dalla Costituzione, in qualcosa di diverso. In cosa? Formuliamo la nostra ipotesi: nello Stato perfezionistapaternalistaburocratico di più antica memoria. Anzi, in qualcosa di pure peggio, visto che (al contrario dell’Impero Austriaco) è arbitrario (basti pensare alla grandine di sempre cangianti decreti e linee guida).

D’altra parte, la Guida stessa di tale trasformazione, Mario Draghi, ricevendo il Premio Cavour nel gennaio 2017 disse: “la libertà dei cittadini e l’unità nazionale erano, per i liberali della razza di Cavour, indissolubili”. Ma l’unità nazionale a lui interessa solo eventualmente e strumentalmente: gli interessa l’unità europea, che è poi l’Impero ritornato. Egli è quindi coerente, quando conculca la libertà dei cittadini e ci riporta indietro alla forma di Stato che fu quella dell’Impero contro il quale Cavour si batté e vinse. In una parola, saremmo precipitati indietro, non al 1921, ma al 1814.

Noi, al contrario di Mario Draghi e al pari degli Italici del 1814, vogliamo una Repubblica: uno Stato costretto ad attenersi agli interessi politicamente pertinenti dei cittadini, in consonanza con le loro idee su quegli interessi, fra i quali interessi le libertà dell’individuo. Noi, come i liberali attaccati da Dino Grandi e al contrario di Mario Draghi, consideriamo sempre la libertà come fine, lo Stato nazionale indipendente come il mezzo per raggiungere tale libertà. Nostro è il concetto cavouriano della libertà. Del nuovo assetto italiano e della sua Guida, non sappiamo che farcene.