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Cinese o Atlantico? Il trasformismo di Conte ormai insostenibile

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Dopo essere stato a capo del governo più filo-cinese della Seconda Repubblica, e dopo aver disertato in zona Cesarini l’incontro con l’ambasciatore cinese in compagnia di Beppe Grillo, proprio durante il G7, Giuseppe Conte cerca di smorzare le polemiche parlando di un Movimento 5 Stelle “ad impronta internazionale”. Ospite da Lucia Annunziata, l’avvocato cerca di liquidare l’incontro definendolo “privo di significati”, “superfluo” e parlando dell’alleanza atlantica come “pilastro del sistema Italia”.

Niente di nuovo, si tratta dei classici cambi di casacca dell’avvocato: sovranista al governo con Salvini, europeista con Zingaretti; filo-americano con la Lega, filo-cinese con i giallorossi. In poche parole, Conte rappresenta la quintessenza del trasformismo: un cocktail geopolitico che, a seconda della convenienza, viene modificato aggiungendo una parte di sovranismo o di europeismo, di atlantismo o di comunismo.

Questa volta, però, il contesto sembra essere diverso. Se da una parte l’avvocato non detta più le regole del gioco da Palazzo Chigi, e anzi deve digerire l’atlantismo riaffermato dal premier Draghi, dall’altra Beppe Grillo continua a spingere nella direzione del Dragone, fissando un incontro, proprio nel giorno del G7 in Cornovaglia, con l’ambasciatore cinese a Roma.

Pochi giorni fa, sul blog del comico, veniva pubblicato un articolo a firma di Andrea Zhok in cui il G7 era definito “una parata ideologica come non se ne vedevano dalla caduta del Muro di Berlino”. Sempre sul blog di Grillo, il 15 giugno 2019, in un pezzo dal titolo “il caso di Hong Kong e i tentativi di destabilizzazione”, si minimizzavano le ribellioni dei cittadini di Hong Kong represse dal regime di Pechino.

Nonostante ora cerchi di ritrattare le proprie posizioni in politica estera, anche il ministro Luigi Di Maio manifestò in precedenza più che un debole per il regime cinese, schierandosi in prima fila per sottoscrivere il Memorandum of Undestanding sulla “Nuova Via della Seta”.

Né si possono dimenticare gli elogi del governo giallorosso alla “gestione” di Pechino durante la pandemia.

Il 25 febbraio 2020, i giallorossi decisero di inviare alla Repubblica Popolare più di 2 tonnellate di dispositivi di protezione individuale, mascherine comprese, per poi rimanerne drammaticamente sprovvisti poche settimane dopo. Descritto come un fedele alleato per averci inviato più di 60 milioni di mascherine, a distanza di un anno, più del 50 per cento dei dispositivi sono stati sequestrati dalla procura di Gorizia perché non rispettosi degli standard europei per la protezione dal Covid-19

Insomma, l’infatuazione dei grillini per il regime cinese è sotto gli occhi di tutti. Ora sta a Conte assumere una posizione chiara: schierarsi all’interno della cornice atlantica oppure seguire la strada per Pechino. Come hanno sottolineato già alcuni analisti, non sciogliere le ambiguità a favore dell’Alleanza Atlantica significherebbe precludersi l’ingresso in future coalizioni di governo, proprio come il vecchio Pci per i suoi rapporti con l’Urss.