Analisi a freddo: ecco chi ha vinto e chi ha perso al vertice di Bruxelles. Mai esistito uno scontro Merkel-Rutte, i “Frugali” sono agenti tedeschi, tant’è che in grazia della preventiva resa italiana e con l’attiva collaborazione dei propri ‘clientes’, Berlino ha creato la “rigida struttura basata su regole con più bastoni che carote” che desiderava: il Recovery-Mes
A Bruxelles la storia era già scritta, per chi avesse tenuto a mente tre punti fermi.
(1) Il primo: l’Italia si era già impegnata a ‘fare le riforme’. Con le parole del ministro Amendola: “L’Italia non deve avere paura di cogliere l’opportunità di uno scatto”. Con relativo fuoco di preparazione, da parte dei vari Mattia Feltri (gli italiani avrebbero “uno stile di vita ingiustificato dai tempi e dai conti”, dunque “la crisi siamo noi”) e Mario Monti (“è probabile che i cittadini e le imprese le vedano con favore in quanto indurranno i governi a fare uso tempestivo ed efficace dei fondi ricevuti”).
(2) Il secondo: i “Visegrad” sono ‘clientes’ tedeschi. La loro lega è sostenuta dalla politica estera tedesca. Spiegava a maggio il potentissimo Wolfgang Schäuble: “Non dovremmo giudicare i nostri vicini ad est, che hanno altre esperienze e ricordi”, e difendeva il buon Orban dall’accusa di essersi fatto votare i pieni poteri.
(3) Il terzo: i “Frugali” sono agenti tedeschi. La loro lega (anseatica, frugale, che dir si voglia) è il prodotto della politica estera tedesca. Spiegava anni fa Politico.eu: “Berlino, silenziosamente e dietro le quinte, incoraggia gli altri Nordici a esprimere la propria resistenza. Perché? Berlino, mentre ha sempre prestato una adesione di facciata alla necessità di una più profonda integrazione dell’eurozona, invero ha sempre immaginato una rigida struttura basata su regole con più bastoni che carote”. E, di tutti i Frugali, per stazza del Paese a mostrarsi non può che essere l’Olanda: c’è una foto, dal vertice di Bruxelles, presa lunedì notte a cose fatte, che raffigura Rutte rannicchiato, a cuccia dinnanzi alla propria padrona, la Cancelliera.
Testa di ariete nella guerra fatta da Merkel ai sogni federalisti di Macron, Rutte lo aveva aggredito ad un congresso dei Liberali europei all’Aia (“non dovremmo allargare i compiti dell’Unione europea, ma cercare di renderla più mirata”) fin dal 2017, poi con un discorso a Berlino (“la Ue non è un treno inarrestabile che corre verso il federalismo… Ognuno dovrebbe tenere la propria casa in ordine”) nel 2018, infine con un rapporto ufficiale olandese (“l’interesse olandese in Europa non è affatto equivalente all’integrazione senza confini”) del 2019: parole che scaldano i cuori dei deputati del partito di Merkel, dei suoi economisti, dei giornali a lei vicini. Se poi il palcoscenico di Bruxelles avrà consentito alla destra filo-tedesca di Rutte un vantaggio elettorale, ai Frugali tutti insieme di atteggiarsi a potenza a pari grado della Francia, tanto di guadagnato.
Comprendere ciò, significa far pulizia: di Fubini che fantastica di un risentimento olandese verso la Germania, addirittura di una “lotta di classe contro il ceto dei Paesi più grandi”; di Molinari che vede uno scontro di Merkel “contro i Paesi frugali e contro i Paesi sovranisti Polonia e Ungheria”; delle molte ricostruzioni che inventano uno scontro fra Merkel e Rutte al vertice di Bruxelles; delle rodomontate francesi che vantano una influenza su Merkel invero evanescente. Tant’è che il vertice ha partorito precisamente quella ‘rigida struttura basata su regole con più bastoni che carote’, che la Cancelliera voleva.
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A Bruxelles, i Frugali volevano sei cose: 1. evitare tasse europee 2. generosi sconti (‘rebate’) ai propri contributi al bilancio 3. eliminare le sovvenzioni (‘grant’) a favore dei prestiti (‘loan’) 4. condizionalità macroeconomica 5. ridurre il pacchetto complessivo 6. condizionalità sullo stato di diritto. Gli obiettivi di Berlino erano stati squadernati nei mesi precedenti: evitare tasse europee, ‘rebate’ per la Germania, disponibilità a ridimensionare sovvenzioni a favore dei prestiti, accordo quadro a luglio, condizionalità macroeconomica, no condizionalità allo stato di diritto per non irritare i Visegrad. Non per nulla i Frugali hanno ottenuto ciò che pure la Germania voleva e non hanno ottenuto ciò che la Germania non voleva.
Unica eccezione, la pretesa tutta olandese di avere un veto nazionale sulla condizionalità macroeconomica. Anticipata pochi giorni prima da Rutte in visita a Berlino, faceva rumore perché Merkel aveva già deciso di far concedere tale veto nel Consiglio-Ue ad una minoranza qualificata di Stati, al punto da inizialmente considerare la richiesta olandese come una mossa tattica. Ma l’insistenza di Rutte induceva Berlino ad un compromesso attenuato: (1) nel Consiglio-europeo aggiungere un ‘diritto nazionale di richiamo’ (‘droit de rappel’), (2) nel Consiglio-Ue passare dalla maggioranza qualificata semplice (55 per cento degli stati membri che rappresentino il 65 per cento della popolazione) alla maggioranza qualificata rafforzata (72 per cento degli stati membri che rappresentino il 65 per cento della popolazione), ad imitazione di ciò che già accade nel Mes. Soluzione congeniale all’Olanda, che sa di poter in tal modo bloccare qualsivoglia decisione, aggiungendo al voto dei propri Frugali ed a quello dei propri Anseatici quello della Germania: voto che non potrebbe mancare, perché Berlino protegge i propri ‘clientes’, come ha dimostrato di fare proprio in quest’ultimo vertice.
Si illude, quindi, chi sogna di ricevere un soldo, se non col consenso olandese; ma si illudono pure il ministro Amendola e Fubini, che sognano di usare il Recovery Fund per imporre all’Olanda di “abbattere il dumping fiscale”: non succederà, punto.
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Venerdì 17, il summit comincia con il rigetto della proposta della Commissione ed i Frugali che avanzano le proprie richieste, gli Scandinavi con toni “molto duri e sull’offensiva”, sino a cena.
A Rutte, che (occasionalmente spalleggiato dalla Danimarca) pretende il ‘droit de rappel’, Conte (seguito dalla Spagna) oppone l’art. 317 del Trattato, che assegna l’esecuzione del bilancio alla Commissione, come pure sostenuto sul Corriere da Monti e pare pure dalla Commissione stessa; ma lo stesso articolo aggiunge che “gli Stati membri cooperano con la Commissione per garantire che gli stanziamenti siano utilizzati secondo i principi della buona gestione finanziaria”, prerogativa della quale l’Olandese chiarisce di volersi servire. Conte panica e fa circolare un testo esagerato, che accetta il voto nel Consiglio-Ue a maggioranza qualificata rafforzata, non solo nella approvazione dei piani iniziali, ma persino nella autorizzazione dei singoli pagamenti, nonché il ‘droit de rappel’ olandese al Consiglio-Europeo e persino la esigenza che questo esprimesse (all’unanimità) un “positive assessment”, solo aggiungendovi tempi relativamente certi. Una resa vera e propria.
Poi egli ha un ripensamento, a giudicare dal messaggio preoccupato inviato via Facebook e, soprattutto, dall’incontro con Merkel e Macron, a notte fonda nella hall di un albergo. L’Italiano avrebbe proposto di isolare l’Olandese, minacciando di escluderlo dall’accordo con il meccanismo dell’opt-out, come suggerito il giorno prima da Enrico Letta, cui il giorno dopo fa eco Fubini che paragona Rutte nientemeno che a David Cameron; non conosciamo l’espressione di Merkel di fronte ad una simile tonteria, visto che Rutte non potrebbe chiedere di meglio, ma viene riferito ella abbia risposto di non aver intenzione di far saltare il summit: in caso di insuccesso, lo avrebbe rinviato a data da destinarsi. Conte avrebbe poi minacciato di ricorrere alla propria specialità: approvare le conclusioni “salvo intese”, subordinatamente ad un ricorso da inoltrare alla Corte di giustizia europea, onde “dimostrare l’incompatibilità del meccanismo olandese con i trattati euSropei”; ignota la risposta di Merkel, che però lo convoca l’indomani ad un incontro con se stessa, Michel, Macron, Von der Leyen.
Sabato 18, Conte vi giunge e gli viene annunciata la prossima pubblicazione di una seconda bozza di conclusioni, che assegnano la vittoria a Rutte: il ‘diritto di richiamo’ sulla condizionalità macroeconomica, battezzato ‘emergency brake’. Un Paese solo avrebbe potuto tener bloccata ogni erogazione, finché il Consiglio-Europeo non avesse “affrontato la questione in modo soddisfacente” (“satisfactorily”). Come capisce bene la corrispondente de Le Figaro, il passaggio è importante perché crea un ‘droit de rappel’ che sino ad allora non c’era. Pure Conte potrebbe dirsi contento, in quanto l’introduzione dell’avverbio ‘satisfactorily’ è compensata da due contro-concessioni, rispetto alla stessa proposta italiana del giorno prima: che il voto nel Consiglio-Ue a maggioranza qualificata rafforzata riguardi la approvazione dei piani iniziali ma non più la autorizzazione dei singoli pagamenti, eppoi che il Consiglio-Europeo non debba più esprimere un ‘positive assessment’. La questione potrebbe dirsi risolta, ma Conte sceglie di dare inizio ad uno spettacolo a beneficio di telecamera, con un tweet in cui mostra una foto che lo ritrae affianco dei ‘grandi’ ed insulta i Frugali.
La seconda bozza Michel viene incontro pure agli altri Frugali: tutti insieme portano a casa la conservazione dei ‘rebate’ (contro una opposizione francese svogliata, perché così li conserva pure la Germania), la conservazione di una quota dei dazi doganali raccolti per conto dell’Ue, nonché la riduzione dei grant da 500 a 450 miliardi. L’austriaco Kurz gioisce (“le cose stanno andando abbastanza bene, le cose vanno nella giusta direzione”), un diplomatico olandese descrive complessivamente la proposta come “un passo serio nella giusta direzione”, inducendo il presidente Michel ad annunciare una terza bozza delle conclusioni, che però viene rinviata.
Rinviata perché i Frugali, tutti insieme, ripartono a voler abbassare i grant, questa volta a 325 miliardi (con la Germania che risponde accomodante di poter accettare scendere a 400). Mentre Rutte sceglie pure lui di dar spettacolo a beneficio di telecamera e comincia la guerra degli avverbi: egli ne chiede uno più incisivo di ‘satisfactorily’, anzitutto lavorando ad un nuovo test con i legali della Commissione; come comunica Von der Leyen nel tardo pomeriggio a Conte, il quale per risposta la accusa di non difendere i trattati.
A cena, Michel fa la patetica, invocando di aver agito di buon cuore per l’Europa. Segue Conte, che minaccia l’Olandese di voler “da domani affrontare una riforma della politica fiscale europea”; solo per essere sculacciato l’indomani da Mario Monti: “Temi di questa natura devono essere trattati con anticipo nelle sedi preparatorie e con la costruzione delle necessarie alleanze per poterli vedere deliberati al Consiglio europeo”. Conte aggiunge di star difendendo il mercato interno; in questo imitato da una commissaria che pubblica delle slide che mostrano quanto l’Olanda ne profitti, nonché due giorni dopo da Fubini, che pubblica una geremiade per spiegare come all’Olanda basti “un mercato unico più efficiente e aperto”; ma in gioco non è il mercato unico, bensì la moneta unica (come recentemente confessato persino da Gentiloni), sicché l’argomento con Rutte non attacca. Di fronte a Macron che da mostra di voler ripartire per Parigi, gli Scandinavi si chetano, lasciando Olanda ed Austria a parlare di condizionalità sullo stato di diritto: un po’ per bloccare la discussione, un po’ per scompaginare i fronti visto che sulla questione Macron sta con Rutte. Ungheria e Polonia resistono felicemente, in grazia della benevolenza tedesca (nell’occasione supportata dall’Italia).
Chiusa la parentesi, la serata termina con un colloquio coi Frugali, dal quale Macron esce mostrando irritazione, mentre Merkel si trattiene un poco di più… non è escluso per incoraggiarli.
Domenica 19, ai quattro Frugali originari si aggiunge la Finlandia. Tutti insieme ripartono per alzare i propri ‘rebate’, nonché per abbassare i grant a 350 miliardi e l’ammontare complessivo a 700. Macron prova prima la patetica, “state mettendo a rischio il progetto europeo”, poi l’affondo, “‘Angela è con me’, attirando risate da alcuni, inclusa la stessa Merkel, secondo i funzionari presenti”. Stizzito, aggredisce l’austriaco Kurz e Rutte, rispettivamente accusandoli di non ascoltare e di aver preso il posto della Gran Bretagna: Kurz dirà ai giornalisti che il Francese probabilmente era stanco, ottenendo in cambio l’attestato di aver agito con “spirito di compromesso”. L’unica vera resistenza giunge da una assente, Christine Lagarde, la quale, nel tardo pomeriggio, fa sapere che è “meglio un accordo su cifre ambiziose, anche se richiede un poco di tempo”, ma Macron non raccoglie.
Quanto a Conte, domenica unisce propri delegati a quelli olandesi e della Commissione riuniti dal giorno prima e, in serata, l’accordo è dato per certo. Come si vedrà il giorno dopo: un Paese solo potrebbe tener bloccata ogni erogazione, sinché il Consiglio-Europeo non abbia “discusso la materia in modo definitivo” (“decisively”). Il passaggio da ‘satisfactorily’ a ‘decisively’ è un vantaggio di immagine per Rutte, infatti l’indomani mattina ne esulta in favore di telecamera.
Lunedì 20, i francesi fanno mattina insistendo di alzare i 390 a 400, trascinando Conte che fa dire a La Repubblica come 400 sia “la linea rossa psicologica di Roma”. I giornali tedeschi li sfottono (“è come al supermercato: 3,99 euro suonano meglio di 4,00”), i delegati tedeschi li mollano (“la posizione di Merkel era meno chiara, con un funzionario che diceva che era aperta all’idea di scendere a 375 miliardi, mentre un altro ha detto che era contro”). A notte fonda Michel annuncia la resa: i grant saranno ridotti a 390 miliardi nella nuova bozza che giungerà l’indomani. In mattinata i francesi cercano di innalzare un nuovo vessillo, questa volta la ‘condizionalità verde’, a spese dei polacchi, che glielo fanno abbassare. Spariscono pure fior di fondi dedicati alla ‘transizione energetica’. Sin dalla prima bozza, la condizionalità sullo stato di diritto viene vincolata ad una maggioranza qualificata rafforzata, che i Visegrad potranno sempre negare aggiungendo al proprio il voto della Germania. Macron cambia discorso e fa sapere, su Twitter, di aver avuto una “great discussion on Libya with my friend Donald Trump”.
Merkel porta a casa una riformulazione estremamente generica circa future tasse europee (tranne la plastic tax), col più grande scorno degli europeisti alla Monti. Il che le consente di trattenere i ricavi da ETS-Emissions Trading System, soprattutto di rinviare ad libitum il futuro avvio del fondo poiché quasi l’intero finanziamento dei grant viene così a gravare sui parlamenti nazionali, i quali torneranno a chiedere una riduzione dei grant a favore dei loan; senza contare il Parlamento europeo, che ha potere di veto sul bilancio e pretenderebbe risorse proprie.
Gli Scandinavi incassano un ulteriore aumento dei ‘rebate’ (per un totale, inclusi quelli alla Germania, di 7,603 miliardi annui, che per sette anni fanno 53,221 miliardi, a carico dei restanti Paesi inclusa l’Italia) e restano tranquilli, lasciando Rutte a proseguire la propria personale guerra degli avverbi. Conte ottiene l’ultima modifica: un Paese solo potrebbe tener bloccata ogni erogazione, sinché il Consiglio-Europeo non ne abbia “discusso la materia in modo esaustivo” (“exhaustively”). L’ultimo passaggio nella successione ‘satisfactorily – decisively – exhaustively’ è un successo di immagine per Conte, ma non cancella il nuovo ‘droit de rappel’: Rutte potrà accendere i riflettori su qualunque decisione che altrimenti passerebbe inosservata, richiamarla in Consiglio-Europeo, e lì celiare su quanto ‘esaustiva’ sarà stata la discussione. Tale ‘droit de rappel’ non è decisivo, ma prima del vertice a Bruxelles non c’era e, dunque, la vittoria è da assegnare all’Olandese.
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Rutte ha vinto, in grazia dell’appoggio di Berlino, come sanno benissimo i giornali italiani: Paolo Valentino (“Charles Michel, con la benedizione di Angela Merkel, ha già fatto molto per venirgli incontro”), Lorenzo Salvia (“questo provoca una certa delusione nella delegazione italiana”, “i Frugali al tavolo pesano moltissimo perché la Cancelliera li lascia fare”), Tommaso Ciriaco (“Conte sa benissimo che Rutte in fondo si copre dietro Angela Merkel”, Maurizio Molinari (“i Paesi frugali determinati… mentre Germania e Francia restavano sullo sfondo”), Alberto d’Argenio (“Merkel lascia sfogare i bollenti spiriti”)… financo Fubini (“Merkel per un giorno e mezzo ha evitato di mettere il collega dell’Aia sotto pressione”) ancorché egli le accampi una giustificazione da bambino di prima elementare (“al vertice di Bruxelles Merkel non ha più trovato in sé l’energia e l’acume per rimettere Rutte in un angolo”). Una consapevolezza, che fa strami dei peana dagli stessi giornali innalzati a Merkel che “ha scelto di scommettere sull’Europa”: l’Olanda è ancora “la linea avanzata della diplomazia tedesca”. Meglio prenderne atto: in grazia della preventiva resa italiana e con l’attiva collaborazione dei propri ‘clientes’, Berlino ha creato la ‘rigida struttura basata su regole con più bastoni che carote’ che desiderava: il Recovery-Mes.