Lo “scoop” del sito BuzzFeed è doppiamente preoccupante per il vicepremier Matteo Salvini. Innanzitutto, per ciò che appare emergere dall’audio dell’incontro al Metropol di Mosca. È imbarazzante il sospetto che possa aver avuto luogo anche solo un tentativo di far arrivare soldi russi alla Lega. Un partito “sovranista”, che si proclama difensore dell’interesse nazionale (“prima gli italiani!”), prende soldi da potenze straniere? Tessere accordi politici e alleanze, sebbene discutibili, è un conto. Prendere soldi presuppone un rapporto di dipendenza o condizionamento. La contraddizione sarebbe evidente – e letale – politicamente, al netto dei risvolti penali. L’unica persona identificata dei sei partecipanti all’incontro – tre italiani e tre russi – è Gianluca Savoini, amico da 25 anni ed ex portavoce di Salvini, oggi presidente dell’associazione Lombardia-Russia, senza incarichi nella Lega ma ancora molto vicino al segretario per quanto riguarda proprio i rapporti con la Russia, tanto da averlo accompagnato nelle sue visite a Mosca. Per conto di chi parlava al Metropol? Non si può dare per scontato che prendesse accordi per la Lega, ma nemmeno escludere. Non possiamo sapere a che titolo e per conto di chi parlassero i tre russi, dato che ancora non sono stati identificati con certezza (solo l’Espresso ha fatto un nome), né perché avrebbero dovuto svolgere una fase piuttosto avanzata di una trattativa del genere nella hall di un hotel come il Metropol, tra i luoghi più scontati e “attenzionati”.
La strategia difensiva leghista nei confronti degli attacchi politici provenienti da sinistra – rinfacciare i finanziamenti di Mosca al vecchio PCI – funziona solo se in effetti la Lega non ha preso un rublo, come ripete Salvini, e quindi si tratta di smascherare le contraddizioni e gli scheletri nell’armadio degli avversari. Chi ci vuole convincere ancora oggi che un partito finanziato per oltre 40 anni da Mosca, in piena Guerra Fredda, quando l’Urss era un nemico ben più minaccioso per l’Italia e l’Occidente di quanto possa mai essere considerata la Russia odierna di Putin, sia stato un pilastro fondamentale della democrazia italiana, non ha evidentemente le carte in regola per scandalizzarsi dei presunti rubli alla Lega. C’è un limite di decenza anche alla strumentalità politica e in Italia dobbiamo ancora fare tutti i conti dei finanziamenti dall’estero ai partiti.
Ma se i soldi fossero arrivati a Via Bellerio, o il tentativo ci fosse stato, che i finanziamenti da Mosca li abbia ricevuti anche il PCI fino a trent’anni fa non assolverebbe certo la Lega oggi. Al netto dei profili penali, politicamente quello con il PCI non sarebbe certo un paragone di cui andare fieri. La Procura di Milano indaga già da diversi mesi sulla presunta trattativa, da quando se ne occupò l’Espresso, quindi vedremo.
C’è un altro aspetto però di questo “scoop” che dovrebbe preoccupare Salvini (e interessare giornalisti e analisti). Da dove arriva questo audio? Di chi è la manina che l’ha passato a BuzzFeed? E perché proprio ora?
Su Atlantico avevamo già ragionato sulla delicatissima fase che si è aperta dopo le elezioni europee per il leader della Lega, forte di un ampio consenso ma davanti a un bivio che può molto presto rivelarsi un vicolo cieco: andare all-in, tentare cioè di andare a elezioni politiche per “capitalizzare” il consenso raccolto alle europee e attribuitogli dai sondaggi (ormai vicino al 40 per cento) e arrivare a Palazzo Chigi, con il rischio però di vedersi scatenare contro una guerra totale in grado di annientarlo; oppure, accontentarsi con realismo dello status quo, temporeggiare, sperando di poter continuare a spremere il massimo da una mano fino ad oggi favorevole, ma rischiando la cottura a fuoco lento, i cui segnali vediamo quotidianamente.
Calato in questo contesto, l’audio dell’incontro al Metropol suona come un sinistro avvertimento. Ma da parte di chi?
La presunta trattativa era già stata ricostruita mesi fa con dovizia di dettagli e nomi da l’Espresso, ma ora sono arrivati un file audio e una trascrizione, via BuzzFeed, un sito in lingua inglese – e infatti sono subito rimbalzati sui più autorevoli media europei e americani.
La domanda chiave l’ha posta Daniele Raineri sul Foglio di ieri: chi aveva interesse a far uscire l’audio e perché proprio adesso? “Cui prodest?”. E perché, aggiungiamo, a un media in lingua inglese? Per formulare qualche ipotesi occorre considerare anche la tempistica dell’uscita.
Nemmeno un mese fa la visita ufficiale di Salvini a Washington, dove ha incontrato il vicepresidente americano Mike Pence e il segretario di stato Pompeo. Una visita interpretata a ragion veduta da molti, e anche da noi di Atlantico, come un accreditamento presso l’amministrazione Trump di un leader politico italiano in pole position per diventare il prossimo capo del governo. Una scelta di campo, è sembrata quella di Salvini, per incassare la fiducia e l’appoggio Usa, quasi una “benedizione”, prima di lanciarsi alla conquista di Palazzo Chigi.
“L’Italia è il primo, più credibile, più solido interlocutore degli Usa nell’Unione europea”, ha dichiarato a Washington, “il più grande Paese europeo con cui gli Stati Uniti possono e vogliono dialogare”. E, dopo l’incontro con Pompeo, due dichiarazioni completamente allineate alle posizioni Usa e in netto contrasto, invece, con quelle russe: sta a Putin muovere “un passo positivo concreto in Ucraina prima di chiedere la fine delle sanzioni” e l’impegno personale per il riconoscimento di Juan Guaidó come legittimo presidente a interim del Venezuela.
Come sono state prese al Cremlino le sue uscite? Non così male si direbbe, a giudicare dalle parole che pochi giorni dopo, prima di arrivare a Roma, Putin ha speso in una intervista al Corriere della Sera: “Salvini ha un atteggiamento caloroso verso il nostro Paese. Ci siamo incontrati nel 2014 e da allora si mantengono costanti contatti tra la Lega e Russia Unita, partiti che collaborano nell’ambito di un accordo di cooperazione”. Quasi a dire: avevate scelto noi, ricordate?
L’audio pubblicato da BuzzFeed ha tra i suoi possibili effetti quello di sollevare più di qualche dubbio, a Washington, sulla sincerità di Salvini e del suo tentativo di accreditarsi come interlocutore affidabile alla Casa Bianca: come possiamo fidarci, se solo pochi mesi prima un suo uomo trattava a Mosca un piano segreto per ricevere finanziamenti russi?
D’altra parte, non è un mistero che ben prima della visita di Salvini, più o meno da quando alla Casa Bianca c’è Donald Trump, la Lega si sia molto avvicinata a Washington. Nonostante l’ostentata ammirazione del vicepremier per Putin e una forte corrente filorussa a lui vicina, probabilmente la Lega non è mai stata così filo-americana e atlantica nella sua intera storia (fatta, ricordiamolo, di manifestazioni anti-Nato, pro Saddam e pro Milosevic). Basti pensare ai sottosegretari leghisti scelti per la Farnesina e la Difesa, gli “atlantici” Guglielmo Picchi e Raffaele Volpi. Nella dialettica interna all’Esecutivo è la Lega fino ad oggi ad aver giocato nel campo atlantico, tentando di controbilanciare la Ostpolitik dei 5Stelle: si è espressa, anche con il suo leader, in modo perentorio su Maduro e la crisi venezuelana e ha evidenziato le criticità del memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta, invitando alla cautela pur non potendo bloccarlo (essendo blindato da Mattarella). Mantiene, è vero, una posizione nettamente contraria alle sanzioni europee contro la Russia, ma il governo gialloverde ha votato più volte in sede Ue per il rinnovo delle sanzioni, senza che sia trapelata irritazione da parte leghista.
Insomma, ce n’è abbastanza per pensare a un warning da parte di Mosca per le deludenti prove leghiste. La Lega potrebbe pagare un gioco troppo disinvolto nei suoi rapporti tra Usa e Russia in un momento in cui le due potenze sono di nuovo in competizione per l’influenza sull’Europa e, in particolare, sui partiti cosiddetti sovranisti, euroscettici.
Ma l’audio esce anche nel pieno delle trattative per completare la squadra del nuovo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La Lega è uscita dalle urne europee con tutti i numeri in regola per esprimere un proprio nome come commissario europeo spettante all’Italia. Il caso Savoini non favorisce questa nomina, anzi crea i presupposti per un Vietnam parlamentare a Strasburgo. Rafforza la determinazione dei partiti e delle élite europeiste, indebolite e spaventate, a stringere il cordone sanitario contro il più forte partito sovranista, sospettato di essersi venduto a Putin proprio mentre si avvicina a Washington. Per non parlare delle analogie con il caso Strache, il vicecancelliere austriaco, leader dei nazionalisti dell’Fpo, costretto a dimettersi alla vigilia delle europee per un video di due anni prima (pubblicato solo a maggio di quest’anno) in cui faceva promesse alla finta nipote di un oligarca russo vicino a Putin in cambio di finanziamenti al suo partito. Certo, l’audio di Savoini non è così esplicito e, soprattutto, Strache era lì e Salvini no…
Resta l’impressione che i sovranisti siano troppo ingenui e al tempo stesso troppo spregiudicati, ma è fondato anche il sospetto che agenti provocatori si aggirino per l’Europa allo scopo di farli fuori (politicamente, s’intende) uno ad uno. Se è difficile immaginare che qualcuno possa aver registrato l’incontro all’hotel Metropol a poche centinaia di metri dalla Lubyanka, quindi facendola proprio sotto il naso agli occhiuti, e orecchiuti, servizi russi, è anche vero che oggi basta uno smartphone per una simile registrazione e non si può escludere che l'”infiltrato” fosse uno dei partecipanti italiani.
Va ricordato infine che BuzzFeed è il sito che l’11 gennaio 2017, nove giorni prima dell’insediamento del nuovo presidente Usa alla Casa Bianca, pubblicò il dossier Steele per infangare Trump, pur sapendo che era una bufala, confezionata da servizi stranieri, con fonti anche russe, su commissione della campagna avversaria. Un dossier che ha viaggiato tra Londra e Roma prima di arrivare all’FBI di Washington e di essere offerto praticamente a tutti i media anti-Trump, fino a BuzzFeed che l’ha pubblicato quando ormai già screditato. Era servito al suo scopo: motivare la richiesta di autorizzazione avanzata dall’FBI a sorvegliare il consigliere della Campagna Trump Carter Page. Ma BuzzFeed ha continuato per tutto il Russiagate a pubblicare scottanti “rivelazioni” che alimentassero la narrazione della collusione, spesso rivelatesi ingigantite, se non infondate, e spesso di tutta evidenza provenienti da apparati governativi (o ex governativi) Usa e alleati.