EconomiaPoliticaQuotidiano

Ciampi 92-Draghi 21: tedeschi alle prese con un tecnico europeista a Roma, ma oggi non basta una “lettera Emminger”

4.4k
Economia / Politica / Quotidiano

È curioso osservare come notisti generalmente sensibili ai dettami del politically correct siano con la Signora Lagarde, presidente della Bce, particolarmente disinibiti nel ricorrere ai più comuni cliché maschilisti, definendola insicura, titubante, incapace di esprimersi in modo inequivocabile. In un consiglio direttivo sempre più diviso tra falchi, che reputano l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato il riflesso del tanto bramato ritorno di tassi di inflazione più alti, e colombe, che lo reputano un inopportuno inasprimento delle condizioni finanziarie, la signora sembra avviarsi a diventare l’ennesimo capro espiatorio per i fallimenti del progetto monetario europeo. E sorge il sospetto che ancor più forte del politically correct, la soppressione del pensiero critico nei casi in cui le sue conclusioni irritino la sensibilità di minoranze influenti, sia l’europolitically correct, il politicamente corretto in versione europeista. Molteplici le piuttosto traballanti verità indiscutibili del culto europeo: che esista un’economia europea; che la politica monetaria sia questione tecnica e non politica, e in particolar modo non condizionata da contrapposti interessi nazionali; che una moneta unica sia fonte di pace ed armonia tra le nazioni. Vediamo perché.    

Sul Corriere della Sera, Federico Fubini osserva:

“Non è chiaro quanto l’istituto sia disposto a tollerare che l’intera area resti a pochi passi da una corrosiva deflazione anche in futuro. Giovedì, malgrado i tentativi di spiegarsi e trovare il punto d’equilibrio in un Consiglio direttivo diviso, la presidente della Bce ha finito per rifugiarsi dietro una coltre di ambiguità”.

La nozione di inflazione dell’Euroarea è una delle creazioni dell’europoliticamente corretto, giustamente ignorata non solo da imprese, investitori e consumatori, ma financo dai banchieri centrali, trattandosi, rimossi gli orpelli europeisti, della media ponderata dei tassi di inflazione degli stati membri di un’unione monetaria scarsamente integrata e caratterizzata da crescenti divergenze. Quel che conta sono piuttosto le condizioni dei singoli Paesi: la Bundesbank, ad esempio, è particolarmente inquieta dacché l’inflazione tedesca potrebbe toccare quest’anno il 3 per cento. Soleva esservi in Germania, e chissà non vi sia ancora, un accordo informale tra potere politico e potere finanziario affinché l’unione monetaria cui il cancelliere Kohl ha costretto una riluttante Bundesbank non mettesse mai a repentaglio la stabilità dei prezzi in Germania. Giova ricordare che tale accordo informale si materializzò tutt’a un tratto nel 1992, con la celebre “lettera Emminger”, con disastrose (benché, ahinoi, temporanee) conseguenze per l’élite europeista italiana, in particolar modo per un giovane Mario Draghi e per il suo padrino Carlo Azeglio Ciampi. Nessuno più dello stimabile Roberto Napoletano, ex direttore dell’altrettanto stimabile Sole24ore, ha riportato quegli eventi con l’opportuna drammaticità, e comicità involontaria quanto basta.

Ciampi non ha mai dimenticato quella telefonata terribile di settembre del “signore della Bundesbank“, come diceva lui, la peggiore negli anni lunghissimi da governatore della Banca d’Italia, durante la tempesta perfetta del ’92. Arriva mentre lui è a palazzo Chigi, proprio nella stanza del presidente del Consiglio, Giuliano Amato, la preoccupazione e l’ansia si tagliano a fette, la lira è sotto attacco [non è la lira ad essere sotto attacco, ma la parità artificialmente imposta al mercato, ndr] e l’Italia rischia la bancarotta [l’Italia non rischia alcunché, è l’élite europeista italiana a rischiare la propria reputazione, e Banca d’Italia le riserve per imporre al mercato la propria erronea visione del prezzo della lira, ndr]. A un certo punto entra il consigliere, Alfonso, che sta nella stanza a fianco, e informa entrambi che il presidente della Bundesbank, Helmut Schlesinger, vuole parlare al telefono con Ciampi. Esce e torna pallido in viso: ha detto che da lunedì non cambia più lire con marchi. La prima reazione di entrambi è: non ci può fare questo, come è possibile, adesso ci sente [c’è da augurarsi che sia Napoletano ad aver aggiunto un certo colore, perché allo scrivente la reazione ricorda quel “ora gliene dico quattro” del celebre duello rusticano tra Luciano Gaucci e Vincenzo Matarrese, ndr], ma poi sono costretti a scoprire che nel 1978 [ben 14 anni prima, ndr] il governatore tedesco di allora, Ottmar Emminger, aveva mandato una lettera riservata al suo governo con la quale la Bundesbank accetta le clausole del sistema monetario ma nei limiti che ciò non metta a repentaglio la stabilità del marco. Una clausola rimasta segreta fino a quel momento che preserva lo scettro di re marco dentro lo SME e la dice lunga sul cammino da fare per costruire la nuova Europa: i tedeschi ritengono che la lira deve svalutare e ovviamente la lira svaluta [la Bundesbank non è più disposta a sacrificare la propria autonomia monetaria per imporre al mercato un prezzo erroneo della lira, e le autorità italiane devono arrendersi all’idea che sia il mercato a stabilire il giusto prezzo della lira; ndr].” 

L’analogia tra oggi ed il 1992 è immediata: un governo tecnocratico europeista a Roma si ritrova con interessi contrapposti rispetto all’establishment economico tedesco, che non pare disposto a tollerare ulteriore inflazione nei propri confini. La significativa differenza è che, se nel 1992 a mettere in scacco la crème de la crème dell’élite europeista italiana, vale a dire Banca d’Italia, era sufficiente una lettera vecchia di quattordici anni, di un governatore della Bundesbank morto da sei, su cui il cancelliere socialdemocratico del tempo aveva annotato una “R” a simboleggiare “Richtig”, “d’accordo”, nel 2021 i trattati europei rendono nullo (a meno di sensazionali sorprese dalla Corte Costituzionale Federale Tedesca) qualunque equivalente della lettera Emminger, e complicano l’azione della Bundesbank, costringendola a necessitare del supporto politico dell’ambiguo governo tedesco.

Ad ogni modo, non v’è da stupirsi che in un contesto tanto complesso la Signora Lagarde abbia “le mani legate”, come osserva dal Telegraph il formidabile Ambrose Evans Pritchard. E particolarmente ipocrita è che ad attaccarla sia chi ha ritenuto opportuno “condividere” la propria sovranità monetaria con la Bundesbank.