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Come contrastare la propaganda russa senza imbavagliare l’informazione

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 12 settembre 2020

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Pur non avendo alcuna simpatia per Vladimir Putin, pur condannando l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ed essendo favorevoli all’invio di armi a Kiev, occorre constatare che l’aria che tira ormai da giorni in alcuni ambienti televisivi sta diventando irrespirabile. Secondo un’accurata inchiesta di Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini (La Repubblica, 9 maggio), il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) avrebbe programmato alcune audizioni per affrontare un tema spinoso: l’invito in televisione di ospiti russi diretta espressione del Cremlino, oppure sospettati di esserne a libro paga. Per citarne alcuni: il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, intervistato da Giuseppe Brindisi durante una puntata di Zona Bianca (Rete 4), finito al centro delle polemiche per alcune uscite anti-semite da cui Putin ha preso le distanze; la giornalista Nadana Fridrikhson, alle dipendenze del Ministero della difesa russo; il giornalista Vladimir Solovyev, conduttore di un noto programma televisivo in onda la domenica sera su Rossijia 1.

Non si tratta solo di libertà di informazione, è in gioco anche la sicurezza nazionale. È questa l’argomentazione con cui il Copasir ha giustificato il bando Ue di alcuni media vicini a Mosca come Russia Today e l’agenzia Sputnik (“Se l’informazione è di cattiva qualità, anche la democrazia è di cattiva qualità”). Oggi si cerca di mettere in discussione anche la partecipazione di alcuni personaggi, certamente controversi, come Solovyev e Fridrikhson, a trasmissioni importanti per evitare che la propaganda moscovita faccia breccia nell’opinione pubblica italiana. Esistono a nostro avviso due strategie possibili per scongiurare questo rischio.

Primo: imboccare il sentiero della censura, di cui si conosce il punto di partenza ma non il punto di arrivo. A questa opzione vorrebbero ricorrere i detrattori di Bianca Berlinguer, colpevole di invitare ogni settimana nel suo programma (Carta Bianca, Rai 3) il professor Alessandro Orsini, che è stato licenziato dalla Luiss a causa delle sue posizioni, spesso balzane ma non per questo illegittime, sulla guerra in Ucraina.

Seconda strategia, suggerita – fra gli altri – anche da Nicola Porro: lasciare che i propagandisti russi provvedano a sbugiardarsi da soli. Tradotto: il modo migliore per smascherare i fans di Putin è lasciarli parlare. Questo approccio, liberale e dunque sgradito ai salotti che contano, poggia sulla capacità di giudizio dei telespettatori, ai quali spetta un compito importante: distinguere i fatti dalle opinioni e la verità dalla menzogna. Non sempre è facile. Tuttavia, dobbiamo correre il rischio.

I media devono essere sì autorevoli e attendibili, ma non possono assolvere una funzione pedagogica, nascondendo al pubblico le opinioni dissenzienti (spesso le più interessanti, perché aiutano a capire il modo in cui ragiona lo schieramento avversario). I giornalisti devono semmai approfondire, documentarsi, andare sul campo, sviscerare le notizie, diffidando sempre della versione ufficiale. Ciò non significa andare per forza controcorrente, come chi alimenta ogni sorta di complottismo, fra l’altro sempre con gli stessi bersagli (la Nato, l’Occidente, i poteri forti ecc.), ma affrontare ogni argomento con lucidità.

Come dicevamo, giornali e tv devono ascoltare tutti: i buoni, ma anche i cattivi. Indro Montanelli, tra i più grandi giornalisti italiani, riuscì ad intervistare l’autocrate Francisco Franco. Oriana Fallaci, invece, ebbe l’occasione di conversare con il leader libico Muhammar Gheddafi, dittatore e terrorista. Due brutti ceffi, tanto quanto Vladimir Putin: sotto la dittatura franchista, sono morte circa 400 mila persone. Gheddafi, invece, è stato responsabile e mandante di stragi, omicidi e stupri. Forse Montanelli e la Fallaci non avrebbero dovuto intervistarli, tenendo conto del loro curriculum? O forse li hanno intervistati proprio in virtù dei loro crimini? Se Franco e Gheddafi non avessero avuto un ruolo da protagonisti sul proscenio internazionale, se fossero stati due anonimi stinchi di santo, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di intervistarli. Chissà, forse è un ragionamento troppo sottile per chi vorrebbe importare nuove forme di censura in Occidente…

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la grande bugia verde